E, se falliamo, io non perdonerò mai me stessa.
Nello stesso tempo, sono profondamente turbata. Ogni volta che penso a Mary, è come se il mio cuore gelido fosse gentilmente riscaldato da una fiammella interna, una fiamma che lei ha riacceso facendomi ricordare cosa significhi sentire compassione umana, amore umano. Devo ucciderle il suo unico figlio?
Basta! Basta! Questi pensieri sono troppo pericolosi. Avrò la mia vendetta…
Capitolo decimo
Il diario di Zsuzsanna Dracul
20 agosto. Nessun’altra indicazione su Bram Van Helsing da parte di Gerda; sospetto che lei abbia detto o fatto qualcosa che lo ha messo in allarme riguardo alla mia interferenza e lui deve aver eseguito qualche potente magia per impedirne la ripetizione. Siamo andate in giro per la città, pezzo per pezzo, in cerca di una finestra con un’inferriata che guarda su un giardino fiorito, e abbiamo trovato due possibilità, incluso un manicomio accanto a Carfax, ma nessun Van Helsing, nessuna moglie. È possibile che sia così esperto da rendere entrambi invisibili?
È colpa mia se vengo tanto disgraziatamente superata da un semplice mortale; Vlad mi ha insegnato soltanto gli esercizi più semplici per ipnotizzare, essere invisibile e per autoproteggermi, ma io non ho mai insistito per avere altre informazioni (adesso so che non me li avrebbe rivelati anche se glieli avessi chiesti, ma ci sono state alcune volte che avrei potuto impossessarmi di antichi tomi molto illuminanti e non lo feci). Onestamente non nutrivo alcun interesse per cose tanto “noiose”… e adesso è arrivato il momento di rimpiangerle.
Quando sono tornata da Amsterdam, il benvenuto di Elisabeth è stato più dolce di quanto mi aspettassi; non le ho detto niente di Gerda, ma ho mentito e le ho detto invece che avevo morso Mary e avevo saputo che il buon dottore, in realtà, si trova in qualche posto vicino a Londra. Questo l’ha sorpresa e l’ha resa contenta per cui, nei giorni seguenti, abbiamo trascorso alcune ore piacevoli insieme. Ma, per quanto il suo umore fosseassai gioviale, sembrava diventare un po’ insofferente e irritabile. Ho pensato che fosse per la frustrazione a seguito della nostra vana ricerca di Van Helsing e che stesse lottando per nasconderla per un riguardo verso di me. Ora ho capito meglio; dissimulava per me, è vero… ma non per gentilezza, bensì nel tentativo di ingannarmi.
Stanotte sto cominciando a capire quanto mi ha nascosto. E cosa mi ha detto: anche queste, sono tutte bugie?
È iniziato a metà mattinata. Stavamo diventando pazze nell’attesa dell’arrivo di Vlad, ma oggi ho avuto un forte presentimento che questo doveva essere il giorno. Così Elisabeth e io siamo corse immediatamente a Carfax (era una visione, vestita in raso rosa pallido e crema, con i lunghi riccioli tirati su sotto un cappellino in tinta; era come se si fosse intenzionalmente resa più bella nel tentativo di smorzare la mia rabbia e i miei dubbi).
Avvolte nella protezione della nostra invisibilità, restammo un po’ distanti dalla vecchia e tetra casa, sotto un boschetto di grosse e cupe querce — Elisabeth non volle andare oltre — e guardammo gli operai consegnare le stesse casse di legno che avevo visto caricare e portare via dagli tzigani sui loro carri. In tutto cinquanta casse… e una che, senza dubbio, conteneva Vlad! La riconobbi dal chiarore ellittico che la circondava: un blu notte picchiettato d’oro, simile a un cielo illuminato dalle stelle, più grande di qualunque aura gli abbia mai visto (bisogna tener conto che le mie abilità al riguardo sono sempre state meno che notevoli).
So che anche Elisabeth la vide, poiché trattenne il respiro, poi mi afferrò un braccio e mi sibilò nell’orecchio:
«Ce ne dobbiamo andare subito!».
Confusa, mi voltai verso di lei aggrottando la fronte… e la mia confusione crebbe nel vedere la paura sul suo viso, malamente mascherata.
