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L’intensa meditazione non aveva permesso alla verità delle irose parole di John di scomparire; al contrario, più le rimuginavo, più arrivavo a credere che avesse ragione. Ci siamo accordati che, quando Miss Lucy sarà messa veramente a riposare, sarà la mano di Arthur a eseguire l’azione e John, Quincey e io, assisteremo. Ho scritto delle lettere ad Arthur e a Quincey, chiedendo loro di accompagnarmi alla tomba. Oltre a ciò, non ho fornito alcuna spiegazione; le parole non possono convincere tanto completamente quanto la prova fisica.

Nel frattempo, gli ultimi giorni sono stati frenetici per parecchie ragioni. Dato che non c’erano altri parenti viventi, Mrs. Westenra ha lasciato la proprietà ad Arthur. Lui, a sua volta, ha chiesto a John e a me l’aiuto per esaminare le carte e organizzare il funerale, essendo già oppresso da obblighi simili connessi alla morte di suo padre. Gli chiesi il permesso di esaminare le carte personali di Lucy e il diario per capire meglio “la natura della malattia”. Questo lo permise, essendo troppo turbato persino per discutere la mia richiesta.

Scorrendo tra quelle carte, scoprii un grosso pacco di lettere scritte da Wilhelmina Murray, che Lucy nominava costantemente nel suo diario come “Mina”. Sembra che quelle due donne fossero le migliori delle amiche; di fatto, Lucy spesso passava l’estate con Madam — cioè, Miss — Mina alla villa dei Westenra a Whitby. Lucy non teneva un diario a quel tempo (nel ritornare a Londra, però, fu soggiogata dall’influenza diaristica di Miss Mina e ne cominciò uno), così non c’è una registrazione di ciò che accadde con precisione, ma io so che fu lì che, per la prima volta, venne morsa.

Le lettere di Mina, alcune delle quali, purtroppo, non furono mai aperte, riflettevano una signora di grande bontà e intelligenza. Nel leggerle, ebbi subito la sensazione di averla già incontrata e di aver fatto amicizia con lei; così ebbi ancora più paura di sapere delle cose riguardo al periodo trascorso a Whitby con Lucy. E infatti, se Lucy era stata morsa, perché non lo era stata la sua amica?

Due giorni dopo il funerale delle Westenra, scrissi a Miss Mina Murray (ora Mrs. Mina Harker) chiedendole se potevo avere un colloquio con lei, poiché ero stato il medico di Lucy Westenra e stavo investigando sulle cause della sua morte. Lei rispose prontamente e in modo estremamente caloroso, invitandomi nella sua casa di Exeter il giorno seguente.

Con un po’ di trepidazione andai. Il mio cuore era ancora terribilmente addolorato dopo la terribile sconfitta con Lucy, e temevo di trovare un’altra gentildonna colpita dalla maledizione del Vampiro.

Fortunatamente, quando arrivai a Exeter ed entrai nello studio di Mrs. Harker, vidi una giovane donna piena di salute: le sue guance e le labbra rosa erano un benvenuto e una bella vista dopo il pallore della povera Lucy. Anche più bella era la vista del suo lungo collo che si alzava puro e senza segni da un vestito scollato. Ma Madam Mina (non potei resistere a chiamarla subito così, poiché era chiaro che la morte di Lucy ci aveva già unito in amicizia) non aveva affatto l’aspetto che mi attendevo. Le sue lettere indicavano una donna di una tale maturità e saggezza che io l’avevo immaginata più grande di Lucy, più alta e più robusta.

Ma era di tutta la testa più bassa della sua defunta amica, una minuscola creatura dall’aspetto fragile, a malapena più grossa dei bambini ai quali aveva insegnato prima del suo recente matrimonio con Mr. Harker. Anche il suo viso era quello di una bambina — a forma di cuore sotto una capigliatura castano scuro acconciata alla Pompadour, con grandi occhi a mandorla, un naso piccolo e una bocca simile a un bocciolo di rosa — così innocente e ingenuo che avrebbe sempre attraversato la vita sembrando molto più giovane dei suoi anni.

