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— Sì, sì.

— Allora io ho ragione, non è vero?

— Sì — disse lui. — Grazie. Mi sei stata d’aiuto più di quel che puoi credere.

— Questo significa che presto lei farà l’elegia per mio padre?

L’Araldo la guardò negli occhi. — Tu non vuoi esattamente che io faccia l’elegia per tuo padre. Vuoi che la faccia per tua madre.

— Lei non è morta.

— Ma tu sai che non posso dire la verità su Marcão senza spiegare perché sposò Novinha, e perché siano rimasti insieme tanti anni.

— Questo è vero. Io voglio che tutti questi misteri siano sciolti. Voglio che tutti i dati siano accessibili. Niente deve restare più nascosto.

— Tu non sai quello che stai chiedendo — disse l’Araldo. — Non sai quanto dolore nascerebbe se tutti i segreti venissero alla luce.

— Dia un’occhiata alla mia famiglia, Araldo — replicò lei. — Come potrebbe la verità portare più dolore di quello che i segreti hanno già causato?

Lui le sorrise, ma non era un sorriso allegro. Era affettuoso, perfino… colmo di pietà. — Hai ragione — le disse. — Hai tutte le ragioni del mondo. Ma potresti capire ciò che detto soltanto se tu conoscessi l’intera storia.

— Io conosco l’intera storia, nei limiti in cui la si può conoscere.

— Questo è ciò che tutti pensano. E tutti si sbagliano.

— Quando farà l’elegia?

— Appena potrò.

— Allora perché non adesso? Oggi? Cos’è che sta aspettando?

— Non potrò far niente finché non avrò parlato con i maiali.

— Lei sta scherzando, vero? Nessuno può parlare ai maiali, salvo gli zenador. È un ordine tassativo del Consiglio. Nessuno può oltrepassare quello.

— Sì — disse l’Araldo. — Ecco perché sarà difficoltoso.

— Non difficoltoso, impossibile!

— Forse — disse lui. Si alzò, e lei fece lo stesso. — Ela, tu mi hai aiutato moltissimo. Mi hai insegnato più di quel che avrei sperato di avere da te. Proprio come ha fatto Olhado. Ma a lui non è piaciuto ciò che ho fatto delle cose che mi ha insegnato, e ora pensa che io l’abbia tradito.

— Lui è un ragazzo. Io ho diciott’anni.

L’Araldo Andrew annuì e le poggiò una mano su una spalla. — Allora tutto va bene. Siamo amici.

Lei fu quasi certa che c’era dell’ironia in quelle parole. Ironia, e forse una supplica. — Sì — rispose. — Saremo sempre amici.

Lui annuì ancora, si volse, spinse la prua della barca giù dalla riva e la seguì, facendo schizzare l’acqua e il fango fra le canne. Quando l’imbarcazione fu nella corrente si sedette e sistemò gli scalmi, poi immerse i remi in acqua e si girò a sorriderle. Ela alzò una mano, ma il sorriso con cui gli rispose non poteva trasmettergli tutta l’euforia e tutto il sollievo che le riempivano l’anima. Lui aveva ascoltato tutto, aveva capito tutto, e avrebbe saputo rimettere ogni cosa al giusto posto. La ragazza ne era convinta, lo credeva così profondamente che non comprese neppure quanto ciò fosse all’origine della sua improvvisa felicità. Sapeva soltanto d’aver trascorso un’ora con l’Araldo dei Defunti, e di sentirsi viva come non le accadeva da anni.

Andò a raccogliere le scarpe, se le rimise e cominciò ad avviarsi verso casa. Sua madre era ancora alla Stazione Biologista, ma quel pomeriggio lei non aveva voglia di lavorare. Desiderava andare a casa e preparare la cena; questo era il suo compito giornaliero e solitario. Sperò che nessuno l’avrebbe distratta con delle chiacchiere. E sperò che non ci sarebbero state necessità seccanti in attesa d’essere risolte da lei. Desidero che questa leggerezza d’animo duri per sempre.

Era arrivata a casa da pochi minuti, tuttavia, quando Miro irruppe in cucina. — Ela — disse. — Hai visto l’Araldo dei Defunti?

