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Dopo non più di mezz’ora, l’aura blu nerastra svanì all’improvviso, come qualcuno che spegne una lampada che irraggia oscurità piuttosto che luce. Rivolsi lo sguardo verso l’alto, e vidi un grosso pipistrello che volava silenzioso attraverso l’aria: era una bella creatura con ampie ali di ossa e tendini coperte di sottilissima pelle grigia, e il resto del corpo velato di puro indaco luccicante.

Mi alzai in volo e lo seguii a una certa distanza, avendo cura di non essere scoperta. Volò lungo la riva nord del Tamigi sopra edifici regali e verdi pezzi di terra coltivata, finché il paesaggio si coprì di costruzioni sempre più vicine le une alle altre, e poi fummo nella città.

Sapeva esattamente dove era diretto, poiché non rallentò mai né scese per ispezionare la zona o cercare delle vittime. Fu solo quando ci trovammo nel cuore di Londra che diminuì gradatamente il battere delle sue ali. Quindi si abbassò sempre più attraverso l’ondeggiante nebbia bianca finché, finalmente, rimase a svolazzare proprio intorno a una casa di mattoni piuttosto grande, dietro un muro di pietra con un cancello che portava il cartello HILLINGHAM.

Mantenni nuovamente una rispettabile distanza tra di noi, e rafforzai la mia invisibilità meglio che potei. Ciò che adesso riporto lo vidi da sotto una grande sicomoro, alla distanza di un intero prato. Da lì, feci buon uso della mia immortale vista acuta e fui testimone di ciò che segue.

Il pipistrello rimase sospeso in volo davanti a una finestra scura del secondo piano, con la persiana aperta per lasciar entrare la fresca aria umida e far uscire il calore del giorno. Lì, quella creatura indugiò per un attimo prima di trasformarsi nel bel Vlad dai capelli scuri, che entrò facilmente attraverso la fessura senza attendere l’invito ad entrare. Era una casa che aveva già visitato.

Sebbene la stanza fosse buia, potei vederne facilmente l’interno. Sopra un letto bianco, con lenzuola di merletto (e senza dubbio verginale), giaceva una giovane donna dai capelli ondulati color della sabbia, e un viso piuttosto carino. Apparentemente il suo sonno era stato terribilmente inquieto poiché aveva calciato via le coperte ed era avvolta nel lenzuolo in un modo che non si riusciva a capire dove esso finiva e dove cominciava la sua bianca camicia increspata; da sotto faceva scandalosamente capolino una pallida coscia rotonda.

Quando Vlad si avvicinò al letto, lei si svegliò a fatica e, non appena lo riconobbe, si sedette e gli aprì le braccia, così come l’uomo biblico dovette accogliere il suo figliol prodigo. Egli si avvicinò e la tenne stretta, con le onde castano dorate dei capelli di lei che cadevano sulle braccia di lui… e bevve (quasi cinquanta anni fa, aveva fatto lo stesso con me… e come ne ricordo ancora la dolcezza!).

Nel momento in cui le labbra di lui toccarono il suo tenero collo, mi voltai e corsi di nuovo a Carfax più presto che potei. Avevo visto quello di cui avevo bisogno e conoscevo la strada per Hillingham; ora ero obbligata a condurre una rapida ricerca nella nuova e tetra casa di Vlad.

Cosa trovai? Polvere, polvere e polvere, e dozzine di inospitali ratti, ma certamente nessuna pergamena luccicante con la scritta dorata. Guardai all’interno della cassa in cui lui era stato, ma non trovai altro che terra polverosa che sospettai fosse stata scavata dal pavimento della cappella in Transilvania (Elisabeth ha ragione su una cosa: le sue superstizioni sono veramente strane!). Le casse erano state aperte tutte e cinquanta, e io guardai in ognuna di esse.

Solo polvere e sporcizia che puzzava. Frugai in alcuni altri posti — in un armadio a muro e nel tavolo solitario che stava accanto all’entrata — ma senza successo. Eppure, non osavo attardarmi; così feci un rapido giro della casa e dei terreni, poi me ne andai, timorosa di venire scoperta.

