La mia compagna ha bisogno di una cella con sbarre e lucchetto; io chiedo lo stesso per me.
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Il diario del dottor Seward
Primo luglio. Il professore è arrivato.
È arrivato come previsto nel pomeriggio, vestito di nero e con un cappello di paglia dalla tesa larga, guardandosi intorno come un prete di paese. Io stavo sull’entrata e lo guardai mentre scendeva dal tassì, poi si voltava e tendeva le braccia intanto che il conducente gli porgeva una donna piccola e fragile. Anche lei era vestita completamente di nero, incluso un velo che le copriva il viso. Lui la trasportò con facilità tenendola in braccio lungo il vialetto bordato di fiori, come se fosse da lungo tempo abituato a fare così. Quando mi vide sul portico, mi sorrise apertamente, e gli occhi blu gli si illuminarono all’istante. Mi feci avanti e gli afferrai una spalla; l’impulso di stringerci la mano venne ad entrambi, ma fu reso impossibile a causa della misteriosa paziente che teneva tra le braccia.
«Professor Van Helsing!», lo salutai cordialmente mentre, dietro a lui, l’autista metteva a terra due grandi valige. Io accorsi e mi occupai subito della mancia; il mio mentore non è in condizioni finanziariamente agiate, da quanto mi è dato di sapere. Credo che, di regola, faccia pagare poco i suoi pazienti o non li faccia pagare affatto, e io sarei un signore agiato ora se non fosse per il mio “hobby”, l’Istituto.
Al mio saluto, il sorriso del professore svanì e un po’ di luce gli scomparve dagli occhi. Si morse le labbra come per indurmi al silenzio; se non avesse portato quel peso, vi avrebbe anche portato un dito. Compresi l’avvertimento, e immediatamente abbassai la voce in un bisbiglio.
«È bello vedervi ancora».
Il sorriso e la luminosità ritornarono immediatamente.
«E anche per me, amico John, sebbene sembriate piuttosto pallido e denutrito. Dovremo trovare una bella e giovane signora per mettervi all’ingrasso e indurvi a fare delle passeggiate al sole!».
Distolsi per un po’ gli occhi guardando le zinnie gialle e rosse che bordavano il vialetto, ma mantenni un’espressione compiaciuta. Qualunque cosa evocasse il pensiero di Lucy era ancora dolorosa, così non risposi.
Immediatamente il suo tono si addolcì per la compassione.
«Ah… mi accorgo di essere andato direttamente alla fonte del problema. Perdonatemi, amico mio: sono un vecchio cieco e sciocco».
Credo di essere arrossito, cosa che non fece che accrescere il mio disagio, dato che per me è una reazione insolita. Poi guardai timidamente la paziente silenziosa, chiedendomi quanto potesse essere lucida e se avesse compreso la scambio di battute. Come avrei potuto ora fare una presentazione dignitosa?
Ancora una volta, Van Helsing sembrò aver letto nei miei pensieri.
«Non preoccupatevi, John. È affetta da catatonia; la sua mente è lontana da noi. Anche se non fosse così, non sarebbe in grado di divulgare i vostri problemi, poiché non parla».
«Siete lontano dall’essere vecchio, e certamente non siete cieco», gli dissi. «Francamente, siete la persona più percettiva che conosca». In verità, era stato così dalla prima volta che l’ho incontrato. A volte, la sua abilità nell’indovinare quello che io — o un’altra persona — stiamo pensando, è stupefacente. Non è soltanto che mi conosca bene; l’ho visto fare lo stesso con degli sconosciuti. Con il tempo, ho sviluppato due teorie: una, che abbia perfezionato le sue capacità di osservazione fino a una perfezione soprannaturale; due, che sia un sensitivo.
