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Molta gente aveva dichiarato che non sarebbe andata a sentire nessuna elegia. Erano buoni cattolici, no? E il vescovo non aveva forse detto che quell’Araldo parlava con la voce di Satana?

Ma c’erano altre cose che si sussurravano ormai da qualche giorno. Dicerie infondate, con ogni probabilità, e tuttavia Milagre era una piccola città dove i pettegolezzi erano la salsa sulla pietanza della vita; ed essi non servivano a nessuno, a meno che non circolassero in modo che se ne potesse discutere. A scorno dei progressi scientifici, il pettegolezzo era sempre il mezzo di comunicazione più veloce dell’ansible. Così era subito corsa voce che la figlioletta di Marcão, Quara, che non aveva mai aperto bocca davanti a nessuno, era diventata tanto ciarliera da farsi rimproverare perfino in classe. E Olhado, quel ragazzo scostante con i ripugnanti occhi di metallo, si diceva che d’improvviso fosse amichevole ed espansivo con tutti. Schizofrenici? Posseduti dal demonio? Nelle chiacchiere cominciò a infiltrarsi l’insinuazione che l’Araldo avesse il tocco risanatore, o l’occhio del diavolo, o che potesse levare e mettere una fattura, o che riuscisse a farsi ubbidire grazie a poteri ipnotici. Le voci non giungevano agli orecchi di tutti, naturalmente, e pochi ci credevano davvero. Ma nei quattro giorni che corsero fra l’arrivo dell’Araldo e l’annuncio dell’elegia per il defunto Marcos Maria Ribeira la comunità di Milagre decise (o meglio, ciascuno giunse privatamente alla decisione) che sarebbe intervenuta all’elegia e avrebbe ascoltato quello che l’Araldo aveva da dire, con o senza il beneplacito di sua eminenza il signor vescovo.

I cinici avevano subito capito l’errore di mons. Peregrino. Definendo satanico l’Araldo, lo aveva posto d’autorità all’estremo rispetto a tutti i buoni cattolici. Lo straniero era dunque l’opposto di loro, e una posizione simile doveva pur essersela meritata per un solido motivo. Quelli teologicamente non sofisticati avevano sempre saputo che Dio e il Diavolo avevano pari poteri, qualunque cosa ne dicessero i preti, con la differenza che, mentre i poteri di Dio erano monotonamente tesi al bene, quelli del Diavolo facevano leva sulla paura, sul bizzarro, sull’orrido, e suscitavano molta più curiosità e interesse. Inoltre, a convincere i più indecisi, accadde che quel giorno tutti i programmi televisivi trasmessi via ansible dai Cento Mondi s’erano interrotti, con gran disgusto delle massaie di Milagre, e verso sera perfino i filmati che ogni famiglia immagazzinava a migliaia nel suo terminale scomparvero di colpo, come se il guasto inspiegabile si fosse esteso anche alle registrazioni.

Così, anche se l’annuncio dell’elegia fu dato appena un’ora prima del suo inizio, il praça era pieno di gente. Moiti s’erano fatti ricevere dagli amici sui balconi e alle finestre delle case circostanti, e tutti gli spazi erbosi erano affollati di cittadini a cui quella ressa non dispiaceva affatto, perché vi vedevano la conferma che gli altri erano curiosi quanto loro. Nessuno dava più voce ai pettegolezzi: in pubblico si esibiva il distaccato scetticismo delle persone colte. Ma essi erano lì, come un’atmosfera di cui si avvertiva la presenza, e i più sensibili s’erano già accorti che per qualche motivo la folla era meno rumorosa di quel che ci si poteva aspettare. Il sindaco Bosquinha aveva — come previsto dalla legge — fornito l’Araldo del semplice microfono a risonanza che usava anche lei nelle rare riunioni pubbliche. La gente s’era disposta in un vasto semicerchio attorno alla piattaforma da cui lo straniero avrebbe parlato, e quasi tutti gli occhi erano già puntati sulle persone sedute in fila su di essa. Non erano poche. Al centro la famiglia di Marcão, naturalmente. Accanto a loro il sindaco, naturalmente. Ma c’erano anche Dom Cristão e Dona Crista, e parecchi sacerdoti della curia in abito talare. E poi il dr. Navio; la vedova di Pipo, Conceição, l’anziana archivista; la vedova di Libo, Bruxinha, e le sue figlie. Correva voce che l’Araldo avrebbe fatto l’elegia anche per Pipo e per Libo, un giorno o l’altro.

