«Come la troviamo?» domandò il clone femmina di Nemes. Era chiaro che rifletteva, anche se il suo pensiero veniva trasmesso sulla banda a 75 megahertz. «Possiamo traslarci su qualsiasi pianeta abbia avuto un teleporter durante l’Egemonia e interrogare di persona i portali.»
Albedo annuì. «L’Altro può nascondere le destinazioni teleporter» disse «ma il Nucleo è quasi sicuro che non può nascondere la piega matrice stessa.»
Quasi sicuro. Nemes notò l’insolito modificatore delle percezioni del TecnoNucleo.
«Vogliamo che tu…» cominciò Albedo, indicando il clone femmina. «Il Settore degli Stabili non ti ha dato un nome, vero?»
«No» confermò il clone femmina di Nemes. Sulla sua pallida fronte ricadeva una frangia di capelli scuri, flosci. Sulle sue labbra sottili non c’era traccia di sorriso.
Albedo ridacchiò. «Rhadamanth Nemes aveva bisogno di un nome per passare per un membro dell’equipaggio umano sulla Raffaele. Penso che pure voi dobbiate avere un nome, se non altro per mia comodità.» Indicò il clone femmina. «Scilla.» Poi indicò i due cloni maschi. «Gige. Briareo.»
Nessuno dei tre reagì a quel battesimo, ma Nemes piegò le braccia e disse: «Questo la diverte, consigliere?».
«Sì.»
Intorno a loro, l’aria uscita dalla navetta si arricciava e ribolliva come nebbia malefica. Il clone maschio ora chiamato Briareo disse: «Terremo questa Arcangelo come base di trasporto e cominceremo a ispezionare tutti i pianeti della vecchia Rete, a partire, presumo, da quelli toccati dal fiume Teti».
«Sì» disse Albedo.
Scilla batté le unghie sulla stoffa congelata della tuta spaziale. «Con quattro navi la ricerca sarà quattro volte più veloce.»
«Ovvio» disse Albedo. «Varie ragioni ci hanno indotto a decidere diversamente. La prima è che la Pax non ha molte Arcangelo libere da prestare.»
Nemes inarcò il sopracciglio. «Da quando in qua il Nucleo chiede prestiti alla Pax?»
«Da quando abbiamo bisogno del loro denaro e delle loro fabbriche e delle loro risorse umane per costruire queste navi» rispose Albedo, senza enfasi. «La seconda e conclusiva ragione è che vogliamo che voi quattro stiate insieme, nel caso incontriate qualcuno o qualcosa di cui uno solo di voi non potrebbe occuparsi.»
Nemes non abbassò il sopracciglio. Si aspettava un riferimento al suo insuccesso su Bosco Divino. Però fu Gige a replicare: «Di che cosa, in tutta la Pax, uno di noi non potrebbe occuparsi, consigliere?».
L’uomo in grigio allargò di nuovo le mani. Dietro di lui, i ribollenti vapori di nebbia prima nascosero e poi lasciarono vedere di nuovo i lividi corpi nudi sulle lastre.
«Lo Shrike» disse Albedo.
Nemes sbuffò con malagrazia. «L’ho battuto da sola.»
Albedo scosse la testa: il suo sorriso era sempre uguale, faceva impazzire. «No» disse. «Non l’hai battuto. Hai usato il congegno iperentropico di cui ti avevamo dotata e l’hai spedito di cinque minuti nel futuro. Questo non equivale a batterlo.»
Intervenne Briareo. «Lo Shrike non è più sotto il controllo dell’Intelligenza Finale?»
Ancora una volta Albedo allargò le mani. «Gli dei del futuro non ci bisbigliano più, mio costoso amico. Combattono fra loro e il clamore della loro battaglia rimanda echi nel tempo. Se l’opera del nostro dio va fatta nel nostro tempo, dobbiamo farla noi stessi.» Guardò i quattro cloni. «Gli ordini sono chiari?»
«Trovare la ragazza» disse Scilla.
«E…?»
«Ucciderla all’istante» disse Gige. «Senza esitare.»
«E se intervengono i suoi discepoli?» disse Albedo, allargando ora il sorriso e parlando con un tono che lo rendeva la caricatura di un maestro di scuola.
«Ucciderli» disse Briareo.
