Puntai il raggio sull’acqua scura che ci separava. «Dov’è l’arcata del teleporter?» domandai. Udii le mie parole come da lontano, come se provenissero da una terza persona. Mente ed emozioni erano ancora sotto l’influsso del bacio. Avevo trentadue anni. Aenea ne aveva appena compiuti sedici. Il mio compito era quello di proteggerla e di tenerla in vita fino al momento in cui saremmo tornati su Hyperion dal vecchio poeta. Questa storia era pura follia.
«La vedrai» mi rispose Aenea. «A un certo punto, quando si sarà fatto giorno.»
Perciò il teleporter distava ore di viaggio. Era proprio il teatro dell’assurdo. «E cosa farò, quando avrò trovato la nave? Dove ci incontreremo?»
«C’è un pianeta che si chiama T’ien Shan» disse Aenea. «Significa "Montagne del cielo". La nave saprà come trovarlo.»
«Si trova nello spazio della Pax?»
«A malapena» rispose Aenea. Il suo respiro restava sospeso nella gelida aria. «Si trovava nella Periferia dell’Egemonia. La Pax l’ha incluso nel Protettorato e ha assicurato che vi manderà dei missionari, ma non l’ha ancora sottomesso.»
«T’ien Shan» ripetei. «D’accordo. Come ti trovo? I pianeti sono piuttosto vasti.»
Nel raggio ballonzolante della torcia vedevo i suoi occhi: erano umidi di pioggia o di lacrime o di tutt’e due. «Cerca una montagna che si chiama Heng Shan, la Sacra Montagna del Nord. Nelle vicinanze ci sarà un posto chiamato Hsuan-k’ung Ssu. Significa "Tempio a mezz’aria". Dovrei essere lì.»
Feci un gesto villano. «Magnifico! Dovrò solo presentarmi alla locale guarnigione della Pax e chiedere indicazioni per raggiungere il Tempio a mezz’aria e tu sarai lì a mezz’aria ad aspettarmi.»
«Su T’ien Shan ci sono solo poche migliaia di montagne» disse Aenea, con voce piatta e infelice. «E solo poche… città. La nave può trovare Heng Shan e Hsuan-k’ung Ssu dall’orbita. Non potrai atterrare, ma potrai sbarcare dalla nave.»
«Perché non potrò atterrare?» replicai, irritato da quella sorta di scatole cinesi: rompicapi dentro enigmi dentro codici.
«Vedrai da te, Raul» disse Aenea, con voce piena di lacrime come gli occhi. «Ti prego, vai.»
La corrente cercava di portarmi via, ma con un colpo di pagaia spinsi indietro il piccolo kayak. Aenea camminò lungo la riva, per tenersi alla mia altezza. Il cielo pareva schiarirsi un poco a oriente.
«Sei sicura che ci rivedremo lì?» gridai nella pioggia che diventava meno violenta.
«Non sono sicura di niente, Raul.»
«Neppure che sopravviveremo a questa storia?» Non saprei dire che cosa intendessi con "storia". Non saprei dire nemmeno che cosa intendessi con "sopravviveremo".
«Soprattutto di questo» disse Aenea e vidi il vecchio sorriso, pieno di malizia e di anticipazione e di qualcosa che pareva tristezza mista a involontaria saggezza.
La corrente mi tirava via. «Quanto tempo impiegherò per arrivare alla nave?»
«Solo alcuni giorni, penso» mi gridò Aenea. Ora distavamo vari metri e la corrente mi tirava verso il centro del Mississippi.
«E quando avrò trovato la nave, quanto tempo impiegherò per giungere su… T’ien Shan?» le gridai.
Aenea mi gridò la risposta, ma le sue parole andarono perse nello sciacquio delle onde contro lo scafo del kayak.
«Come?» gridai. «Non ho sentito!»
«Ti amo» gridò Aenea e la sua voce fu chiara e luminosa, sull’acqua scura.
Il fiume mi trascinò via. Non riuscivo a parlare. Quando cercai di pagaiare contro la forte corrente, le braccia non mi risposero. «Aenea?» chiamai. Puntai la torcia verso la riva, scorsi fuggevolmente il poncho che luccicava nella notte, il pallido ovale del suo viso nell’ombra del cappuccio. «Aenea!»
