Altri maiali s’accostarono al tronco, e cantando vi tracciarono sopra le forme più svariate. Ne trassero così bastoni, archi, dozzine di frecce, coltelli dalla lama affilata, e migliaia di quelle sottilissime strisce che usavano per intrecciare i canestri. Infine, quando una buona metà dell’albero era ormai consumata, tutti indietreggiarono poco più in là e continuarono a cantare in coro. Il tronco si spaccò in una mezza dozzina di lunghi pali. Non una scheggia del grande albero era rimasta così inutilizzata.
Human si separò lentamente dagli altri e s’inginocchiò accanto ai pali, poggiando dolcemente le mani sul più vicino. Attese che i compagni tacessero e poi, rovesciando la testa all’indietro, intonò una canzone senza parole simile a un lamento, così triste e melodiosa che a Miro parve intessuta di malinconia allo stato puro. La voce solitaria di Human saliva e scendeva tracciando arabeschi sonori interminabili, ma ad un tratto Miro si rese conto che tutti i maiali lo stavano fissando come se si aspettassero qualcosa da lui.
Fu Mandachuva che alla fine si decise ad avvicinarsi. — Per favore — gli disse sottovoce. — Sarebbe giusto che almeno tu cantassi per il fratello.
— Non saprei come fare — mormorò lui, intimorito e a disagio.
— Lui ha offerto la vita — disse Mandachuva, — per rispondere a una vostra domanda.
Per rispondere a una domanda e sollevarne mille altre, pensò Miro con una smorfia. Ma si mosse avanti, andò a inginocchiarsi accanto a Human, poggiò anch’egli le mani sullo stesso palo e alzò il volto al cielo lasciando che la voce gli uscisse di bocca. Dapprima non produsse che un mugolio esitante, incerto su cosa cantare, ma poi capì il significato di quella melodia aritmica, sentì la morta presenza del legno sotto le dita, e la sua voce si levò alta e forte intrecciandosi con effetti disarmonici a quella di Human. Con lui lamentò la morte dell’albero, lo ringraziò per il suo sacrificio e promise di usarne il corpo a beneficio della tribù, per i fratelli e le mogli e i figli, affinché tutti potessero vivere, crescere, prosperare. Questo era il senso della canzone, e questo era ciò che dava un senso alla morte dell’albero. Allorché fu finita Miro si piegò in avanti poggiando la fronte sul legno e pronunciò le tristi parole dell’Estrema Unzione, le stesse che aveva sussurrato sfiorando per l’ultima volta il corpo di Libo sul pendio della collina, cinque anni addietro.
CAPITOLO QUINDICESIMO
ELEGIA
HUMAN: — Perché nessuno degli altri umani viene mai a vederci?
MIRO: — Noi siamo i soli a cui è permesso uscire dal cancello.
HUMAN: — Allora perché gli altri non scavalcano il recinto?
MIRO: — Nessuno di voi ha mai toccato il recinto? (Human non risponde) Toccarlo è molto doloroso. Se ti arrampicassi sul recinto sentiresti ogni parte del tuo corpo riempirsi di sofferenza terribile e insopportabile.
HUMAN: — Questo è stupido. Forse che l’erba non cresce da tutte e due le parti?
Il sole distava dall’orizzonte non più di un’ora quando il sindaco Bosquinha salì le scale che portavano all’ufficio di monsignor Peregrino, in un’ala della cattedrale. Dom e Dona Cristães erano già lì, e non nascondevano le loro espressioni preoccupate. Il vescovo sembrava invece piuttosto soddisfatto di sé. Era sempre segretamente compiaciuto allorché tutti i leader politici e religiosi di Milagre si riunivano sotto il suo tetto. Poco importava che fosse stata Bosquinha a chiedere quella riunione, e che essendo la sola a possedere un veicolo avesse proposto lei di tenerla alla cattedrale. Peregrino assaporava la sensazione d’essere, in qualche modo, il padrone di Lusitania. Be’, pensò Bosquinha, prima della fine della riunione odierna potremmo accorgerci che nessuno di quanti sono in questa stanza è padrone di niente.
