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«Il rumore?»

«È veramente doloroso per lei ora; beve così poco che brucia come fuoco, specialmente con le sue piaghe aperte, ma io l’aiuterò a sentirsi meglio. Andate, signora».

Così questa è una morte lenta: pipì, feci e dolore impotente, l’umiliazione più crudele.

Si mosse verso la padella insaponata nella tinozza e io me ne andai prima di vedere altro. Abbandonando il tè, mi precipitai per le scale e nuovamente scivolai attraverso la porta che conduceva allo studio del dottore. Con velocità immortale, sfogliai le carte sul suo tavolo… con ben scarsi risultati, poiché quasi tutte erano in olandese e quindi per me del tutto incomprensibili.

Ma, chiusi ordinatamente in un nascondiglio, c’erano tre telegrammi, mandati da A. Van Helsing, Purfleet, England, a Frau Helga Koehler, Amsterdam. Il primo era datato 8 luglio, il secondo 16 luglio, e il terzo 4 agosto.

E tutti provenivano da Purfleet. Purfleet. Dove Elisabeth e io andavamo ogni mattina a controllare l’arrivo di Vlad!

Mi sarei voluta sedere tranquillamente a terra e ridere — ero venuta fino a lì per trovare qualcuno a Londra! — se non avessi capito qualcosa di raggelante: il dottor Van Helsing era mortale, ma era ancora una forza con cui fare i conti poiché, in qualche modo, aveva scoperto il nuovo indirizzo di Vlad.

Come potevo essere sicura che non aveva scoperto anche il mio?

Li guardai tutti in fretta poiché, fortunatamente, erano scritti in tedesco, lingua di cui ho un’ottima padronanza. Tutti ringraziavano Frau Koehler per le sue relazioni sulle condizioni di sua madre, e davano l’informazione che «La signora Van Helsing sta, sfortunatamente, come sempre». Il più recente dichiarava che sarebbe dovuto rimanere a Purfleet un po’ più a lungo ma che la Frau doveva avvertirlo subito se avesse ritenuto che Mary stava per morire.

La signora Van Helsing: la frase mi riempì di trepidazione, sebbene non comprendessi o ricordassi immediatamente. C’era stata una signora Van Helsing? Ero venuta in quella casa venti anni prima, per prendere il piccolo e dolce Jan e per rapire il fratello di Bram…

Naturalmente, naturalmente… C’era stata una donna: una timida cosina scialba dagli occhi grandi. L’avevo morsa ma non l’avevo uccisa, dato che era stata un ostacolo sulla mia strada. Aveva uno di quei nomi olandesi che si dimenticano facilmente che iniziava con un G, quel suono fortemente aspirato come la ch ebraica, ripetuta due volte nel nome “Van Gogh”.

Per qualche ragione, non mi era nemmeno venuto in mente che lei fosse ancora viva, ma la rivelazione che lo fosse — e che si trovava in Inghilterra con Van Helsing — mi riempì di orrore.

Che cosa sarebbe accaduto se lui usava sua moglie per avere informazioni su di me? Poiché Vampiro e vittima sono legati insieme finché entrambi sopravvivono e, così, quella donna dagli occhi folli era legata a me, anche se la sua personalità era così timida, così umile, che nel corso degli anni mi ero sconsideratamente dimenticata di lei. Io, che ero stata una tale idiota da non pensare di voltare le carte e ottenere informazioni su di lui.

Ho corretto la mia sbadataggine.

Durante tutto il tempo, avevo udito i passi e le grida dal piano di sopra e i sommessi confortanti bisbigli di Frau Koehler. Le grida erano cessate, seguite dal rumore dell’acqua che scorre. Uscii dallo studio e attesi di nuovo alla fine delle scale, finché l’infermiera apparve.

Non mi invitò a salire, ma scese le scale per fermarsi accanto a me; il sudore le brillava sulla fronte e sul labbro superiore. Si portò il grembiule al viso e lo asciugò.

«Penso che adesso dormirà», disse a voce bassa. «È molto stanca; finora ha avuto un giorno molto difficile. Ritornerete presto, Mrs. Windham?».

Scossi la testa, ansiosa di lasciare quella triste casa e turbata da quello che Mary mi aveva detto.

«No. È ora che parta. Ho la mia famiglia da curare e ho già salutato Mary».

