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Ma no, ritornò invece con un solo neonato malato dal quale bevvi per pura necessità poiché svenivo dalla fame, e lo divisi, per quanto potei, con Dunya. Dopotutto, ero come lui aveva sperato, veramente troppo debole persino per protestare, quando andò nuovamente a caccia.

Proprio come sono debole stasera; dopo che Vlad se ne è andato, mi sono coricata. La notte portava, di solito, un’ebbrezza talmente dolce! Ora invece porta solo consapevolezza e tristezza. Ci sono state delle volte (come stanotte) che la stanchezza mi ha impedito di alzarmi dalla bara. Di solito la mia bara stava accanto alla sua ma ora è stata confinata nella stanza di Dunya, perché Vlad si annoia ad avermi sempre vicino.

Giaccio qui, dove piango e rifletto sul fatto che dovrei chiudere gli occhi e accogliere la mia vera morte, che possa davvero donarmi il riposo finale.

Povera Dunya! La guardo, immobile nella sua bara. Temo che affronterà l’Assoluto prima di me poiché, tra tutti noi, è la più debole; raramente emerge dal suo sonno profondo, ma continua a dormire con le palpebre pallide tirate sopra gli occhi neri. Anni fa, quando era forte e bella, ebbi pena di lei, pensando: perché deve rimanere una mortale angosciata, sottoposta al nostro controllo, né viva né morta? Fu così che la condussi con delicatezza attraverso la morte verso la Vita Oscura. Vlad, ovviamente, si infuriò.

«Come potremo espletare tutte quelle cose che possono essere fatte soltanto durante la luce del giorno se non abbiamo un servo mortale?», ruggì e, per settimane, non parlò a nessuna delle due.

Non me ne curai; Dunya è sempre stata una compagna dolce e fedele. La sua sofferenza fu sostituita da un meraviglioso piacere, e abbiamo condiviso molte gioie, così come possono fare due sorelle. È stata Dunya a suggerire che io commissionassi un mio ritratto, che avrei potuto usare al posto dello specchio, in modo da non dovermi affidare alla sua descrizione. Questo fu fatto da un artista mortale le cui mani tremanti, fortunatamente, non ne diminuirono l’abilità e, per gratitudine, gli commissionai anche un altro ritratto, più piccolo, di Dunya.

Ora la mia cara compagna è soltanto un simulacro pietoso, invecchiato, di quella bellezza che è appesa al muro (come devo essere anch’io). Giace nella sua bara con le braccia incrociate sul petto simile a un cadavere e, per tutti, sembra una vecchia defunta e rugosa, con il viso segnato, avvizzito e cereo, e le labbra sottili tirate che lasciano scoperti gli aguzzi denti ingialliti. Come mi mancano tutte quelle notti in cui ci tenevamo per mano e ci bisbigliavamo i nostri sogni una nell’orecchio dell’altra! Non sopporto di vederla così…

Ma la promessa della venuta di Elisabeth ha portato una nuova speranza e così, per la prima volta dopo molti anni, mi sono alzata e ho scritto nel mio diario. Potrò veramente riavere la mia bellezza e la mia esuberanza?

Il diario di Abraham Van Helsing

3 maggio 1893. Com’è strana la vita! Ci aspettiamo che tutto vada secondo i piani che facciamo… e poi, in un solo istante, tutto cambia.

Era stata una notte lunga e faticosa. Erano arrivate notizie dall’Aja di strani attacchi notturni ai cittadini da parte di un predatore dai denti aguzzi, forse un lupo. E così, dopo aver investigato, mi sono recato là e ho trascorso la notte aspettando vicino a una grande tomba il ritorno di un ricco e rispettato uomo d’affari che era morto di apoplessia dopo una vacanza in Ungheria. È stato un lavoro raccapricciante, ma sono felice di poter affermare che ora riposa in pace.

Dopo il dovere sono tornato a casa più presto che ho potuto, poiché Gerda aveva cominciato a peggiorare terribilmente nel corso degli ultimi due giorni. Questa mattina presto, sono andato a vederla, com’è mia abitudine prima di ritirarmi. Di solito, faccio un vano tentativo di ipnotizzarla, per vedere quali notizie posso avere di Zsuzsanna e, quindi, di Vlad. Ma questa mattina, quando sono entrato, non stava fissando il soffitto come fa sempre. No, i suoi occhi erano chiusi, e il suo respiro era faticoso. Sono rimasto seduto con lei a lungo, controllandole il respiro, il battito cardiaco e i sintomi, cercando di comprendere le cause del suo peggioramento.

