Quante volte Miro s’era trovato lì a fianco di Ouanda, ambedue intenti a osservare Libo che si affaccendava con i maiali. Ma con Libo non avevano mai avuto difficoltà a capire: conoscevano la sua tecnica, erano al corrente dei suoi scopi. L’Araldo, invece, seguiva linee di pensiero che per Miro erano totalmente aliene. Malgrado fosse così umano, qualcosa in lui costringeva il giovane a chiedersi se non fosse un framling nel senso più esteso della parola, sconcertante quanto i maiali stessi.
E adesso cosa stava notando? Dove si accentrava la sua attenzione? Sull’arco che Freccia aveva a tracolla? Sui vasi cotti al sole colmi di radici di nerdona messe a mollo? Quali particolari riconosceva come frutto delle loro attività illegali, e quali pensava fossero il prodotto della cultura indigena?
I maiali srotolarono l’involto che conteneva La Regina dell’Alveare e l’Egemone. - Tu — disse Freccia. — Hai scritto tu questo?
— Sì — disse l’Araldo dei Defunti.
Miro guardò Ouanda. Negli occhi di lei ci fu un lampo truce e soddisfatto: dunque l’Araldo era un mentitore.
Human si fece avanti. — Questi altri due, Miro e Ouanda, pensano che lei sia un bugiardo.
Miro s’irrigidì, aspettandosi che l’Araldo si voltasse a guardarli. Ma lui non lo fece. — È naturale che lo pensino — disse invece. — Non hanno mai neppure sospettato che Rooter potesse dirvi la verità.
La placida dichiarazione dell’Araldo mise Miro a disagio. Poteva essere la verità? Dopotutto, chi viaggiava fra una stella e l’altra si lasciava alle spalle i decenni, a volte i secoli, specialmente se lo faceva di professione. Non sarebbero occorsi troppi viaggi, infine, perché l’effetto relativistico lo facesse balzare avanti di tremila anni. Ma che il primo Araldo dei Defunti fosse capitato proprio lì, questa era una coincidenza troppo incredibile. Salvo per il fatto che il primo Araldo era l’autore della Regina dell’Alveare e dell’Egemone, e quindi avrebbe voluto interessarsi alla prima razza di ramans scoperta dal tempo degli Scorpioni. No, non ci credo, disse Miro a se stesso. Ma dovette ammettere la possibilità teorica che la cosa fosse vera.
— Perché loro due sono così stupidi? — chiese Human. — Non sanno riconoscere la verità quando la vedono?
— Non sono stupidi — disse l’Araldo. — Ma è così che ragionano gli umani: noi mettiamo in discussione tutte le nostre credenze, eccetto le poche in cui crediamo veramente, e queste non pensiamo neppure di analizzarle. Loro non hanno mai pensato di dubitare dell’idea che il primo Araldo dei Defunti fosse morto tremila anni fa, anche se sanno bene come i viaggi interstellari prolungano la vita.
— Ma noi glielo abbiamo detto.
— No. Voi avete riferito che la Regina ha detto a Rooter che io ho scritto questo libro.
— E perciò avrebbero dovuto capire che era vero — insisté Human. — Rooter è saggio, è un padre, non farebbe mai un errore.
Miro non ridacchiò, ma avrebbe voluto farlo. L’Araldo credeva di essere razionale, però adesso era lì, dove tutte le domande più importanti finivano nel niente, dove la razionalità s’infrangeva contro l’insistenza con cui i maiali dicevano di parlare con i loro totem.
— Sì — annuì l’Araldo. — Sono molte le cose che non capiamo noi, e molte quelle che non capite voi. Dovremmo parlarne di più.
Human sedette a fianco di Freccia, dividendo con lui la posizione d’onore. Freccia non diede segno di farci caso. — Araldo dei Defunti — disse Human, — porterai da noi la Regina dell’Alveare?
— Non l’ho ancora deciso — disse l’Araldo.