Il suo ampio viso quadrato divenne genuinamente triste.

«Mi dispiace che dobbiate andar via dopo una visita così breve, signora. Ho visto che Mary vi ama moltissimo, e voi lei».

Mi voltai prima che vedesse le lacrime, e lei mi condusse all’entrata principale. Quando aprì la porta, mi fermai e la guardai in viso, poi con leggerezza toccai con le dita la sua guancia.

Come avevo sperato, mi guardò negli occhi e cadde subito in trance.

«Non ricorderai niente di tutto ciò», le dissi. «Non me, non il mio nome, non il mio aspetto, e se Mary ne parla, penserai che abbia il delirio. La cosa più importante: non ne parlerai, finché vivi, con il dottor Van Helsing».

«Naturalmente», disse, e io sorrisi, rompendo l’incantesimo.

«Grazie, Frau Koehler».

La baciai sulla guancia come avrebbe fatto una sorella.

«Buon viaggio, Mrs. Windham».

Ora sono sulla nave diretta verso casa, dove mi sono trovata un posto nascosto di sotto (è una bella giornata e tutti stanno prendendo il sole sul ponte). A questo punto, mi permetto di lasciarmi andare profondamente nella trance per effettuare il collegamento con la signora Van Helsing. I fili che ci legano sono piuttosto deboli, ma con la pratica si rafforzeranno. Questo è ciò che ho visto, soltanto qualche minuto fa.

Una stanza piccola e semplice dalle pareti bianche, con una finestra chiusa da sbarre di ferro nero che deturpano la vista di un giardino fiorito più in basso. Sopra la finestra, un piccolo crocifisso d’oro.

Dietro di me, odo il rumore di una porta che si apre, e la voce bassa, profonda, di un uomo che dice:

«Gerda, carissima…».

Gerda, sì! Ecco il suo nome.

La mia vista ruota di centottanta gradi. Ora mi trovo a guardare un uomo più anziano con del bianco tra i capelli d’oro e le sopracciglia folte, e un sorriso che vuole mascherare la preoccupazione nei suoi occhi blu. Non si è sbarbato di recente, e la luce del sole che entra dalla finestra cade sui peli d’argento del mento e li illumina. Su di lui c’è un’aria di pesantezza, come se fosse Atlante, che porta il peso del mondo sulle sue spalle. Nello stesso tempo, c’è anche un’aria di bontà, riflessa nei suoi occhi e sui semplici e dolci lineamenti del viso.

Ha qualcosa di familiare, qualcosa che mi disturba; lo guardo e penso al mio defunto fratello, sebbene non si somiglino affatto. Conosco quest’uomo ma, per un istante, sono in imbarazzo, poiché è più vecchio di quasi un quarto di secolo da quando ci incontrammo l’ultima volta, e gli anni e la tragedia l’hanno invecchiato.

Bram, pensa Gerda, ma il dolore profondo dentro di lei trattiene la sua lingua in modo tale che non riesce a parlare… e io, all’improvviso, ricordo. Quest’uomo anziano è la mia nemesi, Van Helsing, l’assassino del mio piccolo Jan, che sarebbe ancora accanto a me oggi, se Van Helsing non avesse ucciso il mio immortale figlio adottivo.

Bene. Van Helsing è con Gerda… in un manicomio, penso; in che altro modo possono essere spiegate le sbarre? E in quello stesso momento, lui comincia a farle delle domande:

Cosa vedi adesso?

«Non sono sicura. Vedo dell’acqua, una grande quantità di acqua verde… che scompare dietro di me, la linea della costa con minuscoli mulini a…».

La fermo appena prima che possa pronunciare la parola mulini a vento, anche se il danno è già stato fatto. Adesso saprà che sono andata ad Amsterdam… ma che sia dannata se saprà quando, e se sono ritornata a Londra.

Lui le fa altre domande, ma lei rimane risolutamente in silenzio, finché l’uomo si arrende e se ne va.

Quando riemergo dal collegamento, scrivo subito tutto per non dimenticare nessun dettaglio. Racconterò a Elisabeth che Van Helsing si trova a Purfleet, da qualche parte vicino a Vlad. Lei si arrabbierà per il tempo perso… quindi non le dovrò mai dire del mio terribile errore di aver dimenticato Gerda; non mi perdonerebbe mai.