Ma Ouanda e Miro erano tesi, quasi spaventati. La cosa era piuttosto comprensibile, visto che facendosi accompagnare da lui violavano gli ordini della Federazione. Ma Ender sospettava che ci fosse di più. L’ansia di Miro era sfumata d’eccitazione, quasi di impazienza; forse era preoccupato, ma soprattutto desiderava vedere quel che sarebbe successo. Ouanda gli si teneva discosta, camminava a passi misurati, e la sua freddezza non era dovuta tanto alla paura quanto all’ostilità. La ragazza diffidava di lui.
Così, Ender non fu sorpreso allorché la vide fermarsi accanto a un grosso albero che cresceva non distante dal cancello, e incrociare le braccia, con l’aria di chi ha già concesso anche troppo. Miro parve sul punto di lasciarsi sfuggire qualche parola irosa, poi si controllò. Il suo volto assunse subito un’espressione d’indifferenza così distaccata da sconfinare nel disinteresse. Ender si scoprì a paragonare Miro ai ragazzi che aveva conosciuto alla Scuola di Guerra, cresciuti fianco a fianco come compagni d’arme, e rifletté che il giovane avrebbe avuto successo in quell’ambiente. Anche Ouanda, benché per ragioni diverse: la ragazza sembrava ritenersi responsabile per tutto ciò che sarebbe accaduto, malgrado che Ender fosse un adulto e lei così giovane. Non gli mostrava la minima deferenza. Qualunque cosa temesse, non era il pericolo di dover subire la sua autorità.
— Qui? — chiese con noncuranza Miro.
— O da nessun’altra parte — annuì lei.
Ender andò a sedersi alla base del tronco. — Questo è l’albero di Rooter, non è vero? — domandò.
I due reagirono con calma ostentata, ma lo sguardo che si scambiarono gli disse che li aveva sorpresi, quasi sconcertati, con la sua conoscenza di un passato che consideravano di loro proprietà. Può darsi che io sia un framling qui, pensò Ender, ma non è detto che debba essere un framling ignorante.
— Sì — rispose Ouanda. — È il totem che hanno piantato per… averne le direttive più importanti. Cosa che accade da sette o otto anni. Non ci hanno mai lasciato assistere al rituale che adottano per parlare con i loro antenati, ma sembra che lo effettuino tambureggiando sull’albero con bastoni accuratamente ripuliti. A volte li abbiamo uditi, la notte.
— Bastoni? Ricavati da rami caduti?
— Così presumiamo. Perché?
— Perché non hanno utensili in pietra o metallo con cui tagliare la legna… non è così? D’altra parte, se adorano gli alberi, è da escludere che li abbattano.
— Non crediamo che adorino gli alberi. Sono simboli, totem, che rappresentano i loro antenati. Loro… li piantano. Sui cadaveri.
Ouanda avrebbe voluto smetterla di dargli informazioni per interrogarlo sui suoi propositi, ma Ender non intendeva lasciare che lei o Miro tenessero le redini di quella spedizione. Voleva parlare ai maiali di persona. Non aveva mai preparato un’elegia permettendo a qualcun altro di imporgli un metodo, e non avrebbe cominciato adesso. Inoltre possedeva notizie che loro non avevano: conosceva le teorie di Ela.
— E in altre occasioni? — chiese. — Li avete mai visti piantare alberi per altri motivi?
I due si guardarono. — No, che io sappia — disse Miro.
Quella di Ender non era semplice curiosità. Stava ancora pensando a ciò che Ela gli aveva detto sulle anomalie della riproduzione. — E gli alberi crescono anche da soli? Spargono le loro semenze e i germogli attraverso la foresta?
Ouanda scosse il capo. — Non abbiamo alcuna prova che alberi siano cresciuti altrove, se non sul corpo dei defunti. O meglio, tutti gli alberi della zona sono piuttosto vecchi, salvo questi tre qui fuori.
— Quattro fra poco, se non abbiamo fatto in tempo — disse Miro.
