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Sospirò, e la rabbia sui suoi lineamenti si stemperò nel dolore.

«Ah, mio caro amico, se le sole scuse potessero eliminare ogni male fatto».

«Come ho fatto a farvi del male? Ditemelo, e io metterò immediatamente le cose a posto!».

Persino mentre parlavo con audacia, rabbrividii per un improvviso gelo, poiché l’immagine dell’Oscurità che avanzava calò su di me con una forza rapida e dolorosa. Questo è il significato del sogno, pensai involontariamente. Questa è la ragione per cui sono chiamato: per aiutare il professore a sconfiggerlo…

Era fin troppo simile alle allucinazioni dei miei pazzi e anche più disturbante, essere persuaso da una fissazione talmente irresistibile. Mentre guardavo il professore, la mia attenzione si spostò sullo stipite dietro di lui. Proprio sopra di esso, egli aveva appeso un crocifisso di legno scolpito, così grande che potevo vedere chiaramente l’espressione di dolore sul volto di Cristo. Dai suoi molti commenti, avevo sempre creduto che il professore fosse un agnostico o, al massimo, un deista. Che cosa mai stava accadendo, a noi, supposti uomini di scienza? Lottai, combattendo per liberarmi dalla mia illusione.

Eppure, non potevo non credere.

Van Helsing non notò il mio dilemma interno; distolse lo sguardò per scuotere la testa. Nella luce gialla della lampada, la sua espressione si ricompose nel calmo e saggio viso del professore che avevo sempre conosciuto.

«Non siete voi che avete fatto del male a me, John, né siete voi che dovete fare ammenda. Io non mi preoccupo per me stesso, ma voi avete sentito troppo. E, in questo caso, la troppa conoscenza può condurre al pericolo. Come posso rimediare a questo, se non cercando di essere sicuro che non vi esporrete mai più a tali opportunità?»

«Professore», dissi, con una tale determinazione che lui mi guardò con franca curiosità. Ma le parole mi abbandonarono ancora mentre mi dibattevo sul precipizio della decisione. Non potevo fare a meno di credere a ciò che ero sul punto di dirgli ma, se confessavo i miei pensieri più segreti, mi sarei esposto al ridicolo o, peggio, alla diagnosi che appartenessi anch’io al novero di coloro che professavo di curare?

Tirai un respiro e continuai in fretta, prima che la determinazione mi abbandonasse. Gli raccontai del sogno conturbante, della mia opprimente sensazione che fosse venuto proprio perché io sono sempre stato destinato ad aiutarlo in qualche segreta battaglia.

Arrossii mentre parlavo, poiché non è facile confessare delle convinzioni private e irrazionali, specialmente a colui intorno al quale tali convinzioni si accumulano. Ma lui ascoltò con tranquillità, con rispetto, e non manifestò il benché minimo segno di scetticismo. Io penso che accettasse tutto ciò che gli dissi.

Finii dicendo:

«Ho sempre creduto che tutto fosse un’idea sciocca, infantile, che mi avrebbe abbandonato mentre maturavo ma, nel corso degli anni, è soltanto divenuta più forte. È come avete notato quando, per la prima volta, ho incontrato vostra moglie, professore: quando guardo le persone, conosco i loro cuori. Il vostro è il più puro e il più degno di fiducia che io abbia mai trovato. Se c’è una strada, non importa quanto pericolosa, con cui possa aiutarvi, sarei onorato di farlo».

Caddi in silenzio e, per un po’, nessuno di noi parlò; l’espressione di Van Helsing rivelava che era toccato e profondamente turbato. Infatti disse con solennità:

«Devo considerare attentamente tutto ciò che mi avete detto, amico mio. Siate certo che stanotte non me ne andrò, ma vi comunicherò la mia decisione domani mattina». Quindi si fermò e si diresse verso la sua valigia, dalla quale tirò fuori uno splendente oggetto dorato. «Nel frattempo, mi fareste il piacere di portare questo in ogni momento?».

