— Ti sono molto grato per la tua gentilezza — disse Ender.
— Io non posso dire questo nella Lingua delle Mogli — si lamentò subito Human.
— Diglielo nella tua lingua, per favore.
Il maiale eseguì. Urlatrice alzò una mano e toccò la fronte liscia di Ender, poi la mandibola che cominciava a irruvidirsi di barba non rasata. Gli sfiorò ciglia e sopracciglia, e lui chiuse gli occhi ma non allontanò il dito che gli passava delicatamente su una palpebra.
Urlatrice disse qualcosa, e Human tradusse: — Tu sei il santo Araldo? — Ma Jane corresse quella versione: — Lui ha aggiunto la parola «santo».
Ender si volse a guardare Human. — Io non sono santo — disse.
Il maiale s’irrigidì.
— Diglielo.
Human si mostrò agitato per qualche istante, poi evidentemente decise che il meno pericoloso dei due era Ender. — Lei non ha detto «santo».
— Ripetimi quel che ha detto, con la maggior esattezza possibile — lo esortò Ender.
— Se tu non sei un santo — obiettò Human, — come fai a sapere che lei non ha detto quella parola?
— Per favore — disse Ender, — sii sincero nel tradurre, e preciso.
— Con te posso essere sincero — protestò Human. — Ma quando parlo a lei è la mia voce che lei sente dire le tue parole. Io devo dire… con prudenza.
— Sii preciso — ripeté Ender. — Non aver paura. È importante che lei sappia esattamente quel che dico. Dille questo. Dille che la prego di perdonarti se tu parli con poca educazione, ma io sono un rozzo framling e tu devi tradurre alla lettera le mie parole.
Human roteò gli occhi nelle orbite, ma si volse a Urlatrice e le spiegò il concetto.
Lei rispose brevemente, e il maschio tradusse: — Dice che non ha la testa scavata dalle radici di nerdona. Naturalmente questo l’aveva capito.
— Dille che noi umani non avevamo mai visto prima un albero così grosso. Chiedile di spiegarci cosa fanno lei e le altre mogli con questo albero.
Ouanda era sbigottita. — Di lei si potrà dire tutto, ma non che mena il can per l’aia quando ha qualcosa da chiedere.
Ma quando Human ebbe tradotto la domanda di Ender, Urlatrice si accostò immediatamente all’albero, vi poggiò le mani e cominciò a cantare.
Avvicinatisi anch’essi al tronco, i tre esseri umani poterono vedere la massa di creaturine che strisciavano sulla corteccia. Molte di loro non superavano i quattro o cinque centimetri di lunghezza. Avevano un vago aspetto fetale, benché sui corpi rosati si scorgesse un velo di peluria scura. I loro occhi erano aperti. Si arrampicavano l’una sull’altra, sforzandosi di conquistare un posto su una delle particelle di sostanza pastosa disseccata che chiazzavano il tronco.
— Pasta d’amaranto — constatò Ouanda.
— Bambini — fu il sussurro di Ela.
— Non bambini — disse Human. — Questi sono quasi abbastanza cresciuti da saper camminare.
Ender avvicinò una mano alla corteccia. Urlatrice interruppe all’istante la sua canzone, ma lui la ignorò e appoggiò le dita sul legno a pochi millimetri di distanza da un giovane maiale.
La piccola creatura continuò ad arrampicarsi, gli salì sul dito e vi si aggrappò saldamente. — Conoscete il nome di questo? — chiese Ender.
Rigido per lo spavento Human si affrettò a tradurre. Ebbe subito la risposta di Urlatrice. — Questo è uno dei miei fratelli — disse. — Non avrà un nome finché non potrà camminare su due gambe. Suo padre è Rooter.
— E sua madre? — chiese Ender.
— Oh, le piccole madri non hanno mai nomi — disse Human.
— Chiediglielo.
Human pose la domanda e la femmina rispose. — Dice che sua madre era molto forte e coraggiosa. È riuscita a ingrassare molto, mentre portava dentro di sé i suoi cinque figli. — Il maiale si toccò la fronte. — Cinque figli è un gran bel numero. E lei era abbastanza grassa da nutrirli tutti.