L’ultima cosa è difficile da provare anche se, ultimamente, sono arrivato a interessarmi molto di fenomeni occulti e degli insegnamenti di una organizzazione locale chiamata Alba Dorata (le mie letture mi hanno portato a concludere che il professore sa molto, o tutto, delle loro conoscenze. Ciò si basa su innumerevoli commenti che lui ha fatto durante la nostra stretta amicizia durata otto anni. Frasi esoteriche quali “Come sopra, così sotto” (una citazione dalla nostra comune conoscenza Hermete Trismegisto, e dozzine di altre simili osservazioni oscure… oscure a quel tempo, però).
Inoltre, il professore irradia un’aura di potere: non tanto del tipo fisico quanto di quello mentale. Come me, lui fu un wunderkind, ma qui io non parlo di intelligenza, che lui ha in abbondanza, ma della parte metafisica. In pubblico — tranne quando dà lezioni — recita la parte del pasticcione, del pagliaccio. L’ho udito persino fingere il più terribilmente comico accento straniero, anche se il suo inglese è eccellente. È come se volesse evitare che il mondo possa vedere in lui ciò che è veramente: lo studioso, il genio, il filosofo.
Ma quando si è trovato solo in mia presenza, talvolta mi ha permesso di scorgere degli squarci di quell’immensamente brillante e sapiente occultista che è in realtà, sotto la maschera dello sciocco. Naturalmente, non l’ha mai chiamato occultismo; questo è quello che sono riuscito a capire. Ma ora ricordo una vacanza di tanto tempo fa ad Amsterdam quando, inavvertitamente, entrai nella sua biblioteca privata e scoprii dentro a un armadietto chiuso un vero tesoro di trattati sulla magia: La Chiave Maggiore di Salomone, Il Goetia, Il Sepher Yetzirah, e Una vera e fedele relazione di quello che accadde per molti anni tra il dottor Dee e alcuni spiriti.
Questo è l’uomo che ho incontrato nuovamente oggi, sebbene abbia, con successo, adottato il travestimento del prete di campagna non molto istruito. Ma io ho visto al di là del semplice inganno che velava i suoi grandi occhi blu, al di là della sua espressione allegra. Sembra più vecchio di quando l’ho visto l’ultima volta; la maggior parte dei capelli rosso dorato sono diventati bianchi e lui, come me, ha perso peso e sembra scavato nelle guance e nelle mascelle. Nonostante tutto ciò, irradia ancora più quell’impressionante forza interna, quel profondo senso di saggezza e calma che persino la tempesta più forte non può scuotere, facendolo paradossalmente sembrare — il vero uomo interiore sotto il vestito della carne — più giovane di quando lo vidi l’ultima volta.
«Ma prego», continuai, facendo un gesto in direzione dell’entrata. Entrambi ci dirigemmo verso la porta aperta, io tendendo le braccia come a voler prendere la donna immobile tra le sue. Come mi aspettavo, lui rifiutò qualsiasi aiuto. «Entriamo subito e vi libererete del vostro peso. Chiamerò il domestico per portarla…».
«No!». La sua brusca risposta mi fece girare la testa di scatto per fissarlo attentamente. Con più dolcezza allora, aggiunse: «Ancora nessun domestico. Potrà venire il momento che ne avrò bisogno, ma oggi manteniamo tutta la riservatezza possibile».
Acconsentii e gli dissi che avrei atteso a chiamare Thomas per prendere le valige finché sia lui che la sua paziente si fossero sistemati nelle loro stanze, poi le avrei fatte lasciare fuori della porta delle celle per garantire il loro anonimato.
Oltrepassata la soglia, lo convinsi a liberarsi del suo tesoro così gelosamente custodito, e a depositarlo in una sedia a rotelle dall’alto schienale. È l’ultimo modello, equipaggiato in modo speciale con delle cinghie per i pazienti più violenti. Mentre la sistemavamo nella sedia con tenera sollecitudine e ci fermavamo a considerare le cinghie, commentai piano:
«Dubito che ne avrà bisogno».
«Non in questo momento». La sua maschera gioviale scivolò via per un istante, non di più. Questa volta vidi un uomo oscuramente tormentato che portava il peso di tutto il mondo sulla sua anima. «Ma potrebbe venire presto il momento. Dobbiamo restare all’erta», continuò.