Non c’è una ragione fisica, oltre il suo legame psichico con Zsuzsanna. Di questo sono certo. Se lei si sta indebolendo ed è prossima alla morte, ciò significa che è lo stesso per Zsuzsanna.

Il giorno per il quale avevo diligentemente lavorato per un quarto di secolo ora era lì. Come Arminius aveva detto tanto tempo prima, il Patto funziona in entrambe le direzioni: distruggendo i malvagi figli di Vlad, indebolisco lui… e rafforzo me stesso. E, finalmente, è giunto il momento in cui io sono diventato il più forte e posso infliggere a Vlad il destino che da lungo tempo si merita.

Così, dopo averla lasciata, non sono andato a letto; ho cominciato invece a preparare il baule e a controllare gli orari per vedere quali treni fossero diretti a est, e quando. La mia speranza era che, se fossi riuscito ad arrivare in Transilvania per uccidere in tempo sia Vlad che Zsuzsanna, a Gerda sarebbe stata risparmiata la morte e un’oscura resurrezione.

Sapevo anche però che, se avessi fallito, non sarebbe stato sicuro per lei restare in questa casa con mamma e Katya, né sarebbe stato al sicuro il becchino che avrebbe preso il corpo per seppellirlo. Gerda non potrebbe restare qui senza l’attento controllo di qualcuno che riesca a percepire i sintomi di un vampirismo incipiente e sappia come tenere a bada i Morti Viventi. Mentre facevo la valigia, ho riflettuto per un po’ su questo problema, poiché non c’è nessuno ad Amsterdam di cui mi possa fidare per un tale compito.

Ma a Londra qualcuno c’è: si tratta del mio amico John, con il suo manicomio. Non conpsce i dettagli della malattia di mia moglie, ma è molto interessato all’occultismo e possiede una mente aperta. Se gli impartirò istruzioni circa la segregazione e la cura di Gerda, seguirà i miei ordini alla lettera.

Stavo componendo mentalmente, un telegramma per lui, quando suonò il campanello. Aprii e trovai una robusta signora tedesca, appena oltre la mezza età, con i capelli castani striati d’argento, un’ampia mascella e la carnagione rubizza segnata da una ragnatela di venuzze (e, lo ammetto, un grande ventre che intimidiva: quando si chinò per salutare, mi attendevo quasi che cadesse in avanti).

«Herr Van Helsing?».

Sorrise nella maniera più piacevole, e io seppi, immediatamente, che sarebbe stata una perfetta infermiera diurna per mamma, poiché emanava sia affidabilità che gentilezza. Non ebbi alcun bisogno di protezione psichica intorno a lei — portava persino un crocifisso, nascosto sotto i neri abiti vedovili — e così mi rilassai e le sorrisi mentre la facevo entrare.

«E voi dovete essere Frau Koehler», risposi in tedesco: al suono della sua lingua natia, si illuminò in volto.

Mentre la conducevo al piano superiore, nella camera di mamma, chiacchierammo piacevolmente sulla facilità con cui aveva individuato la mia casa e su come vi era stata indirizzata da una collega.

Una volta entrati nella camera di mamma, fece silenzio e guardò con compassione la sua futura paziente, poi si fece il segno della croce alla vista del crocifisso che pendeva sopra il letto.

«Ah», disse con sincera comprensione. «Sta morendo, vero?»

«Sì».

«Come dev’essere triste per voi!». Il suo tono era quello di qualcuno che aveva vissuto la stessa terribile esperienza da poco. «E siete solo? Non vedo moglie, bambini…».

Percepii, negli occhi e nell’aspetto della vedova Koehler, un barlume di speranza di maritarsi.

«Ho una moglie», dissi subito, improvvisamente sopraffatto dall’amarezza al ricordo di come mi fosse stata tolta spiritualmente, e al ricordo del mio piccolo Jan, preso dai Vampiri… da Zsuzsanna, quel malvagio demonio per il quale non riesco a trovare alcun perdono nel mio cuore. «Ma anche Gerda è malata…».