E ad un tratto, proprio mentre l’Araldo saliva sulla piattaforma, all’ingresso del praça si levò un mormorio che fece voltare tutti: era arrivato monsignor Peregrino. Non indossava l’abito talare, ma il suo poco vistoso completo clericale da tutti i giorni. Venuto lì personalmente, ad ascoltare un uomo da lui definito blasfemo! Molti cittadini di Milagre si prepararono per i succosi pettegolezzi dell’indomani, altri fremettero: il vescovo intendeva levare la mano a invocare un fulmine sul servo di Satana? Oppure avrebbe atteso una parola sbagliata dell’Araldo per accusarlo di bestemmia e far intervenire immediatamente le guardie?

L’Araldo s’era intanto fermato davanti al microfono, e attendeva che quei mormoni tacessero. Era un uomo giovane, abbastanza alto e d’aspetto piacente, ma la sua carnagione pallida lo faceva sembrare malaticcio a paragone delle varie sfumature olivastre dei Lusos. Anche un po’ fantomatico. La gente tacque, e lui cominciò a parlare:

— Tre erano i nomi con cui lo conoscevate. L’anagrafe registra il primo, quello ufficiale: Marcos Maria Ribeira. E due date: nato nel 1929, morto nel 1970. Lavorava nella fonderia, al materiale d’acciaio. Non ebbe mai incidenti. Non fu mai arrestato. Aveva una moglie e sei figli. Un cittadino modello, poiché non fece mai nulla di tanto grave da restare scritto nel suo fascicolo personale.

Molti degli spettatori provarono un vago disagio. S’erano attesi un oratore, mentre il tono dell’Araldo non sapeva affatto di comizio. E le sue parole non avevano nulla della formalità religiosa dei sermoni: semplici e pacate, gli uscivano di bocca come in un discorso fra amici. Soltanto pochi notarono come proprio quella semplicità bastasse a renderlo fortemente credibile. Non stava dicendo la Verità con l’accompagnamento di trombe; si limitava a raccontare la verità, quella di cui non si dubita poiché sono presenti persone che l’hanno vista accadere. Monsignor Peregrino fu uno di quelli che lo notò, e non ne fu lieto. L’Araldo gli appariva sempre più un avversario poco vulnerabile al suo modo di fare fuoco e fiamme dal pulpito.

— Il suo secondo nome era Marcão. Grosso Marcos. Perché era un colosso d’uomo. Raggiunse la sua altezza da adulto molto precocemente. Quanti anni aveva quando cominciò a sfiorare i due metri? Undici? Dodici al massimo. La sua robustezza fisica lo rese prezioso nella fonderia, dove solo i lavori pericolosi sono lasciati ai robot e la forza conta ancora. A volte la vita dei compagni dipendeva dalle braccia vigorose di Marcão.

Gli uomini della fonderia che erano nel praça annuirono. S’erano trovati d’accordo sulla decisione che nessuno di loro avrebbe mai parlato al framling ateo. Ovviamente qualcuno invece l’aveva fatto, ma ora era bene che l’araldo accennasse alla loro fatica, e non sbagliava a dire che quello era proprio il modo in cui ricordavano Marcão. In quel momento ognuno di essi desiderò essere quello che aveva parlato all’Araldo di Marcão. Non sospettarono che lui non avesse, in realtà, contattato nessuno di loro. Dopo tutti quegli anni erano molte le cose che Andrew Wiggin sapeva senza bisogno di domandarle.

— Il suo terzo nome era Cão. Cane.

Ah, sì, pensarono i Lusos. Questo è giusto quel che si dice degli Araldi dei Defunti. Non hanno rispetto per i morti, nessun decoro.

— Questo era il nome con cui vi riferivate a lui quando sentivate dire che sua moglie, Novinha, aveva un altro occhio nero, o camminava zoppicando, o aveva un labbro spaccato. Nel farle questo lui si comportava come un animale.

Come osava dire questo? Ribeira era morto! Ma dietro la rabbia dei lusitani era qualcos’altro ciò che li pungeva. Quasi tutti ricordavano di aver pronunciato o sentito dire quelle stesse parole. L’indiscrezione dell’Araldo stava nell’aver ripetuto in pubblico ciò che loro erano abituati a dire quando Marcão era vivo.