Ma qualcosa mi trattenne nell’istante in cui infilai la testa sotto il vetro. Era un talismano, qualcosa fissato sopra o sotto la finestra, che mi fece solleticare la pelle, poi pizzicare, e poi bruciare forte, come se stessi cercando di nuotare attraverso dell’acqua in cui era stata versata una quantità sempre maggiore di acido, fino a farla diventare puro vetriolo. Gridai per il dolore, arretrando; la mia invisibilità avrebbe dovuto impedire alla ragazza di udire ogni rumore, ma lei dovette sentire qualcosa, poiché aggrottò la fronte perplessa e guardò in lontananza prima di chiudere il vetro.
Quella doveva essere opera di Vlad, decisi, e silenziosamente gli giurai che non mi sarei scoraggiata tanto facilmente. Così feci il giro di altre finestre finché ne trovai una libera da qualsiasi incantesimo: era la sala da pranzo, dove trovai la stessa cameriera che apparecchiava un lungo tavolo soltanto per una persona. Nuovamente, bussai alla finestra e la ipnotizzai molto facilmente; lei aprì la finestra senza un attimo di esitazione.
Non persi tempo con lei, ma andai direttamente al piano di sopra, davanti alla stanza della sua giovane padrona. Lì bussai e fui ammessa cortesemente dalla sua voce:
«Avanti…».
C’è un momento in cui noi Vampiri perdiamo la nostra abilità di nasconderci: è nel momento di nutrirci, non a causa di qualche limitazione a noi imposta dal Patto con l’Oscuro Signore, ma perché l’atto del bere sangue ci assorbe completamente, come fa con la nostra vittima. Quindi, la nostra concentrazione mentale, tanto necessaria per manipolare l’aura, viene a mancare, e noi siamo visibili a coloro che ci nutrono.
Fu cosi che, quando oltrepassai la soglia per entrare nella sua camera, non vidi ragione di dissimulare la mia presenza; in ogni caso, lei mi avrebbe vista ben presto.
Quando apparii improvvisamente all’entrata e chiusi a chiave la porta dietro di me, lei si mise a sedere nel letto e si portò una mano diafana alle labbra pallide con uno sguardo di intensa curiosità temperata da una mite paura. Avrebbe ben potuto gridare per chiamare una delle cameriere, ma era una gentildonna, educata ad essere civile, e così chiese, con tanta cortesia quanta ne poteva trovare di fronte a una tale sorpresa:
«Chi siete?».
Sorrisi e, dentro di me, sentii la mia bellezza immortale risvegliarsi e fiorire; sentii, anche, il mio magnetismo crescere istintivamente e traboccarmi dagli occhi per andare verso quelli della giovane signora, attirandola irrevocabilmente a me. Nel profondo del verde oceano del suo sguardo, vidi il debole brillare dell’indaco. Avrei dovuto colpire con rapidità; avrei dovuto tenere la mia mente il più possibile libera da pensieri. Anche così, il pericolo per me era ancora grande. Chi conosceva i limiti del potere di Vlad? Come potevo essere certa che anche durante il giorno, lui non mi avrebbe afferrato attraverso quella creatura in stato letargico e mi avrebbe colpito?
«Sono un’amica, venuta ad aiutare in un momento di necessità», dissi, avanzando per fermarmi accanto al letto.
Improvvisamente percepii acutamente il vetriolo diluito che solleticava la mia pelle: allora alzai lo sguardo e vidi sull’unica finestra un minuscolo crocifisso d’argento. Impossibile che ne fossi ancora influenzata, ora che Elisabeth mi aveva mostrato la verità… a meno che, naturalmente, non fosse stato trattato da un mago potente e sapiente: Vlad.
Poi la giovane signora mi distrasse da quel triste pensiero; sospirò e si premette una mano sul cuore — non so se per proteggerlo e per fare segno di offrirmelo — ma il suo sguardo spaventato espresse un amore estatico, e le sue labbra si aprirono nel riconoscimento sensuale dell’evento che stava per verificarsi.
«Siete così bella!», bisbigliò alzando il viso verso il mio, e lasciando vedere un lungo collo bianco parzialmente coperto da una fascia di velluto.