Ora sono a casa e, sebbene Elisabeth sia sollecita fino ad essere fastidiosa, le ho strappato alcuni momenti di intimità per sedermi da sola con il mio bel cane e il cacatua (poverini, come tremano per la mia vicinanza e come, quando parlo loro teneramente, sono in preda alla confusione). Devo mettere tutto questo per iscritto e pensare bene a una strategia da adottare. Sono sola per questo, e non posso fidarmi né di Elisabeth né di Vlad; potrei credere a Van Helsing giacché, sebbene voglia distruggermi, non è solito ingannare. Se soltanto riuscissi a trovarlo, prima gli porrei delle domande e poi lo ucciderei.

Riguardo a domani, non vedo in che modo sfuggire: devo correre un rischio mortale.

26 agosto. Oggi Elisabeth era di cattivo umore e, sebbene cercasse di controllarsi, mi rispondeva in modo irritato. Poi mi ha messo in mano un rotolo di sterline per scusarsi, e mi ha chiesto di andare a fare delle spese.

Così io e il mio bel cocchiere abbiamo guidato attraverso la città e, ad un certo punto, gli ho ordinato di attendermi davanti a un bel negozio di abiti. Una volta dentro, mi sono resa invisibile e mi sono lasciata trasportare dal vento fino a Hillingham.

Essendo poco dopo mezzogiorno, era del tutto improbabile che avrei trovato la vittima di Vlad da sola, ma sapevo che sarebbe stata troppo debole per allontanarsi molto da casa. La luce del giorno dava alla casa di Hillingham un’aria molto più allegra; l’edificio di pietra con gli abbaini non sembrava più cupo e sterile ma del tutto ridente con la sua porta rossa, le gronde e le tendine di pizzo bianche. Sul prato, di un verde scuro, dei cuccioli di terrier — uno nero e uno marrone — saltavano, mentre la loro madre, esausta, guardava da sotto l’ombra di un alto frassino; accanto, un domestico curava un giardino di rose profumato.

Se ne era andato anche il miasma blu che contrassegnava la presenza di Vlad e quello era, forse, il segno più allegro di tutti.

Individuai subito la finestra dove Vlad era entrato, e guardai all’interno. La persiana questa volta era chiusa, nonostante la piacevole brezza calda, ma la giovane donna era esattamente dove mi ero aspettata di trovarla… a letto, appoggiata a due cuscini, che leggeva, con le coperte tirate quanto più possibile, come se temesse un’infreddatura in quel giorno, uno dei più caldi dell’anno.

Era una ragazza piuttosto carina, veramente, con occhi all’insù di colore verde chiaro, zigomi sporgenti, e un piccolo naso sottile; il tutto le conferiva un aspetto vagamente felino. Indossava una bella camicia da notte con asole ricamate di lino, di un verdemare chiaro che faceva risaltare i suoi occhi. Mentre leggeva, una cameriera stava vicino al letto, spazzolandole devotamente i lunghi capelli ondulati che, nelle macchie di luce solare, avevano il colore della sabbia che riluceva d’oro qua e là. Contro il vestito verde pallido sembravano una brillante spiaggia accanto al grande oceano.

Mentre guardavo, una domestica proveniente dalla cucina entrò con un vassoio contenente un magro pranzo e del tè; la giovane signora sospirò e scosse la testa, ma la domestica insistette e lasciò il vassoio sul tavolo accanto al letto, nel caso l’appetito della giovane signora fosse migliorato.

Nell’istante in cui le domestiche se ne furono andate, chiudendo dietro di loro la porta, mi avvicinai alla finestra e mi materializzai appena per battere con le unghie contro il vetro. Come avevo sperato, la ragazza alzò gli occhi dalla lettura e inclinò la testa, incuriosita; bussai sempre più forte, proiettando la mia aura come un pescatore getta una rete, e attirandola finché non riuscì più a resistere. Gettò via le coperte e si alzò languidamente; lentamente (fermandosi una volta per chiudere gli occhi e premendosi una mano sulla fronte come se avesse le vertigini) si fece strada verso la finestra e, con un grande sforzo, aprì il pannello scorrevole.

Quello era l’invito per me ad entrare. Mi chinai in avanti, pensando di saltare attraverso la finestra aperta nella camera, come Vlad aveva fatto la notte precedente.