«E se compare lo Shrike?» disse ancora Albedo, a un tratto serio.
«Distruggerlo» disse Nemes.
Albedo annuì. «Altre domande, prima che ciascuno vada per la sua strada?»
«Quanti esseri umani si trovano qui?» domandò Scilla. Indicò le lastre e i corpi.
Il consigliere Albedo si toccò il mento. «Alcune decine di milioni, su questo mondo labirinto, in questa sezione di tunnel. Ma ci sono molti altri tunnel, qui.» Sorrise di nuovo. «E altri otto mondi labirinto.»
Nemes girò lentamente la testa, osservando su vari livelli di spettro la nebbia turbinante e la linea di lastre di pietra. Nessun corpo mostrava traccia di calore: tutti avevano la stessa temperatura ambiente del tunnel. «E questa è opera della Pax» constatò.
«Naturalmente» ridacchiò Albedo. «Perché mai i Tre Settori di Consapevolezza o la nostra futura Intelligenza Finale dovrebbero voler immagazzinare corpi umani?» Si avvicinò al corpo della ragazza e le tamburellò il seno congelato. L’aria del tunnel era troppo rarefatta per convogliare il suono, ma Nemes immaginò il rumore di unghie su marmo gelido.
«Altre domande?» disse Albedo. «Ho in programma un importante incontro.»
Senza una parola, sulla banda da 75 megahertz o su qualsiasi altra banda, i quattro cloni girarono sui tacchi e rientrarono nella navetta.
Nella bolla centrale di conferenza tattica dell’ASS Uriele erano riuniti venti ufficiali della Flotta della Pax, compresi tutti i capitani e gli ufficiali in seconda della task force Gedeone. Fra questi ufficiali in seconda c’era il comandante Hoagan "Hoag" Liebler: trentasei anni standard, rinato dopo il battesimo ricevuto su Rinascimento Minore, rampollo della ormai decaduta Famiglia Liebler le cui tenute coprivano circa due milioni di ettari (e i cui debiti attuali corrispondevano quasi a cinque marchi per ettaro) aveva dedicato la vita privata al servizio della Chiesa e la vita professionale alla Flotta della Pax. Era inoltre una spia e un potenziale assassino.
Liebler aveva guardato con interesse l’arrivo del nuovo comandante della Uriele. Tutti, nella task force (quasi tutti nella Flotta della Pax) avevano sentito parlare del padre capitano de Soya. Cinque anni prima, l’ex comandante di nave torcia aveva ricevuto un diskey papale (in pratica, autorità quasi illimitata) per un progetto segreto e non era riuscito a portare a termine la missione. Nessuno sapeva con certezza quale fosse la missione, ma l’uso del diskey papale aveva procurato a de Soya vari nemici fra gli ufficiali della Flotta in tutto lo spazio della Pax. Il fallimento del padre capitano e la sua scomparsa avevano fatto nascere altre voci nei quadrati ufficiali e nei circoli della Flotta: la teoria più comune era che de Soya fosse stato affidato al Sant’Uffizio, scomunicato senza tanto clamore e probabilmente giustiziato.
Invece era di nuovo in giro, per di più al comando di uno dei mezzi più preziosi dell’arsenale della Flotta: uno dei ventuno incrociatori operativi classe Arcangelo.
Liebler fu sorpreso dall’aspetto di de Soya: il padre capitano era basso di statura, aveva capelli scuri, occhi grandi e tristi più adatti all’icona di un santo martirizzato che al comandante di un incrociatore da guerra. Le presentazioni furono fatte rapidamente dall’ammiraglio Aldikacti, una tarchiata donna originaria di Lusus, responsabile sia di quella riunione sia della task force.
«Padre capitano de Soya» disse Aldikacti, mentre de Soya prendeva posto al tavolo grigio e rotondo nella sala grigia e rotonda «ritengo che conosca già alcuni di questi ufficiali.» L’ammiraglio era famoso per la mancanza di tatto, oltre che per la ferocia in battaglia.
«La madre capitano Stone è una vecchia amica» disse de Soya, rivolgendo un cenno al suo ex ufficiale in seconda. «Il capitano Hearn faceva parte della mia ultima task force; conosco anche il capitano Sati e il capitano Lampriere. Inoltre ho avuto l’onore di lavorare con i comandanti Uchikawa e Barnes-Avne.»