— È stata sua madre a portare la pasta che lo nutre?
Human apparve inorridito. — Araldo, io non posso domandare questo. In nessuna lingua!
— Perché no?
— Te l’ho detto. Lei era abbastanza grassa da nutrire tutti e cinque i suoi bambini. Rimetti giù quel piccolo fratello, e lascia che la moglie canti all’albero.
Ender poggiò di nuovo la mano sul tronco, e l’esserino zampettò via. Urlatrice ricominciò a cantare. Ouanda aveva stretto i denti, contrariata dall’imprudenza di lui. Ma Ela era eccitata. — Non vedete? I nuovi nati si nutrono sul corpo della loro madre.
Ender si ritrasse, accigliato.
— Come puoi dir questo? — chiese Ouanda.
— Guardate come strisciano su per l’albero, proprio come piccoli macios. I maiali e i macios devono esser stati in competizione. — Ela indicò una zona della corteccia libera dalle chiazze d’amaranto. — L’albero emette linfa. Qui, dalle fessure. Prima della Descolada dovevano esserci degli insetti che si nutrivano della linfa, e i macios e i piccoli maiali competevano per mangiarli. Ecco perché i maiali poterono mescolare le loro molecole genetiche con quelle degli alberi. Non solo i loro infanti vivono qui, ma gli adulti devono costantemente arrampicarsi sugli alberi per togliere di mezzo i macios. Anche se avevano abbondanza di altre fonti alimentari, erano sempre legati a questi alberi dal loro ciclo vitale. Molto prima che essi stessi diventassero alberi.
— Noi studiamo la società attuale dei maiali — disse Ouanda, impaziente, — non il loro lontanissimo passato evolutivo.
— E io sto conducendo un delicato negoziato — disse Ender. — Perciò siate così gentili da starvene quiete, e imparate quel che c’è da imparare senza tenere un seminario.
La canzone raggiunse il suo punto culminante. E d’un tratto sulla corteccia apparve una spaccatura verticale.
— Non avranno intenzione di abbattere quest’albero per noi, vero? — ansimò Ouanda, inorridita.
— Lei sta chiedendo all’albero di aprire il suo cuore. — Human si toccò la fronte. — Questo è l’albero-madre, l’unico che c’è in tutta la foresta. A questo albero non deve accadere nulla di male, o tutti i nostri figli verranno da altri aiberi, e tutti i nostri padri moriranno.
Le voci delle mogli si unirono in coro a quella di Urlatrice, e dopo qualche secondo nel tronco si aprì un foro circolare. Ender si spostò in modo di poterci guardare dentro. Ma la luce era troppo scarsa.
Ela si staccò un tubetto illuminante dalla cintura e glielo porse, ma prima di poterlo accendere fu bloccata da una mano di Ouanda che le afferrò il polso. — Un attrezzo! Non se ne possono portare, qui.
Ender tolse gentilmente il cilindretto dalle dita di Ela. — Grazie — disse. E a Ouanda: — Il recinto è un ricordo del passato, adesso. E tutti siamo arruolati nella missione Domande del Giorno. — Accese il tubetto, e subito con un dito attenuò l’intensità del forte cono di luce che ne era sprigionato. Le mogli mormorarono, e Urlatrice toccò l’addome di Human.
— Ho già detto loro che di notte potete fare piccole lune — disse il maiale. — Ho detto che le portate con voi.
— Non farò un danno, se punto questa luce nel cuore dell’albero-madre?
Human lo domandò a Urlatrice, e lei allungò una mano a prendere il tubetto illuminante. Poi, tenendolo con mani tremanti, cantò qualcosa sottovoce, e mosse il raggio in modo che nel foro entrasse appena un vago lucore. Quasi all’istante lo distolse, puntandolo da un’altra parte.
— Il bagliore li acceca — spiegò Human.
Nell’orecchio di Ender, Jane disse: — Il suono della voce di lei echeggiava dall’interno del foro. Quando la luce è entrata, l’eco si è modulata alzandosi di tono e dando forma ad alcune parole. L’albero stava rispondendo, e usava il suono della voce stessa di Urlatrice.