«Che cosa vuoi dire, con il fatto di andarcene? È arrivato; è giorno… Adesso è il momento! Quando gli operai se ne saranno andati, dobbiamo entrare e distruggerlo!».
«Allora andrai da sola. Non vedi come è diventato potente?». Fece un gesto verso la cassa che irradiava luce, con un’espressione e un atteggiamento — mentre una delle sue scarpette color crema batteva la terra con impazienza — che rivelavano un’intensa ansia. Quindi si voltò e cominciò ad andarsene, ma io le afferrai un braccio e lo strinsi.
«Tu lo temi», dissi meravigliata. «Tu che pretendi di essere invincibile, tu che giuri di evitare il confronto con lui solo perché vuoi goderti il gioco del gatto col topo… hai paura! Non potrebbe darsi che sia lui il gatto e tu il topo?»
«Lasciami andare!». Allora smise di fingere e, inveendo con un epiteto ungherese, mi diede una spinta con un braccio a strisce rosa e crema. Non ho mai visto i suoi lineamenti così grottescamente contorti per la rabbia: in un istante, si era trasformata da una bambola di porcellana in una Medusa. «Non far la sciocca: se litighiamo, ci sentirà. Zsuzsanna, non hai idea del pericolo in cui ci stai mettendo!».
Avrei voluto dire dell’altro, avrei voluto chiederle: «E hai paura anche di Van Helsing, che ti rifiuti di ucciderlo? Anche lui è troppo forte?», ma si liberò della mia presa e si trasformò in una farfalla dorata che se ne volò via sulla brezza estiva.
Controllai la mia rabbia e cavalcai sui raggi del sole, ma non la seguii nella direzione della casa di Londra. Invece, lasciai la proprietà di Carfax e mi diressi a Purfleet dove, sotto il manto dell’invisibilità, scivolai nel negozio di un argentiere e fuggii con un lucente pugnale e una spada dal lungo manico.
Poi ritornai a Carfax, poiché la mia furia per l’inganno di Elisabeth mi aveva reso ancor più determinata a uccidere Vlad e a distruggerlo subito. Per quale altra ragione avevamo atteso tutte quelle settimane? Le avrei mostrato che cosa significava il vero coraggio e poi, dopo aver distrutto lui, l’avrei lasciata alla sua vanità, alla sua degenerazione, alla sua meschina prigione che attendeva silenziosamente la sua prima vittima. In quanto a me, non avevo bisogno né della protezione di un uomo o di una donna, né del loro amore; i due che avevo osato amare, mi avevano entrambi tradito, e ora non mi sarei mai più permessa di soffrire così. Forse avrei dovuto andare a Vienna o a Parigi…
Quando arrivai, gli operai erano già intenti al loro lavoro. La mia rabbia vacillò solo una volta mentre aspettavo sotto le querce morenti, quando riflettei che, forse, ero stata troppo precipitosa nel pensare che la convinzione di Vlad che nessun Vampiro potesse mai distruggerne un altro nel modo tradizionale, con il palo e il coltello, fosse semplicemente un’altra delle sue superstizioni medievali. E se era vero?
Allora me ne andrò e porterò un mortale per compiere l’impresa, mi dissi. Non sarei stata sviata, né avrei permesso a me stessa di credere che correvo un pericolo così terribile come diceva Elisabeth.
Gli operai (un gruppetto di “tipi”, come si chiamerebbero da loro stessi, di classe inferiore, dei cockney) portarono le casse all’interno attraverso l’entrata principale, con un’andatura follemente lenta, una cassa alla volta. Questo, unito a parecchie pause per barzellette sconce, chiacchiere e risate, mi rese così impaziente per l’ora e mezzo che ci volle loro perché finissero, che fui tentata di apparire nel mio aspetto più feroce, con le zanne scoperte, e farli scappare via tutti di corsa.
Quando, finalmente, se ne furono andati, il sole era alto: era mezzogiorno, cosa questa che mi mise di buon umore, poiché quella era l’ora in cui Vlad era più debole. Anche così, mi premurai di rafforzare il velo dell’invisibilità intorno a me e alle mie armi d’argento e con esse scivolai attraverso la fessura della porta principale in rovina, che i “tipi” avevano chiuso a chiave.