Prima di sera, ricevemmo una risposta da “Mr. Windham” nella quale diceva che sarebbe arrivato con il primo treno del mattino. Sebbene la mia fiducia riguardo al talismano costituito dal crocifisso fosse stata seriamente scossa, fui nondimeno grandemente sollevato nell’udire che il professore stava bene ed era, realmente, sulla via del ritorno.
Grazie a Dio passammo una notte priva di avvenimenti; questa volta, non mi permisi un secondo sonno. La colpa che sentivo per aver tradito la mia paziente — colei che amavo più di ogni altra cosa — faceva scomparire ogni fatica.
Fu così che il professore, finalmente, arrivò. Era di umore cupo… così cupo che, nonostante la terribile situazione di Lucy, sospettai che avesse, nella sua mente, dei dolori anche più grandi. La prima cosa che mi bisbigliò, dopo che la madre di Lucy (che sembrò grata di essere tenuta all’oscuro riguardo alla salute di sua figlia) gli ebbe dato il benvenuto in casa, fu:
«Il crocifisso, l’ha tolto qualcuna delle cameriere?»
«No», risposi, mentre cominciavamo a salire le scale. «Vedrete. È proprio dove l’avete lasciato».
«Allora qualcun altro deve averlo invitato a entrare», disse gravemente. «Non Mrs. Westenra…».
«No», convenni, sorpreso di me stesso, «non lei…».
Nonostante la situazione, Van Helsing fece un sorriso debole e triste.
«Sei proprio un talento psichico, amico John. Sicuramente non hai preso da me; le miserabili abilità che possiedo le acquistai soltanto dopo il più grande degli sforzi». Il suo sorriso si trasformò immediatamente in un’espressione a labbra serrate di infelice determinazione. «Hai ragione riguardo a Mrs. Westenra. Non è stata toccata da coloro che combattiamo; tali cose si vedono prima, invariabilmente, nell’aura, anche se solo in misura minima. Ma dobbiamo fare delle domande a chiunque abbia dormito in questa casa ieri notte, anche a coloro che hanno fatto visita dopo il tramonto. Lì troveremo la risposta a questo mistero».
Si fece nuovamente silenzioso mentre ci avvicinavamo alla stanza di Lucy, quindi la piccola cameriera aprì la porta con un piccolo inchino. Chiedemmo di essere lasciati soli per effettuare il nostro esame, cosa a cui la ragazza acconsentì con riluttanza; una cosa ben fatta poiché, quando Van Helsing entrò e vide Lucy che dormiva, bisbigliò:
«Mio Dio!».
Per un po’ nessuno di noi due parlò e, mentre entrambi restavamo a studiare Lucy nella luce del primo mattino, vidi che aveva un aspetto peggiore di quello del giorno prima. Le sue guance erano talmente scavate che il suo viso sembrava scheletrico. Era molto vicina alla morte, forse mancava solo qualche minuto… e quell’idea mi colpì con tale forza che arrivai quasi a piangere e, nella realtà, inciampai.
Il professore mi afferrò il braccio con una mano incredibilmente forte e mi raddrizzò.
«Può ancora essere salvata, John, ma dobbiamo agire rapidamente; c’è una cosa che posso fare, ma non c’è tempo per le spiegazioni…».
«Sì, sì», risposi, ansioso di concentrarmi su qualcos’altro che non fosse il mio stesso dolore. «Ho pensato la stessa cosa! Una trasfusione…».
Sospirò e scosse la testa.
«No, è una cosa troppo rischiosa. Ho visto quell’operazione fare miracoli… ma l’ho vista, più spesso, portare la morte. Non so come spiegare cos’è che propongo, tranne dire che è una trasfusione… in un certo senso. Ma non a livello fisico».
Ero troppo sconvolto per l’emozione e confuso dalle sue parole per rispondere. Lo guardai battendo gli occhi, in attesa.
