— Forse si riproducono per clonazione — disse l’Araldo.
— La struttura genetica dei piccoli non è identica a quella delle madri. Questo è quanto ho potuto scoprire usando di nascosto le apparecchiature del laboratorio. Ma c’è un sistema di transfert genetico.
— Ermafroditi?
— No, sono femmine. Neppure un accenno di genitali maschili atrofizzati. Questo basta per farne una domanda importante? In qualche modo i cabras hanno un sistema di scambio genetico, senza il sesso.
— Le sole implicazioni teologiche sono già sorprendenti.
— Non ci scherzi sopra.
— Su cosa? La scienza o la teologia?
— Entrambe. Vuole sentire altre delle mie domande, o no?
— Continua — disse l’Araldo.
— Allora eccole questa. L’erba su cui lei è sdraiato… noi la chiamiamo grama, come quella terrestre. È qui che vengono a riprodursi i serpenti d’acqua. Sono vermi, all’aspetto, così piccoli che lei faticherebbe a vederne uno. Mangiano l’erba fino alla radice e si divorano anche l’un l’altro, cambiando pelle ogni volta che diventano più grossi. Poi, d’un tratto, quando l’erba è completamente fradicia delle loro pelli decomposte, tutti i serpenti entrano nel fiume e non ne ritornano più fuori.
Lui non era uno xenobiologo. Non ne afferrò le implicazioni.
— I serpenti d’acqua si accoppiano qui — spiegò lei. — Ma non tornano fuori dall’acqua per deporre le uova.
— Dunque si accoppiano prima di trasferirsi nell’acqua.
— Sicuro, normale, ovvio. Li ho visti accoppiarsi. Non è questo il problema. La domanda è: perché sono serpenti d’acqua?
Di nuovo lui la fissò senza capire.
— Ascolti, questi animali sono completamente adattati alla vita subacquea. Hanno branchie e polmoni, sono superbi nuotatori, hanno pinne per manovrare, e si sono evoluti per una vita adulta interamente acquatica. Ma perché questa evoluzione, se nascono a terra, si accoppiano a terra e si riproducono a terra? Per quanto riguarda l’evoluzione delle specie, tutto ciò che accade dopo l’atto riproduttivo è quantomai irrilevante, a parte la nutrizione dei piccoli, e i serpenti d’acqua senza alcun dubbio non li nutrono. La vita acquatica non ostacola la loro capacità di sopravvivere fino al periodo della riproduzione. Possono trasferirsi nell’acqua e viverci dentro, e ciò non ha alcun significato perché il loro intero ciclo riproduttivo si è svolto altrove.
— Sì — disse l’Araldo. — Comincio a capire.
— Nell’acqua si nota spesso la presenza di piccole uova chiare. Io non ho mai visto un serpente d’acqua nell’atto di deporle, ma poiché nel fiume e nelle sue vicinanze non vi sono animali abbastanza grossi da poterle deporre, sembra logico supporre che siano quelle dei serpenti d’acqua. Solo che queste uova (biancastre e larghe un centimetro) sono completamente sterili. Contengono le sostanze nutritive e tutto quanto, ma non l’embrione. Niente. Alcune hanno un gamete (metà dei geni di una cellula, pronti a combinarsi) ma neppure una è viva. E non abbiamo mai trovato uova di serpente d’acqua sulle rive. Il giorno prima lì non c’è niente se non la grama, verde e folta, e il giorno dopo gli steli d’erba sono pieni di serpenti d’acqua appena nati. Non le sembra una faccenda su cui vale la pena d’indagare?
— A me sembra che si possa parlare di partenogenesi.