Lei gridò qualcosa, agitò il braccio. Risposi al saluto.
Per un momento la corrente divenne molto forte. Mossi la pagaia con violenza per non sbattere contro un albero incagliato in un banco di sabbia e mi trovai al centro della corrente, lanciato a sud. Mi guardai indietro, ma le pareti degli ultimi edifici di HannibaI avevano nascosto la mia cara ragazza.
Dopo un minuto udii un ronzio come dei repulsori EM della navetta; ma quando guardai in alto, vidi solo ombra. Forse era Aenea che sorvolava in cerchio la zona. Forse era una bassa nuvola nella notte.
Il fiume mi tirò a sud.
5
Il padre capitano de Soya lasciò il sistema solare di Pacem a bordo dell’astronave di Sua Santità (ASS) Raguele, un incrociatore classe Arcangelo simile alla nave che avrebbe comandato. Ucciso dal terribile vortice del segretissimo motore istantaneo, noto ora alla Flotta della Pax come motore Gideon, de Soya fu risuscitato in due giorni, anziché nei soliti tre (il cappellano addetto alla risurrezione corse il rischio d’insuccesso per ubbidire ai pressanti ordini del padre capitano) e si trovò nella stazione Omicron2-Epsilon3, adibita al posizionamento strategico della Flotta, in orbita intorno a un pianeta roccioso, privo di vita, che girava nelle tenebre al di là di Epsilon Eridani, nel Vecchio Vicinato, a solo una manciata di anni luce dalla zona dove un tempo si trovava la Vecchia Terra.
De Soya ebbe un giorno per riprendersi dal disorientamento e poi fu trasferito con una navetta alla base provvisoria Omicron2-Epsilon3, a centomila chilometri di distanza dalla base militare. Il cadetto che comandava la "vespa" spaziale effettuò una deviazione per offrire al padre capitano de Soya una buona panoramica della sua nuova nave; suo malgrado, a quella vista de Soya si emozionò.
L’ASS Raffaele rappresentava evidentemente una tecnologia d’avanguardia che non derivava più, come tutte le navi della Pax viste in precedenza da de Soya, da progetti dell’Egemonia riscoperti dopo la Caduta. L’insieme pareva troppo scarno per il lavoro pratico nel vuoto e troppo complesso per l’atmosfera, ma dava una generale impressione di micidiale efficienza. Lo scafo, un misto di leghe morfizzabili e di zone di pura energia solida, consentiva rapidi cambiamenti di forma e di funzioni che qualche anno prima sarebbero stati impossibili. Mentre la vespa girava intorno alla Raffaele in un lungo e lento arco balistico, de Soya guardò l’esterno della lunga astronave virare dall’argento cromo al nero metallina mimetica, in pratica scomparire alla vista. Nello stesso tempo, parecchi dei bracci di strumentazione e degli alloggiamenti abitabili furono inghiottiti dal liscio scafo centrale, finché rimasero solo bolle d’armi e sonde di campi di contenimento. O la nave si preparava ai controlli per la traslazione da quel sistema, pensò de Soya, oppure gli ufficiali a bordo sapevano bene che la vespa portava il nuovo comandante e facevano un po’ di scena.
Quasi certamente, si disse, tutt’e due le ipotesi erano vere.
Notò, prima che l’incrociatore diventasse tutto nero e invisibile, che le sfere del motore a fusione erano state raggruppate come perle intorno all’asse centrale della nave, anziché essere concentrate in un unico rigonfiamento, come nella sua vecchia nave torcia, la Baldassarre. Notò pure che l’insieme del motore Gideon era molto più piccolo su quella nave che sul prototipo Raffaele. Prima che l’incrociatore scomparisse, notò lo scintillio di luci degli alloggiamenti abitabili, trasparenti e retrattili, e la chiara cupola del ponte di comando. In combattimento (de Soya lo sapeva dalle letture fatte su Pacem e dalle iniezioni di RNA didattico ricevute al quartier generale della Flotta della Pax) quelle zone trasparenti si sarebbero morfizzate in spesse epidermidi corazzate, ma lui aveva sempre preferito una veduta panoramica e avrebbe apprezzato quella finestra nello spazio.