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Divoro tutto. E succhio dall’élite cittadina più ricca e potente… per la maggior parte uomini, che fanno in modo di non farmi restare sola. Come glielo permetto allegramente… e poi, come bevo allegramente!

Ma una maledizione si staglia su questa beatitudine quando penso all’arrivo di Vlad. Cercherà di trovare qualcuno per ucciderci, proprio come noi abbiamo cercato l’aiuto di Mr. Harker. Abbiamo lasciato il nostro inglese a Budapest, in preda a un folle delirio. Sarà una scusa buona, specialmente perché non ricorderà nulla di noi due, ma tutto di Vlad. La sua gente lo crederà per tutto questo tempo malato di follia o di febbre cerebrale, senza alcun dubbio, cosicché, quando riapparirà nella sua Exeter, nessuno avrà dei sospetti.

E noi troveremo un modo per portarlo a Londra.

Ma io ho atteso così tanti anni per godermi la mia libertà in questa bella (ma sporca) città, che temo la fine della mia felicità. Ho voglia di dire a Elisabeth: Vai e ingaggia la tua guerra metafisica contro Vlad; lasciami qui!

Lei sembra felice ma, negli ultimi due giorni, è stata preoccupata. Si è divertila nel socializzare e si è concessa alcuni peccatucci sessuali con coloro con i quali io ceno, ma ieri, e oggi, si è chiusa oltre ogni mio tentativo di raggiungerla, usando una magia così forte che non riesco a scoprire dove sia andata. Suppongo che si stia preparando per il confronto con Vlad, o che si stia assicurando l’aiuto dell’Oscuro Signore. Ieri, quando è riapparsa, aveva il viso scuro, era silenziosa, e mi ha mandato da sola in giro per i negozi.

Oggi l’ha fatto ancora. Quando sono arrivata a casa tardi, l’ho trovata nella cantina, dove aveva aperto dei pacchi che le erano stati spediti da casa. Il contenuto?

Mio Dio, il contenuto… Una Vergine di Ferro della dimensione di una donna, con i capezzoli sui suoi seni duri dipinti di un rosso acceso, e l’ampio sorriso pieno di denti umani di varie dimensioni e sfumature di bianco, giallo e marrone. Dalla testa le fluivano lunghi capelli d’oro, e sul suo pube si attorcigliavano peli dello stesso colore.

Accanto c’era un’altra oscena creazione: una stretta gabbia cilindrica… di nuovo, ampia appena per contenere il corpo di una donna. Dalle sue sbarre di ferro emergevano delle lunghe lance affilate… rivolte verso l’interno, in modo che la prigioniera che lottasse o cercasse di fuggire vi si sarebbe trovata ben presto impalata. Rimasi a guardare con silenzioso orrore mentre Elisabeth dava ordini a Dorka e a un servitore su una scala perché l’appendessero al soffitto, facendo poi passare la corda attraverso una puleggia.

«Che cos’è», chiesi, con una voce bassa che tremava.

Già sapevo la risposta: il fine di quei congegni era palesemente chiaro, ma dovevo sentire la spiegazione di Elisabeth.

Lei si voltò sorridendo verso di me, con gli occhi che le brillavano di desiderio predatorio.

«Zsuzsanna, cara! Benvenuta nella nostra piccola prigione».

Il suo malumore era completamente scomparso, sostituito da una grande allegria; mi prese la mano e mi tirò a sé, poi mi piantò un focoso bacio sulle labbra.

Rimasi rigida e distante, poiché ero molto turbata: riuscivo a pensare soltanto a come avevo sempre disperatamente odiato il Teatro di Morte di Vlad, dove a lui piaceva tormentare senza misericordia le sue povere prede. Ho cenato con il sangue di sconosciuti troppo a lungo per provarne qualche rimorso ma, Vampiro o no, non ho mai condiviso la predilezione di Vlad per la tortura. È abbastanza brutto che quei poveri sciocchi debbano morire, così, da molto tempo, ho deciso che li avrei mandati nell’Ade su nuvole di estasi.

