Выбрать главу

Quanto siamo stati stupidi a illuderci di poterli tenere alla larga dalla nostra cultura. Sono stati i maiali a nasconderci i loro segreti, invece, mentre diguazzavano nei nostri. Alla faccia della superiorità culturale.

Miro si chinò a strappare un po’ di capim.

— No — disse Mandachuva, levandogli l’erba di mano. — Non devi prendere la parte della radice. Se prendi la radice, non ti serve a niente. — Gettò via gli steli e ne raccolse un altro, spezzandolo a una decina di centimetri dal suolo. Lo arrotolò, glielo porse, e Miro se lo mise in bocca. Aveva un sapore acre e forte.

Mandachuva cominciò a dargli colpetti e pizzicotti.

— Lascia perdere questo — bofonchiò lui. — Vai a prendere Ouanda. Possono arrestarla da un momento all’altro. Vai. Coraggio, muoviti.

Mandachuva interrogò i compagni con lo sguardo. Poi, come a un invisibile segnale di consenso, corse via lungo il recinto verso i pendii di Vila Alta, dove abitava la ragazza.

Miro continuò a masticare. Dopo un po’ si diede un pizzicotto. Come avevano detto i maiali sentì il dolore, ma non gliene importò niente. Tutto ciò che gli importava era il fatto di avere una via d’uscita, il modo di restare su Lusitania. Restare, forse, con Ouanda. Dimenticare le leggi e le usanze. Esse non avrebbero più avuto nessun potere su di lui, una volta uscito dalla comunità umana ed entrato nella foresta dei maiali. Sarebbe diventato un ribelle, come già lo accusavano d’essere, e lui e Ouanda avrebbero potuto lasciarsi alle spalle gli assurdi pregiudizi umani e vivere come volevano, avere dei figli e allevarli con nuovi valori morali, conoscere i segreti di quella natura, imparare dai maiali. Allora ci sarebbe stato qualcosa di nuovo nei Cento Mondi, e la Federazione non avrebbe potuto far niente per fermarli.

Corse al recinto, afferrò le maglie e si tirò su con ferrea determinazione. Il dolore era quello che aveva già sperimentato, violentissimo, ma non gliene importò e si arrampicò verso la cima. Tuttavia ad ogni istante la sofferenza aumentava, e cominciò a trovarla insopportabile, cominciò a sentirla, e cominciò a comprendere anche che il capim non aveva il benché minimo effetto anestetico su di lui. Quando se ne rese conto era già alla sommità del recinto. Poi il dolore gli avvolse il corpo e la mente in una sola fiamma, bruciando via i suoi pensieri. Il peso del torace lo fece piegare in avanti, sopra il bordo metallico, ma non bastò a farglielo scavalcare del tutto. Ogni sua cellula era un animale urlante nel fuoco che lo divorava e lo trascinava nel nulla.

I Piccoli guardavano inorriditi. Là in bilico sul recinto, mezzo dentro e mezzo fuori, il loro amico sembrava un pezzo di carne privo di vita, scosso da strani tremili convulsi. D’un tratto si riscossero, gridando, e balzarono avanti per cercare di afferrarlo e tirarlo giù. Ma poiché non avevano masticato il capim non osarono sfiorare il reticolato.

Mandachuva era già lontano un centinaio di metri, ma sentendoli urlare tornò indietro di corsa. Nel suo corpo era rimasto abbastanza anestetico, così poté arrampicarsi e spingere il pesante corpo dell’umano oltre il bordo. Miro precipitò al suolo con un tonfo sordo e restò accartocciato sull’erba, con un braccio contro ii recinto. Quando i maiali lo trascinarono via videro che aveva gli occhi rovesciati nelle orbite e i denti scoperti in un terribile rìctus d’agonia.

— Presto! — gridò Mangia-Foglie. — Prima che muoia, dobbiamo piantarlo!

— No! — si oppose Human, spingendo via Mangia-Foglie dal corpo rigido del giovane. — Noi non sappiamo se sta morendo! Il dolore è solo un’illusione, lo sapete, e lui non ha ferite. Il dolore se ne andrà e…

— No, non se ne va — disse Freccia. — Guardalo!

Miro aveva i pugni stretti, le caviglie intrecciate, il corpo inarcato all’indietro. Benché traesse respiri corti e secchi, regolari, il suo volto sembrava distorto da una sofferenza sempre maggiore.