Una collana pendeva dalle sue dita; protesi la mano a coppa e indietreggiai appena quando essa cadde, fredda e dura, nel mio palmo.

Era un crocifisso, con una lunga catena. Lo studiai, poi alzai lo sguardo verso di lui, con l’intenzione di porre una domanda. Ma temevo la risposta, e così mi infilai la collana dalla testa e lasciai che il ciondolo scivolasse sotto la mia giacca, dove nessuno avrebbe potuto vederlo.

Dal suo comportamento, giudicai fosse ora di congedarmi… non prima però di averlo invitato a colazione. Però, mentre oltrepassavo la porta, la curiosità ebbe la meglio e mi girai per domandare:

«Professore! Credete veramente nei Vampiri… di quel genere che va in giro a mordere il collo della gente di notte?».

Mi studiò con aria triste prima di rispondermi con una domanda.

«Amico John, credete nei pazzi?»

«Non è una questione di credere o meno», risposi senza pensale, senza fermarmi a considerare quello che intendeva. «I pazzi esistono».

«Proprio così».

E non disse altro.

Capitolo ottavo

Il diario di Abraham Van Helsing

4 luglio. Lo sa, il povero John lo sa. Non nei dettagli, forse, ma gli è stato mandato il mio stesso sogno. Può solo significare che il Fato, o Dio, o qualunque Potere lavori per proteggere il Bene, sta cercando di avvertire tutti e due.

E tali avvertimenti devono essere compresi, poiché indicano l’avvicinarsi del Male. Nonostante tutti i miei sforzi per risparmiargli la sua eredità, vi viene attirato lo stesso. Forse, dopotutto, i buddisti hanno ragione; lui è biologicamente e psichicamente legato a Vlad, e il suo “karma” è quello di aiutare suo padre a liberare la famiglia da una maledizione vecchia di secoli.

Quindi il mio iniziale impulso a venire qui è stato giustificato. Non oso lasciarlo ora: non oso.

Il diario di Zsuzsanna Dracul

13 luglio. Una settimana a Londra e non mi sono mai sentita tanto splendidamente viva! Elisabeth apparentemente è infinitamente ricca: ha assecondato i miei capricci come un genitore asseconda un bambino terribilmente viziato. Ed ecco come mi sento: una bambina in vacanza, quando visito i bei negozi di vestiti, i calzolai e provo tutte le nuove mode. Nel corso della mia intera esistenza, da viva e da non vivente, non ho mai avuto così tanti vestiti, cappelli, scarpe, o guanti, quanti ne ho comperati in questa settimana. E, nel contempo sono curata come una vera signora, racchiusa nel grembo sociale di coloro che sono le mie prede. No, non una vera signora, ma la principessa che sono, poiché Elisabeth e io ci presentiamo con i nostri titoli: la contessa Nadasdy, e la principessa Dracul. Come tutti ci riveriscono!

Abbiamo persino comperato una casa, un grande château francese nella parte più ricca della città, che Elisabeth ha riempito di domestici. Possiedo un cocchiere meravigliosamente bello, frutto di una madre africana e di un padre italiano. Per divertirmi, ho intrapreso con lui quella che lui crede essere una relazione estremamente scandalosa… Non sa affatto fino a che punto sia strano per un umile cocchiere trastullarsi con questa particolare principessa.

Ma la casa, la casa… la casa è davvero bella. Ci sono vetri di cristallo alle finestre che rifrangono la luce del sole in arcobaleni, bei tappeti turchi, pavoni che camminano impettiti sul pavimento, fiori e fontane zampillanti, e statue di Bacco, Pan e Afrodite…

Noi siamo le nuove beniamine esotiche della società, le rappresentanti ungheresi e rumene della regalità. La gente ci viene a trovare e noi serviamo (e mangiamo!) i più deliziosi dolci francesi, quelli minuscoli decorati, del tipo che avevo visto nella Konditorei viennese ma che non avevo potuto assaggiare.