La maggior parte delle volte sono riuscita a farlo ma, quando ho visto gli orrendi congegni di Elisabeth, sono stata presa dal panico. L’avevo giudicata, come me, una donna generosa e gentile, capace di comprensione verso la propria cena; ero forse fuggita dalle braccia dell’Impalatore per cadere nell’abbraccio di una che era, in segreto, crudele come lui?

Alla mia freddezza, Elisabeth si limitò a ridere, e con giovialità mi tirò al suo fianco, in modo di potermi mettere un braccio intorno alla vita.

«Sciocca Zsuzsa! Non ti spaventare! Sono soltanto… attrezzi. Mezzi per ottenere un fine». Poi premette le sue labbra contro il mio orecchio e bisbigliò, in modo che né Dorka né il servitore potessero udire: «Con il tempo, cara… con il tempo, capirai. Non giudicare prima di vedere da te…».

«Io non voglio vedere», dissi ostinatamente, e mi allontanai.

Questo è quanto accadde; né lei né io abbiamo, da allora, parlato dei segreti della cantina. Francamente, non desidero nemmeno pensarci poiché, quando lo faccio, ciò rovina la sublime felicità di essere qui a Londra con colei che amo. Stasera abbiamo incontrato un gruppo in un ristorante — un baronetto con sua moglie e un Lord con la sua signora! — e abbiamo consumato un’eccellente cena britannica a base di champagne, ostriche, manzo alla Wellington e dolce. Il cibo è una tale delizia!

Farò del mio meglio per non giudicare Elisabeth finché non vedrò che intenzioni ha con quegli strumenti. Non riesco a immaginare niente di buono, ma devo concederle fiducia…

Il diario del dottor Seward

21 luglio. Dopo aver parlato a Van Helsing di Renfield, un mio paziente, ho acconsentito alla sua richiesta di porre privatamente delle domande al nostro mangiatore di carne viva nella sua cella. Sospetto che il professore creda — oserò dirlo? — che vi siano coinvolti i Vampiri. Da quando ha deciso di restare qui, mi ha parlato della sua “missione” solo due volte, e solo in termini vaghi. La mia possibilità di credere oscilla di volta in volta; credo che non sarò mai convinto finché non avrò l’irrefutabile prova fisica dell’esistenza di tali creature. Le riflessioni della notte scorsa sul nostro paziente carnivoro mi hanno influenzato più di quanto credessi. Dopo essermi ritirato abbastanza tardi, mi addormentai di colpo e sognai dei vividi e macabri sogni ricchi di dettagli su Renfield che rigurgitava i cadaveri insanguinati e mezzo-digeriti di passerotti, gatti, grossi cani… e persino di un cavallo, che emerse dalla sua gola impossibilmente intero. E dappertutto volavano piume, macchiate di sangue con i più delicati ed elaborati disegni che potessero mai essere creati per mano della natura.

All’improvviso, su questo nauseabondo spettacolo cadde una grande oscurità: il vuoto malvagio che tutto divora dell’incubo ricorrente che avevo raccontato al professor Van Helsing. Si spandeva come un’ombra sull’uomo che vomitava finché ne fu completamente eclissato. La vista evocò nuovamente in me un intenso terrore, un terrore che crebbe fino a insopportabili proporzioni quando, anche nel mezzo del sogno, ne compresi il significato.

L’Oscurità è, come Renfield, una mangiatrice di anime, che annienta disperatamente vita dopo vita, dopo vita, dopo vita. E ha intenzione di divorare Van Helsing… e me.

Il diario di Abraham Van Helsing

24 luglio. Dracula si avvicina. L’istinto e le prove me lo confermano; infatti, mi sono preso la libertà di ipnotizzare lo “zoofago” di John, Renfield, e sono convinto che la sua nuova ossessione di consumare la “vita” è, in qualche modo, un sinistro sintomo dell’avvicinarsi del Vampiro.

Difatti, Vlad sarebbe dovuto arrivare a Londra due settimane fa. Finora, comunque, Gerda non lo ha confermato. Con la voce di Zsuzsanna, parla soltanto di un’altra: questa misteriosa Elisabeth, che sembra non essere né una mortale né un Vampiro. Di Vlad, dice: «Uff! A chi importa di lui? Lo vedremo presto…».