— Be’, a me piacerebbe scoprire abbastanza dati da poter fare ipotesi alternative, ma mia madre non me lo permette. Quando le parlai dei serpenti, gettò sulle mie spalle l’intero procedimento dei test sull’amaranto per non lasciarmi il tempo di «bighellonare» sul fiume. E un’altra domanda: perché qui ci sono così poche specie? Su ogni pianeta, anche semideserto come Trondheim, ci sono migliaia di specie diverse, almeno nelle acque. Qui ne abbiamo sì e no una manciata, da quel che posso saperne. Gli xingadora sono gli unici volatili che abbiamo mai visto. I succiamosche sono le sole mosche. I cabras sono gli unici ruminanti che si nutrono dell’erba capim e, maiali a parte, i soli animali di grossa taglia. Un’unica specie di alberi. Un’unica erba sulla prateria, il capim. E un’unica varietà di piante parassite, il tropeça, una sorta di edera che si allunga anche al suolo per molti metri, e che gli xingadora sfruttanto per la costruzione dei nidi. Questo è tutto. Gli xingadora mangiano i succiamosche e nient’altro. I succiamoche si nutrono delle alghe sulla riva del fiume, e della nostra spazzatura. Niente mangia gli xingadora. Niente mangia i cabras.
— Una catena alimentare piuttosto ristretta — disse l’Araldo.
— Impossibilmente ristretta. Qui esistono diecimila nicchie ecologiche e nulla che le riempia. Non esiste un’ipotesi evolutiva che possa spiegare un ambiente ecologico così limitato.
— A meno che non ci sia stata una catastrofe.
— Proprio così.
— Qualcosa che abbia spazzato via tutto, salvo un manipolo di specie capaci di adattarsi.
— Sì — disse Ela. — E le prove di questo non mancano. I cabras hanno un comportamento molto rivelatore: quando qualcuno si avvicina, quando ne sentono l’odore, gli adulti si raggruppano e formano un circolo, rivolti all’interno, in modo da poter scalciare contro l’intruso e proteggere i piccoli.
— Molti erbivori lo fanno.
— Ma per proteggersi da cosa? I maiali sono completamente silvestri, non hanno mai cacciato nella prateria. Qualunque fosse il predatore che ha costretto i cabras a evolvere questo schema difensivo, è scomparso. E abbastanza di recente: negli ultimi centomila anni, o al massimo un milione.
— Non ci sono crateri prodotti da grossi meteoriti e risalenti a meno di venti milioni di anni fa — osservò l’Araldo.
— No, una catastrofe di quel genere avrebbe ucciso piante e animali di grossa taglia risparmiando miriadi di specie più piccole, o avrebbe spazzato via la vita dai continenti lasciando intatta quella nei mari. Ma qui tutti i diversi ambienti acquatici e terrestri sono stati coinvolti, e le specie superstiti sono fra le più vulnerabili a un disastro cosmico. No, penso che sia stata un’epidemia. Un virus che dilagò in tutti gli ecosistemi e seppe adattarsi a ogni forma vivente. Oggi non ne possiamo notare l’esistenza, ovviamente, poiché questo agente è innocuo con le specie rimaste in vita. Dev’essere diventato parte del loro organismo. E per noi l’unico modo di notarne l’esistenza è stato…
— Esserne infettati — terminò l’Araldo. — La Descolada.
— Vede? Tutti i ragionamenti tornano alla Descolada. I miei nonni trovarono il modo di renderne immuni gli esseri umani, ma grazie a una complessa manipolazione genetica artificiale. Gli animali, i cabras, i serpenti d’acqua, trovarono anch’essi la via d’uscita, ma dubito che ciò sia stato con un supplemento alla loro dieta. Penso che le cose siano collegate. Le strane anomalie della riproduzione, gli ecosistemi così spopolati, tutto risale all’agente infettivo della Descolada, e mia madre mi impedisce di esaminarlo. Non vuole che io studi cos’è, come funziona, come potrebbe essere collegato a…
— Ai maiali.
— Be’, naturalmente, ma non soltanto a loro. A tutti gli animali…
L’Araldo aveva l’aria di trattenere a stento l’eccitazione, come se lei gli avesse spiegato qualcosa su cui s’era interrogato invano. — La notte in cui Pipo morì lei bloccò tutti i dati relativi al lavoro che stava facendo, e fece lo stesso con le registrazioni delle ricerche sulla Descolada. Dunque ciò che lei mostrò a Pipo aveva a che fare sia con l’agente della Descolada che con i maiali…
— Fu allora che nascose quelle informazioni? — domandò Ela.