Ah! Ecco il motivo della tensione fra i due. L’impazienza di Miro era ansia d’impedire che un altro maiale fungesse da concime per le radici di una nuova pianticella. Mentre a preoccupare Ouanda era qualcosa del tutto diverso. Gli avevano già rivelato abbastanza di se stessi; ora poteva permettere che fossero loro a far domande. Alzò la testa e spinse lo sguardo fra il fogliame sopra di lui, osservando il normale sviluppo dei rami, il verde pallido della fotosintesi che confermava la convergenza, l’inevitabile parallelismo dell’evoluzione su pianeti d’ogni genere. Questo era il nocciolo dei paradossi di Ela: i meccanismi evolutivi di Lusitania erano cominciati entro gli stessi schemi osservati dagli xenobiologi sui Cento Mondi, ma lì nello schema s’era inserito qualcosa che lo aveva fatto collassare, spezzandolo. I maiali erano una delle poche dozzine di specie sopravvissute al collasso. Cos’era la Descolada, e come avevano fatto i maiali per adattarsi?
Avrebbe voluto dare un’altra piega alla conversazione chiedendo, ad esempio: perché siamo venuti proprio qui, accanto all’albero? Questo avrebbe incoraggiato Ouanda a interrogarlo. Ma in quel momento, con lo sguardo perduto nei movimenti delle fronde che ondeggiavano alla brezza, provò un’intensa sensazione di «déjà vu». Lui aveva già visto quelle foglie e quei rami, di recente. Ma era impossibile. Non c’erano grossi alberi su Trondheim, e all’interno di Milagre non ne cresceva nessuno. Perché il sole che filtrava fra quelle fronte gli era così familiare?
— Araldo… — cominciò Miro.
— Sì? — disse lui, concedendosi di scivolare fuori da quelle improvvise visioni oniriche.
— Noi non volevamo portarla qui — disse fermamente Miro. Però tutto il suo corpo era così orientato verso Ouanda da rivelare a Ender che aveva voluto condurlo lì, ma che provava la stessa riluttanza della ragazza a lasciargli intuire il legame che li univa. Voi siete innamorati, pensò Ender. E stasera, se sarà stasera che dirò la Verità sulla vita di Marcão, dovrò rivelarvi che siete fratello e sorella. Dovrò sollevare il sipario raggelante dell’incesto fra di voi. E per questo mi odierete.
— Lei sta per partecipare a… quelle che… — Ouanda non riuscì a costringersi a dirlo.
Miro sorrise. — Noi le chiamiamo Domande del Giorno. La cosa cominciò con Pipo, senza che lui volesse. Ma Libo la portò avanti deliberatamente, e noi continuiamo il suo lavoro. È calcolato, graduale. Non lo facciamo tanto per infrangere alla leggera gli ordini della Federazione. Il fatto è che qui ci sono state delle crisi, e noi abbiamo dovuto aiutare. Qualche anno fa, ad esempio, i maiali restarono a corto di macios, i vermi della corteccia di cui per lo più si nutrivano a quel tempo…
— Devi cominciare proprio con questo? — lo interruppe Ouanda.
Ah! pensò Ender. Per lei, invece, fornirmi un’impressione di solidarietà non è altrettanto importante.
— Lui è qui anche per parlare della morte di Libo — disse Miro. — E questi sono fatti accaduti immediatamente prima.
— Non abbiamo alcuna prova di un rapporto causale…
— Lasciate che sia io a scoprire le relazioni fra gli effetti e le cause — intervenne Ender con calma. — Ditemi cosa accadde quando i maiali cominciarono a soffrire la fame.
— Erano le mogli a soffrire la fame. Così dissero loro. — Miro ignorò le ansie di Ouanda. — Vede, sono i maschi a raccogliere il cibo per le femmine e i giovani, e nei dintorni non ce n’era abbastanza. Cominciarono ad accennare al fatto di andare in guerra, e anche a parlare di come sarebbero stati probabilmente uccisi tutti quanti. — Miro scosse il capo. — Ne sembravano quasi contenti.
Ouanda fece un passo avanti. — Lui non ha neppure preso un impegno con noi! Non ci ha promesso niente!
— Cosa volete che io prometta? — chiese Ender.
— Di non… far sì che queste cose…
— Di non parlare di ciò che fate?