Respirando affannosamente Quim si guardò attorno, come smarrito, e per qualche attimo parve vacillare; poi saltò giù dalla piattaforma e a gomitate si aprì la strada fra la gente. Nessuno gli rivolse una parola, anche se gli sguardi di tutti lo seguivano. Se Novinha avesse negato l’accusa loro l’avrebbero creduta, avrebbero addirittura aggredito l’Araldo per aver osato imputare un peccato di quel genere alla figlia degli Os Venerados. Ma lei non aveva negato. Aveva ascoltato le parole oscenamente accusatrici di suo figlio e non s’era alzata a colpirlo. Era vero. E adesso tutti assistevano morbosamente affascinati. Pochi erano così sensibili da preoccuparsi delle conseguenze. Ciò che volevano sapere era il nome dell’uomo con cui Novinha aveva commesso l’adulterio.
Con voce fin troppo pacata l’Araldo continuò la sua storia. — Dopo la morte dei suoi genitori, e prima che i suoi figli nascessero, due sole furono le persone che Novinha amò con tutto il cuore. Pipo fu un secondo padre per lei. Fu l’ancora a cui ella poté legare la sua vita e trattenerla dall’andare alla deriva. Per pochi e brevi anni, grazie a lui seppe cosa significasse avere una famiglia. Poi Pipo morì, e Novinha si persuase che era stata lei ad ucciderlo.
Gli occhi della gente s’erano però spostati su Quara, che era andata a inginocchiarsi accanto a Ela. — Perché Quim è così arrabbiato? — la sentirono chiedere.
Sottovoce Ela rispose: — Perché papai non era il nostro vero padre.
— Oh! — disse Quara. — E nostro padre è l’Araldo, adesso? — Il suo tono sembrò speranzoso. Ela la azzitti.
— La sera in cui Pipo morì — disse l’Araldo, — Novinha gli aveva mostrato una cosa da lei scoperta, una cosa collegata strettamente con la Descolada e con i meccanismi genetici delle piante e degli animali di Lusitania. Nel lavoro della ragazza Pipo vide più di quel che ci aveva visto lei stessa. E corse fuori, nella foresta, per indagare subito fra i maiali. Forse disse loro ciò che aveva scoperto. Forse furono essi a intuirlo. Ma Novinha incolpò se stessa per avergli mostrato quel segreto, un segreto tale che i maiali, pur di mantenerlo, uccisero.
«Era troppo tardi per porre rimedio a quel che aveva fatto, ma Novinha poteva impedire che ciò accadesse ancora. Così pose un blocco a tutti i documenti collegati alla Descolada e al lavoro che aveva mostrato a Pipo quella sera. Sapeva chi avrebbe voluto vedere quelle registrazioni, e questi era Libo, il nuovo zenador. Ma se Pipo era stato come un padre per lei, Libo era stato un fratello, e più che un fratello. E se la morte di Pipo l’aveva fatta soffrire, quella di Libo le avrebbe spezzato il cuore assai di più. Lui le chiese quei documenti, le impose di lasciarglieli esaminare. Lei rispose che non gli avrebbe permesso di vederli.
«Entrambi sapevano esattamente ciò che questo significava. Se mai lui l’avesse sposata, sarebbe stato suo diritto togliere il blocco alle registrazioni. Sì, sposata… perché si amavano disperatamente, e avevano bisogno l’uno dell’altra più dell’aria che respiravano. Ma Novinha non poteva più unirsi in matrimonio con lui. Libo non le avrebbe mai promesso di non esaminare quei documenti, e anche se avesse promesso non avrebbe mantenuto. Avrebbe visto ciò che suo padre aveva visto. E sarebbe morto della stessa morte.
«Rifiutarsi di sposarlo era una cosa. Riuscire a vivere senza il suo amore era un’altra cosa. Così non volle vivere senza di lui. Strinse il suo patto con Marcão: davanti alla legge avrebbe sposato lui. Ma il suo vero marito, il padre dei suoi figli, sarebbe stato Libo. E così fu.
Col volto rigato di lacrime Bruxinha, la vedova di Libo, si alzò in piedi e gemette: — Mentira, mentira! — Bugie, bugie. Ma nel suo tono non c’era rabbia, soltanto dolore. Stava piangendo la perdita di suo marito e nient’altro. Tre delle sue figlie la aiutarono ad andarsene dal praça.
Mentre la guardava allontanarsi l’Araldo continuò, a voce più bassa: — Libo sapeva che stava facendo del male alla sua sposa, Bruxinha, e alle loro quattro figlie. Odiava se stesso per il modo in cui agiva. Cercò di stare lontano da Novinha. E per mesi, a volte per anni, vi riuscì. Anche lei volle tentare questo; rifiutò di vederlo, evitò di parlargli, proibì perfino ai suoi figli di menzionare il suo nome. Ma poi Libo s’illudeva d’essere abbastanza forte da poter avvicinare Novinha senza provare niente per lei. E Novinha finiva per sentirsi troppo sola, con un marito che non poteva essere paragonato in nulla a Libo. Non cercarono d’ingannare se stessi pensando che ci fosse qualcosa di buono in ciò che facevano. Soltanto, non avrebbero potuto stare lontani troppo a lungo l’uno dall’altra.