— Sì — rispose lei. — In riva al fiume.

— In riva al fiume dove?

Se gli avesse detto dove s’erano fermati, lui avrebbe capito che non era stato un incontro casuale. — Perché? — chiese.

— Ascolta, Ela, per favore, questo non è il momento d’essere sospettosi. Ho bisogno di parlare con lui. Gli abbiamo lasciato una nota, ma il computer non può rintracciarlo e…

— Era su una barca a remi, e stava tornando ai moli. Probabilmente è andato subito a casa sua.

Miro balzò via dalla soglia e corse nell’atrio. Ela lo sentì battere sulla tastiera del terminale. Pochi secondi dopo rimise dentro la testa. — Grazie — disse. — Non aspettatemi per la cena.

— Che c’è di tanto urgente?

— Niente. — Ma quel «niente» esclamato con voce tanto agitata e frettolosa suonò così ridicolo che entrambi scoppiarono a ridere. — OK — disse Miro. — C’è qualcosa, sì, però non posso parlarne. OK?

— OK. — Ma presto tutti i segreti saranno conosciuti, Miro.

— Quello che non capisco è perché il computer non l’abbia rintracciato. Per trasmettergli il nostro messaggio, voglio dire. Non ha quel microimpianto all’orecchio? Il computer dovrebbe raggiungerlo dovunque. Naturalmente potrebbe averlo spento.

— No — disse Ela. — La spia era accesa.

Miro inarcò un sopracciglio, fissandola. — Non puoi aver visto quella minuscola lucina rossa, non se lui stava remando in mezzo al fiume.

— È venuto a riva. Abbiamo fatto due chiacchiere.

— Su quale argomento?

Ela sorrise. — Niente — disse.

Lui le restituì il sorriso, ma parve lo stesso un po’ irritato. Ela poteva capirlo. È naturale per te avere segreti con me, ma non è naturale che io li abbia con te. È vero, Miro?

Lui però non si mise a discutere. Aveva davvero fretta. Doveva andare a cercare l’Araldo, e subito, e non sarebbe tornato a casa per la cena.

Ela ebbe il presentimento che l’Araldo sarebbe riuscito a parlare con i maiali molto prima di quanto lei avrebbe creduto possibile. Per un istante fremette d’eccitazione. L’attesa sarebbe finita.

Poi l’eccitazione svanì, e qualcos’altro ne prese il posto. Una paura arcana. L’immagine da incubo del papai di China, il povero Libo, disteso sul pendio della collina, smembrato dai maiali. Solo che non appartenevano a Libo i resti che lei vedeva in quell’orrida scena. Erano quelli di Miro. No, no, non era Miro. Era l’Araldo. Era l’Araldo che sarebbe stato torturato a morte. — No! — sussurrò Ela.

Poi scosse il capo e l’incubo lasciò la sua mente. Prese le spezie e cominciò a condire la pasta, per dare allo sformato un sapore migliore di quello della colla d’amaranto.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

RENEGADES

MANGIA-FOGLIE: — Human dice che quando i vostri fratelli muoiono, voi li seppellite nella polvere, e poi costruite le vostre case con quella polvere. (Ride)

MIRO: — No. Per costruire noi non usiamo il terreno dov’è stata sepolta della gente.

MANGIA-FOGLIE (s’irrigidisce per la tensione): — Allora i vostri morti non vi servono assolutamente a nulla!

Ouanda Quenhatta Figueira Mucumbi, Dialoghi Trascritti, 4.13.1969

Ender s’era atteso che i due giovani trovassero qualche difficoltà per farlo uscire dal recinto, ma Ouanda poggiò una mano sulla piastra della serratura, Miro aprì il cancello, e poi uscirono all’esterno. Nessuno era comparso a fare obiezioni. Le cose stavano dunque come Ela gli aveva lasciato capire: nessuno aveva mai voglia di sconfinare, e non esisteva un vero apparato di sorveglianza. Se questo fosse perché la gente si accontentava di restare a Milagre, o perché avessero paura dei maiali, o perché odiavano sentirsi imprigionati al punto che preferivano ignorare l’esistenza della recinzione, Ender non aveva elementi per capirlo.