Ah, ma quegli occhi… Mi ricordavano quelli di John, poiché erano sensibili, intelligenti, veloci nell’assorbire ogni dettaglio, e fortunatamente liberi da ogni traccia di luccicante indaco traditore. In effetti, anche nella chiara luce del giorno che proveniva dalle imposte aperte, le si poteva vedere intorno un deciso chiarore viola: una forte aura per una donna forte.

Quando arrivai, apparentemente era immersa nel lavoro, poiché udii un battere di tasti nel corridoio, che cessò nell’istante in cui la cameriera bussò per annunciare il mio arrivo. Quando la porta si spalancò, vidi che un angolo del salotto era stato trasformato in studio. Dietro di lei si trovava una scrivania sulla quale vi erano dei giornali accatastati, un piccolo diario nero, della carta bianca ammucchiata in un cestino di fil di ferro, e una grossa macchina da scrivere con un foglio di carta inserito.

In quella pausa di un secondo in cui ci guardammo l’un l’altro e io verificai che lei era veramente Mrs. Harker — Mina Murray — quegli occhi intelligenti mi esaminarono con grande attenzione, ma in modo così rapido da non mancare di cortesia. In apparenza lei ebbe di me un’impressione tanto favorevole quanto io di lei, poiché un’espressione di impercettibile calore le apparve sul viso.

Si avvicinò con uno sguardo cortese e tese una mano delicata e pallida, un terzo la grandezza della mia, grande, callosa e scura. La presi, grato di sentire con il tatto che la mia valutazione visiva di lei era stata accurata: lei non era vittima della maledizione, non era segnata. Così il sorriso che le rivolsi fu il primo genuino dopo molti giorni.

«Madam Mina», dissi, usando istintivamente l’appellativo meno formale, che sembrò farle piacere. «Vengo a causa della defunta».

Il suo sguardo era piacevolmente intenso e diretto (come noi olandesi preferiamo), senza il distogliere e il chiudere gli occhi così prediletto dalle donne inglesi. Vi vidi l’amore per la defunta amica, e un’onesta gratitudine nei miei confronti; quando parlò, seppi che lo fece direttamente dal cuore.

«Signore», rispose, con una voce forte, matura, che negava la sua apparenza giovanile, «voi non potete desiderare una migliore presentazione dell’essere stato amico e di aver aiutato Lucy Westenra».

Passato il momento delle presentazioni, lei chiese quali informazioni precisamente desiderassi da lei, e io spiegai il mio bisogno di certe informazioni riguardo a Whitby: tante quante fosse in grado di ricordarne.

«Bene, vi posso dire tutto al riguardo», disse, facendomi cenno di sedere su un vicino divano. «L’ho messo tutto per iscritto. Vorreste vederlo?».

Naturalmente. Così prese il diario nero dalla scrivania e me lo porse con un improvviso lampo malizioso negli occhi; sembra che Madam Mina abbia un senso dello humour piuttosto spiccato.

Aprii il diario, con l’intenzione di leggere immediatamente, ma sulla pagina vi erano dei chiari ma totalmente incomprensibili scarabocchi, riccioli, e linee. «Mr. Jonathan Harker è un uomo fortunato», dissi, porgendoglielo, «ad avere una moglie così piena di talento, ma ahimè, io non conosco la stenografia. Vorreste essere tanto gentile da leggermela?».

La giovane arrossì mentre prendeva il diario e, subito, prese un mucchietto di fogli dal cestino di ferro.

«Perdonatemi. Ecco: quando mi avete detto che desideravate chiedermi di Lucy, vi ho preceduto, e ho scritto per voi tutte le registrazioni di Whitby con la macchina da scrivere».

La ringraziai con estrema sincerità per la sua fatica e chiesi se le potevo leggere in quel momento; lei acconsentì e si scusò, dicendo che sarebbe andata a controllale la preparazione del pranzo.

Chiuso nella tranquillità del salotto, lessi rapidamente le registrazioni. Parlavano di Whitby, di Lucy, e di parecchi incidenti di sonnambulismo; in un punto, era chiaro che aveva salvato Lucy — senza saperlo — proprio dall’abbraccio del Vampiro. Il diario, ovviamente, doveva essere privato, poiché menzionava la sua estrema ansia per l’allora fidanzato, Jonathan, che era apparentemente all’estero e non aveva scritto per un po’ di tempo.