— Se loro diventassero forti come noi, allora cosa ci avremmo guadagnato?
Cosa mi aspetto che faccia questo individuo? pensò Ender. La sua gente si è sempre misurata contro le altre tribù. La loro foresta non è più grande né più piccola di quelle a ovest e a sud, dove abitano le tribù rivali. E loro non sono né migliori né peggiori. Quello che devo fare adesso è il lavoro di una generazione in pochi minuti: devo insegnargli un nuovo metro per misurare la statura del suo popolo. - Ascolta. Rooter è grande? — gli chiese.
— Io dico di sì — rispose Human. — È mio padre. Il suo albero non è il più vecchio o il più alto. Ma nessun padre a nostra memoria ha mai avuto tanti figli, e così presto dopo esser stato piantato.
— Così, in un certo senso, tutti i suoi figli sono sempre parte di lui. Più figli ha, più grande diventa — disse Ender. Human annuì lentamente. — E più azioni nobili tu compì in vita, più rendi grande tuo padre. È vero?
— Se i figli agiscono bene, allora sì, è un grande onore per l’albero-padre.
— Devi forse uccidere tutti gli altri grandi alberi, perché tuo padre diventi più grande?
— Questo è diverso — disse Human. — Tutti gli altri grandi alberi sono padri della tribù. E gli alberi più piccoli sono ugualmente fratelli. — Il maiale aveva assunto un tono incerto. Stava facendo resistenza alle idee di Ender perché erano strane, non perché fossero sbagliate o incomprensibili. E infatti cominciava a capire.
— Guarda le mogli — disse Ender. — Loro non hanno figli. Non potranno mai diventare grandi nel modo in cui sono grandi i vostri padri.
— Araldo, tu sai che sono le più grandi fra tutti. L’intera tribù ubbidisce loro. Quando ci governano bene, la tribù prospera; e quando la tribù si accresce anche le mogli diventano più forti…
— Anche se non uno di voi è loro figlio.
— E come potrebbe essere? — chiese Human.
— Eppure voi contribuite alla loro grandezza. Anche se non sono le vostre madri, né i vostri padri, esse crescono quando voi crescete.
— Facciamo parte della stessa tribù…
— Ma perché siete della stessa tribù? Voi avete padri diversi, madri diverse.
— Perché noi siamo la tribù! Noi viviamo qui nella foresta, noi…
— Se un altro Piccolo venisse qui da un’altra tribù, e vi chiedesse di restare e diventare un fratello…
— Non lo lasceremmo mai diventare un albero-padre!
— Ma avete cercato di far diventare Pipo e Libo alberi-padri.
Human stava respirando pesantemente. — Capisco — disse. — Loro erano parte della tribù. Venivano dal cielo, ma noi li abbiamo considerati fratelli e abbiamo cercato di farli diventare padri. La tribù è qualunque cosa pensiamo che possa essere. Se diciamo che è fatta da tutti i Piccoli della foresta, e da tutti gli alberi, allora la tribù è questo. Anche se alcuni degli alberi più anziani vengono da guerrieri di diverse tribù, caduti in battaglia. Noi diventiamo una tribù perché diciamo di essere una tribù.
Ender si stupì davanti alla prova di raziocinio di quel piccolo raman. Quanto rara era anche fra gli uomini la capacità di afferrare quel semplice concetto, e di estenderlo al di là del loro gruppo sociale, della loro città, della loro nazione.
Human si alzò e andò alle spalle di Ender, appoggiandoglisi contro la schiena. Lui sentì il respiro del giovane maiale sfiorargli un orecchio, poi le loro guance furono a contatto, strettamente unite. All’improvviso capì il significato di quel gesto. — Tu vedi quello che io vedo! — disse.