Bruxinha udì questo, mentre la conducevano via. Non le fu di troppo conforto, ormai, com’era comprensibile; ma monsignor Peregrino la seguiva con lo sguardo e si rese conto che l’Araldo le stava facendo un dono. Della sua spietata verità lei era stata la vittima più innocente, però lui non le lasciava portare via solo le ceneri del suo dolore; le stava dando un modo di vivere il ricordo di ciò che suo marito aveva fatto. Non c’è stata colpa in te, le diceva, non era qualcosa che avresti potuto impedire o prevenire, ed era tuo marito a sbagliare, non tu. Vergine pietosa, pregò il vescovo in silenzio, fa’ che Bruxinha abbia compreso queste parole e le creda.
La vedova di Libo non era la sola a piangere. Molti degli occhi che la guardavano andarsene dal praça erano umidi di lacrime. Scoprire che Novinha commetteva adulterio era sbalorditivo, ma eccitante: quella donna altezzosa aveva dunque delle debolezze umane, non era migliore di altri. Però non c’era nessun piacere nello scoprire lo stesso difetto in Libo. Tutti lo avevano amato. Lui aveva avuto il dono della gentilezza, della generosità, della saggezza, e loro non volevano pensare che questo fosse stato una maschera.
Così furono sorpresi, quando l’Araldo ricordò a chi lo ascoltava che non era lì per parlare di Libo. Non quel giorno. — Per quale motivo Marcos Ribeira consentì a questo? Novinha pensava che fosse perché lui voleva una moglie, e l’illusione di avere dei figli, allo scopo di nascondere la sua vergogna alla comunità. E in parte era così. Soprattutto, però, lui volle sposarla perché l’amava. Non giunse mai a sperare che lei lo avrebbe ricambiato con lo stesso genere di amore, perché continuava a vederla su un piedistallo, ad adorarla come una divinità, e lui sapeva di essere malato, tarato e ripugnante, un animale che gli altri disprezzavano. Sapeva che lei non avrebbe mai potuto adorarlo, e neppure amarlo. Tutto ciò che sperava era che lei provasse, un giorno o l’altro, un certo affetto. Che lei potesse diventargli… fedele.
L’Araldo chinò il capo e restò immobile. I Lusos poterono udire le parole che evitava di pronunciare: lei non l’aveva fatto, mai.
— Ogni figlio, quando veniva — disse l’Araldo, — era la prova, per Marcos, che lui continuava a fallire, che la dea ancora lo trovava immeritevole. Perché? Lui le era fedele. Lui non aveva mai, neppure con un accenno, fatto capire a uno dei ragazzi che loro non erano figli suoi. Non aveva mai rotto la promessa fatta a Novinha. Dunque non meritava qualcosa da lei? A volte questo era più di quanto poteva sopportare. E allora lei gli appariva insensata, non più una dea, e i suoi figli erano tutti bastardi. Questo era ciò che gridava dentro di sé quando si scagliava contro di lei, o contro Miro.
Miro udì il suo nome, ma non lo riconobbe come qualcosa che aveva a che fare con lui. 1 suoi collegamenti con la realtà erano più fragili di quanto avrebbe supposto, e quel giorno aveva già subito troppi shock. L’impossibile magia dei maiali con l’albero. Sua madre e Libo, amanti. E Ouanda, che gli era stata più vicina del suo stesso corpo, all’improvviso strappata via da lui e relegata al rango di parente, come Ela, come Quara, un’altra sorella. I suoi occhi fissavano l’erba senza metterla a fuoco. La voce dell’Araldo era puro suono e da essa non percepiva significati: soltanto un suono, terribile, Ed era stato lui a chiamare lì quella voce, perché parlasse di Libo. Come immaginare che invece del benevolo sacerdote d’una religione umanistica avrebbe avuto il primo Araldo in persona, con la sua mente troppo penetrante, troppo indagatrice? Come immaginare che quella maschera di comprensione celasse Ender il Distruttore, il mitico Lucifero del più grande crimine della razza umana? Lui era venuto lì determinato a tener fede al suo nome. S’era fatto beffe del lavoro di una vita di Pipo, di Libo, di Ouanda e del suo, riuscendo a vedere in un’ora ciò che gli altri non erano riusciti a vedere in quasi cinquant’anni. E poi aveva reciso il legame fra lui e Ouanda con il bisturi spietato della verità, d’un sol colpo. Questa era la voce che Miro udiva, la sola realtà concreta che gli rimaneva, inesorabilmente solida in un mondo che al suo echeggiare andava in pezzi. Cercò di aggrapparsi a quel suono, cercò di odiarlo e sfuggirlo, e in entrambi i tentativi fallì. Perché sapeva, non poteva nasconderselo, sapeva che Ender era un distruttore, ma ciò che distruggeva erano le illusioni, e le illusioni dovevano morire. Dovevano lasciare il posto alla verità: quella sui maiali, quella su se stessi. Chissà come, questo uomo antico è capace di vedere la verità, ed essa non lo acceca né lo fa impazzire. Io devo ascoltare la sua voce e lasciare che lo stesso potere venga a me, così anch’io, Miro, riuscirò a guardare la luce e non ne sarò ucciso.