«Devo avere completa tranquillità. Di’ a Mrs. Westenra e alle domestiche che nessuno deve venire vicino. Di’ loro… di’ loro che stiamo effettuando una trasfusione di sangue, e che la delicatezza dell’operazione è tale che ogni interruzione metterebbe in pericolo la vita di Miss Lucy». Si fermò, lottando apparentemente per prendere una decisione mentre mi voltavo verso la porta, e la sua esitazione mi fece indugiare. «John… esito a chiederti un tale favore, ma l’“operazione” che voglio compiere, in effetti, ha bisogno di un donatore».
«Eccomi!», risposi immediatamente.
«Devi sapere, però, che questo diminuirà un po’ la forza dell’aura, e così la tua abilità di proteggerti per un po’ di ore».
«Dottore, non mi importa se il costo è la naia stessa anima!».
Lui annuì, chiaramente sollevato.
«Non è impossibile per me usare me stesso ma, con tutta probabilità, sarebbe molto meno efficace per la nostra paziente. Benissimo! Andrò nell’altra stanza per prepararmi. Potresti anche andare a prendere la mia borsa medica al piano di sotto? Rafforzerà l’illusione che stiamo effettivamente compiendo l’atto che fingiamo di fare».
Annuii e ci allontanammo l’uno dall’altro: io diretto verso il corridoio e le scale, lui verso il salotto di Lucy. Ma dei rumori provenienti dal piano inferiore — il bussare e la risposta stridula della cameriera — catturarono la nostra attenzione. Il professore mi lanciò uno sguardo e disse:
«Sospetto che Miss Lucy abbia una visita».
Fu così che mi seguì rapidamente per le scale e, proprio mentre arrivavamo nell’ingresso, vidi Art Holmwood che entrava; al vedermi, Art corse verso di me e mi prese la mano, confessando che l’ansia contenuta nella mia lettera l’aveva portato qui.
«Questo signore non è il dottor Van Helsing?», chiese con cortesia, poiché il professore slava al mio fianco, studiando piuttosto cautamente il giovane intruso. «Vi sono così grato, dottore, per essere venuto!».
Sapevo che Van Helsing non aveva alcuna ragione per fidarsi di Art, e che lo stava esaminando a un livello psichico per vedere se costituiva una minaccia per noi o per Lucy. Ma io ero fiducioso che il mio amico avrebbe passato l’esame, e così fu. Vidi un fremito di sollievo sul viso di Van Helsing, seguito rapidamente da un onesto sguardo di ammirazione e di approvazione soddisfatta. Subito prese la mano di Arthur e, con mia sorpresa, gli disse che avevamo bisogno di un donatore per una trasfusione di sangue, per la quale Art, naturalmente, si offrì volontario.
Quindi Van Helsing informò con severità i domestici che avevamo bisogno di tranquillità, e prese la sua borsa nera (che era più grande e più pesante della tipica borsa da dottore: non so immaginare cosa vi fosse dentro).
Tutti e tre ci avviammo quindi verso la stanza di Lucy. Art rimase naturalmente colpito nel vederla così orribilmente debole, e per gentilezza il professore gli permise di darle un bacio prima “dell’operazione”. Ero piuttosto curioso di vedere come intendeva arrivare allo scopo con un estraneo presente, e con Lucy che, ora, era sveglia (sebbene troppo esausta per parlare).
Andò nell’altra stanza, dicendo loro che si doveva preparare per l’operazione. Scomparve per non più di una manciata di secondi e, quando ritornò, teneva in mano un bicchiere. Disse che quello era un sonnifero per Lucy e le fece scivolare un braccio dietro le spalle, sollevandola, in modo che potesse berlo.
Forse era veramente ciò che diceva di essere, ma io vidi lo sguardo di lui che incontrava quello di lei per un istante… e giuro, ora, che un chiarore distintamente bluastro si riversò dagli occhi di lui in quelli di lei. Alla fine Lucy cadde addormentata. Quindi lui si mosse verso Arthur (che sedeva accanto al letto sulla stessa sedia in cui io ero rimasto tanto spesso a vegliare) e, tirando fuori dalla sua borsa un lungo pezzo di tubo, finse di legarlo al braccio del suo paziente. Prima, però, fissò negli occhi Holmwood con la stessa intensità che aveva usato con Lucy e, nel giro di qualche secondo, anche Art divenne profondamente inconsapevole.