— Prima che muoia — disse Mangia-Foglie, — dobbiamo dargli radici.

— Chiamiamo Ouanda — disse Human. Si volse a Mandachuva. — Subito! Vai a dirle che Miro sta morendo. Dille che il cancello non si apre, che Miro è qui fuori, e che sta morendo.

Mandachuva scattò via di corsa.

Il segretario aveva aperto la porta, ma Ender non si rilassò finché non vide entrare Novinha. Quando aveva mandato Ela a chiamarla era stato sicuro che sarebbe venuta; tuttavia, in quegli interminabili minuti d’attesa, aveva cominciato a dubitare dell’opinione che s’era fatto di lei. Il suo arrivo, dunque, lo sollevò soprattutto perché spazzava via questa incertezza. Notò subito che portava i capelli sciolti, lisci e nerissimi, e per la prima volta dal suo atterraggio su Lusitania Ender riuscì a sovrapporre il volto di lei a quello della fanciulla che aveva lanciato la sua chiamata per ansible, meno di due settimane prima, più di ventidue anni prima.

Appariva tesa, preoccupata, ma questo era dovuto solo in parte al fatto d’essere lì, nell’ufficio dell’autorità religiosa di Lusitania, subito dopo che la sua reputazione era crollata a pezzi davanti a tutti i concittadini. Ela doveva averle detto di Miro, ed era questo a renderla così ansiosa. Ender lo capì, però c’erano altre cose in lei: il passo più lungo e rilassato, lo sguardo che non faticava a sostenere quello degli altri, erano atteggiamenti che rivelavano una maggiore disponibilità al contatto, erano il dono che lui aveva sperato d’essere riuscito a farle, e di cui forse lei stessa non s’era ancora accorta. Io non ero venuto per farti del male, Novinha, e sono felice di vedere che la mia elegia non ti ha dato soltanto la vergogna, ma anche qualcosa che avevi perduto.

Novinha si fermò a un paio di metri dalla scrivania, guardando il vescovo. Se Peregrino, conoscendola, s’era aspettato uno sguardo di sfida, fu sorpreso di vedere in lei soltanto una tranquilla dignità. Rispose al suo saluto con uguale cortesia e la invitò a sedersi. Dom Cristão fece per alzarsi e offrirle il suo sgabello, ma lei scosse il capo con un sorriso e andò a sedersi sulla poltroncina vuota accanto a Ender. Ela rimase in piedi con una mano poggiata sullo schienale, dietro la madre, e in parte anche dietro allo stesso Ender. Come una figlia fra i suoi genitori, pensò lui. Poi scacciò quella riflessione, imbarazzato. C’erano cose ben più pressanti a cui volgere la mente.

— Vedo — gli disse Bosquinha, — che lei ci ha preparato una riunione più interessante del previsto.

— Penso che di questo dovremmo ringraziare la Federazione, e non l’Araldo — osservò Dona Cristã, di malumore.

— Suo figlio — disse monsignor Peregrino, — è accusato di aver commesso un grave delitto contro…

— So di cosa è accusato — lo interruppe Novinha. — Non l’ho saputo fino a questa sera, quando mia figlia me l’ha detto, ma non ne sono sorpresa. Anche mia figlia Elanora ha infranto certe regole che sua madre aveva stabilito per lei. Entrambi sono molto più fedeli alla loro coscienza che alle regole imposte loro da altri. È un grave difetto, se lo scopo delle regole è di mantenere l’ordine; ma quando una persona si propone la conoscenza, è una virtù.

— Non siamo qui per mettere suo figlio sotto processo — la placò Dom Cristão.

— Vi ho chiesto di riunirvi qui — intervenne Ender, — perché è necessario decidere se adeguarci o meno agli ordini della Federazione Starways.

— Non abbiamo molta scelta — disse monsignor Peregrino.

— Vi sono molte scelte — affermò Ender, — e molte ragioni per scegliere. Voi ne avete già fatta una: quando avete visto minacciate le vostre memorie computerizzate avete deciso di salvarle. E avete deciso di fidarvi di me, uno straniero. La vostra fiducia non sarà delusa: io vi restituirò queste registrazioni quando vorrete, senza alterazioni, e senza averle lette.