Di nuovo Miro guardò Ouanda, incredulo. L’Araldo era forse impazzito, per lasciar intendere che poteva fare quel che non poteva esser fatto?
Poi ripensò alla sua frase di poco prima sulle credenze che uno non metteva mai realmente in discussione. Miro aveva sempre preso per oro colato ciò che si insegnava a scuola: tutti gli Scorpioni erano stati distrutti. Ma se invece una Regina fosse sopravvissuta? Che fosse stato proprio questo, il fatto di avere una di quelle creature con cui parlare, a consentire all’Araldo di scrivere il suo libro? Era estremamente improbabile, ma non impossibile. Miro non aveva mai dubitato della convinzione generale sul completo sterminio degli Scorpioni, anche perché in ben tremila anni non s’era mai trovata nessuna prova del contrario.
Ma se pure questa era la verità, com’era giunta a conoscenza di Human? La spiegazione più semplice era che i maiali avessero incorporato La Regina dell’Alveare e l’Egemone nella loro religione, e fossero incapaci d’afferrare il concetto che c’erano molti Araldi dei Defunti, che nessuno di essi era l’autore del libro, che gli Scorpioni erano morti tutti, e che lì non sarebbe mai giunta alcuna Regina. Questa era l’ipotesi più probabile, la più facile da accettare. Ogni altra spiegazione lo avrebbe costretto ad ammettere che l’albero-totem di Rooter in qualche modo comunicava con i maiali.
— Cosa può farti decidere? — chiese Human. — Noi facciamo doni alle mogli per vincere la loro castità, ma tu sei il più saggio di tutti gli umani e non abbiamo nulla di cui tu abbia bisogno.
— Voi avete molte cose di cui ho bisogno — disse l’Araldo.
— Quali cose? Non sai forse fare vasi migliori dei nostri? Archi più perfetti? La veste che io indosso è in lana di cabras, ma la tua è molto più bella.
— Non ho bisogno di cose come queste — disse l’Araldo. — Ciò che desidero sono le storie. Le storie vere.
Human si piegò in avanti e il suo corpo s’irrigidì, in segno d’impazienza e di eccitazione. — Oh, Araldo! — esclamò con voce alta e nitida per l’importanza di quelle parole. — Vuoi aggiungere la nostra storia a quelle della Regina dell’Alveare e dell’Egemone?
— Io non conosco la vostra storia — rispose lui.
— Domandacela! Domandaci tutto!
— Come posso raccontare la vostra storia? Io dico agli altri soltanto la storia di chi è morto.
— Noi siamo morti! — gridò Human. Miro non l’aveva mai visto così agitato. — Noi veniamo uccisi ogni giorno. Gli umani si stanno espandendo su tutti i mondi. Le navi viaggiano nella notte nera del cielo da stella a stella, popolando ogni posto libero. E noi siamo qui, sul nostro piccolo pianeta, a guardare il cielo che si riempie di umani. Loro hanno costruito quello stupido recinto per tenerci fuori, ma questo è niente. Il cielo è il nostro recinto! — Human balzò in su con un salto, di altezza sorprendente. Ma aveva gambe potenti. — Guarda come quel recinto mi respinge giù sul terreno!
Corse all’albero più vicino e si arrampicò sul tronco, più in alto di quanto Miro l’avesse mai visto salire. Si mise in piedi su un ramo e d’un tratto balzò in aria come se volesse tuffarsi verso il cielo. Per un terribile attimo restò immobile al culmine di quella parabola, poi la gravità lo fece precipitare al suolo.
Miro poté udire l’osceno ansito dell’aria che gli scaturiva dai polmoni. L’Araldo corse affannosamente a chinarsi su Human, e lui lo seguì. Vide subito che il maiale non respirava.
— È morto? — chiese Ouanda, alle sue spalle.
— No! — gemette uno dei maiali nella Lingua dei Maschi. — Tu non devi morire! No! No! No! — Miro si volse. Con sua sorpresa s’accorse che era Mangia-Foglie. — Tu non puoi morire!