Il mio sorriso divenne ironico. Mary aveva pronunciato lo stesso identico complimento, ma il suo era stato sincero (se non completamente lucido), e mi aveva toccato nel profondo; quello della ragazza fu il risultato del suo essere completamente ipnotizzata, e quindi non mi procurò alcun piacere.
Mi chinai per il bacio e spinsi la fascia di velluto verso il basso finché trovai i segni. Fu lì che misi le mie labbra sul suo collo e leccai la pelle, cercando con la lingua le minuscole punture in modo da poter mettere i miei canini esattamente sopra di esse. Rimasi lì un breve attimo: non per il desiderio di assaporare il momento, ma per trepidazione.
La conoscenza, il più delle volte, viaggia nel sangue; bere significa anche conoscere la vittima, ma in quei momenti per noi è impossibile trattenerci; le nostre aure si espandono per mescolarsi a quelle della nostra preda. Di questo, generalmente, non ci si deve preoccupare, poiché, quando la vittima è completamente in trance, tutto quello che viene a sapere è dimenticato quando si sveglia, mentre il legame psichico con il Vampiro resta.
Così Vlad può conoscere i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue immagini, solo fino ad un certo punto (a meno che lui non la leghi a sé in modo più completo tramite uno scambio di sangue, dato che in quel momento può sapere quasi qualsiasi cosa lui desideri). Quindi, se mi fossi unita a lei quando era ipnotizzata, e più aperta ai pensieri di lui, li avrei conosciuti.
Ma lui avrebbe conosciuto anche i miei?
La ricompensa valeva il rischio. Chiusi gli occhi mentre i miei denti affondavano lentamente nella strada già aperta per essi, e cercai di concentrare la mia mente soltanto sul rumore del respiro della ragazza e sul battito del suo cuore.
Il sangue si alzò a incontrarmi, e io bevvi.
L’immagine di una donna in carne, florida… tutta seno e ventre, senza collo, con radi capelli grigi pettinati miseramente. Mamma sembra malata, questi giorni, poverina.
Sto morendo? Arthur…
Un giovanotto con un ciuffo di riccioli biondi e un viso lungo, marcatamente equino.
Le righe sono sei, le chiavi sono due. Quella dannata chiave! Dev’essere qui…
Ecco l’immagine della splendente pergamena decorata d’oro, sotto le giovani mani di Vlad; ora ne potevo decifrare le lettere.
A est della metropoli c’è l’incrocio. Lì giace un tesoro, la prima chiave.
Poi vi fu lo scoppio di una forza lacerante — una forza più accecante del fulmine, più assordante del tuono, più potente del turbine più mortale, una forza che, in apparenza, aveva origine nella stessa signorina Lucy Westenra — che mi gettò all’indietro contro il muro.
Indietreggiai, quasi accecata dal colpo che avevo ricevuto. Solo quando udii le cameriere gridare «Miss Lucy! Miss Lucy!» e salire correndo le scale, rinvenni e ritrovai il controllo della mia aura. Prima che le cameriere arrivassero, scoprissero che la porta era chiusa a chiave, e cominciassero a bussare freneticamente, io ero diventata invisibile e, prima che la suddetta “Miss Lucy” aprisse la porta, ero già scivolata attraverso di essa e stavo fuggendo per la strada da cui ero venuta.
Ritornai nel negozio di vestiti eleganti, dove Antonio ancora mi attendeva con la carrozza. Da lì, facemmo ritorno alla relativa sicurezza della casa di Elisabeth; fui grata che lei non mi vedesse entrare, poiché ero troppo esausta dopo lo strano attacco che avevo subito, per proteggermi un minuto in più da un altro. Né ero dell’umore adatto per mascherare il mio disordine o le mie mani tremanti.
Andai direttamente nel mio salotto privato (privato perché Elisabeth disprezza a tal punto gli animali che non vi entrerebbe mai), dove i miei bianchi e ingioiellati prigionieri si rannicchiarono alla mia vista. Il cacatua alzò la cresta e indietreggiò quando mi avvicinai, mentre l’afgano abbassava la coda e cercava di sgattaiolare via, ma io avevo troppo bisogno di un onesto conforto. Afferrai il povero cane e lo misi accanto a me sul sofà, poi seppellii il mio viso nella sua pelliccia morbida ed entrambi tremammo.