— Voi umani crescerete se noi diventiamo parte di voi. Umani e Piccoli e Scorpioni, ramans insieme. Allora saremo una tribù sola, la nostra grandezza sarà la vostra, e la vostra grandezza sarà la nostra. — Ender sentì che il corpo di Human tremava per la forza contenuta in quell’idea. — Tu dici che dobbiamo guardare alle altre tribù nello stesso modo. Come una sola tribù, tutte unite insieme, così più faremo crescere gli altri e più cresceremo noi.
— Potrete mandare degli insegnanti — disse Ender, — dei fratelli alle altre tribù, in modo che essi passino alla terza vita nelle loro foreste e avere figli là.
— Questa è una strana e difficile cosa da dire alle mogli — rifletté Human. — Forse impossibile da chiedere. La loro mente non funziona come quella dei fratelli. Un fratello può pensare a molte cose diverse, ma una moglie pensa una cosa sola: cos’è bene per la tribù e, alla radice di questo, cos’è bene per i figli e le piccole madri.
— Puoi cercare di farle capire ciò che ti ho detto? — chiese Ender.
— Meglio di quel che potresti tu — mormorò Human. — Ma probabilmente no. Probabilmente fallirò.
— Non credo che fallirai — disse Ender.
— Voi siete venuti qui stanotte per fare un accordo fra noi, fra i Piccoli di questa tribù e voi, gli umani di questo mondo. Ma agli umani che vivono fuori da Lusitania non importa del nostro accordo, e neppure ai Piccoli che vivono fuori da questa foresta.
— Noi vogliamo fare lo stesso accordo con tutti loro.
— E con questo accordo voi umani promettete d’insegnarci tutto.
— Non avrete altro ostacolo che la vostra capacità di imparare.
— Risponderete a tutte le nostre domande.
— Se conosciamo le risposte.
— Quando! Se! Queste non sono parole da dire in un patto! Dammi risposte precise adesso, Araldo dei Defunti. — Human si scostò da Ender e tornò a piazzarsi di fronte a lui, chinandosi un poco per fissarlo negli occhi da vicino. — Prometti che ci insegnerete tutto ciò che sapete!
— Noi te lo promettiamo.
— E prometti anche di risvegliare la Regina dell’Alveare, in modo che ci aiuti.
— La risveglierò. Ma dovrete stringere altri patti con lei. Gli Scorpioni non sono obbligati a rispettare questo che io faccio con voi.
— Tu prometti di risvegliarla, sia che ci aiuti o no.
— Va bene.
— Prometti che quando verrete nella foresta ubbidirete alle nostre leggi, e che queste varranno anche nella prateria che coltiveremo.
— Sì.
— E che andrai in guerra contro gli altri umani di tutte le stelle del cielo, per proteggerci e farci andare nello spazio.
— Lo stiamo già facendo.
Human si rilassò, fece un passo indietro e si rimise a sedere. Appoggiò un dito nella polvere. — Ora passiamo a quello che vuoi da noi. Ubbidiremo alle leggi umane nella vostra città e nella prateria che userete.
— Sì — disse Ender.
— E… non vuoi che noi andiamo in guerra?
— Proprio così.
— E questo è tutto?
— Una cosa, ancora — disse Ender.
— Quello che chiedi è già impossibile — osservò Human. — Tanto vale che tu chieda anche quest’altra cosa. Sentiamo.
— La terza vita, quando comincia? Quando voi uccidete un fratello e lui cresce in un albero, è giusto?
— La prima vita è dentro l’albero-madre, dove non vediamo mai la luce e mangiamo ciecamente il cibo nel corpo della piccola madre e la linfa dell’albero-madre. La seconda vita è quando viviamo nell’ombra della foresta, nella mezza-luce, camminando e correndo e arrampicandoci, guardando e cantando e parlando, facendo le cose con le mani. La terza vita è quando ci alziamo a bere il sole, finalmente nella piena luce, senza mai muoverci salvo che nel vento, senza fare mai altro che pensare e, nei giorni in cui i fratelli battono sul tronco, parlare con loro. Sì, questa è la terza vita.