La donna salutò gli altre tre, ma ignorò la poltroncina che le veniva offerta e andò invece a sedersi davanti al terminale del vescovo. Lo accese, si collegò a quello del suo ufficio e chiese il programma che aveva predisposto. Nel campo olografico apparvero parecchi strati di piccoli cubi. Nello strato superiore ce n’erano pochi, in alcuni il doppio, in altri molti di più. Oltre la metà degli strati, compreso quello superiore, erano di colore rosso; i restanti erano tutti azzurri.
— Molto grazioso — disse monsignor Peregrino.
Bosquinha si volse a Dom Cristão. — Lei riconosce lo schema?
Lui scosse il capo. — Però credo di sapere perché lei ha chiesto questa riunione.
Dona Cristã si piegò in avanti, sulla sedia. — Ci sarà pure un modo di mettere al sicuro le cose che vogliamo tenere per noi!
L’espressione di distaccato compiacimento svanì dalla faccia di monsignor Peregrino. — Io non so perché questa riunione è stata chiesta.
Bosquinha ruotò sullo sgabello girevole per guardarlo. — Ero molto giovane quando il Comitato per l’Esplorazione e la Colonizzazione mi elesse governatore della Colonia Lusitania. Fu un grande onore essere scelta e vedermi dare fiducia. M’ero appena laureata in Sociologia e Scienze Politiche, e aveva alle spalle una brevissima carriera nell’amministrazione di Oporto. Ciò che il Comitato evidentemente sottovalutò furono certi miei difetti, poiché avevo già fama d’essere sospettosa, intrigante e sciovinista.
— Lei ha anche virtù che tutti noi abbiamo imparato ad apprezzare — le concesse monsignor Peregrino.
Bosquinha sorrise. — La conseguenza del mio sciovinismo fu che appena ebbi in mano la colonia divenni più leale agli interessi di Lusitania che a quelli della Federazione Starways e dei Cento Mondi. La mia propensione all’intrigo mi aiutò a convincere il Comitato che, al contrario, la mia fedeltà agli interessi del Consiglio era a prova di bomba. E la mia sospettosità mi portò a credere che al Consiglio non passava neppure per il capo l’ipotesi di conferire un giorno a Lusitania l’indipendenza e uno stato uguale a quello degli altri Cento Mondi.
— Questo è naturale — la informò monsignor Peregrino. — Lusitania è una colonia.
— Noi non siamo una colonia — disse Bosquinha. — Siamo un esperimento. Ho studiato bene il nostro statuto, i nostri permessi, la legislazione e gli ordini federali emessi circa questo pianeta, e ho scoperto che le normali leggi per la tutela dell’intimità dei cittadini e degli enti pubblici non si applicano a noi. Questo significa che il Comitato ha illimitato potere di accesso a tutta la documentazione relativa ad ogni persona o istituzione su Lusitania.
Il vescovo s’accigliò, irritato. — Mi sta dicendo che il Comitato ha il diritto di mettere il naso nei documenti riservati della Chiesa?
— Ah! — disse Bosquinha. — Ecco un altro sciovinista.
— La Chiesa, qui, ha dei diritti ben precisati dal Codice Starways!
— Non se la prenda con me.
— Lei non me lo ha mai detto!
— Se gliel’avessi detto, lei avrebbe protestato, e loro avrebbero fatto finta di cedere. E io non avrei potuto fare quello che ho fatto.
— E sarebbe?
— Questo programma. Monitorizza tutti gli accessi fatti via ansible a ogni banco-dati di Lusitania.
Dom Cristão ridacchiò. — Lei non aveva alcun diritto di far questo.
— Lo so. Come dicevo, ho molti vizi e difetti. Ma il mio programma non ha mai rivelato una pesante intrusione. Be’… alcuni fascicoli personali spiati, quando i maiali hanno ucciso i nostri due xenologi, piccole indagini abbastanza scontate… ma niente di più. Fino a quattro giorni fa.