Non pensai per niente a questo fatto, concentrando invece tutta la mia attenzione sugli eventi in cui Vlad era coinvolto con grande chiarezza. Fino al momento in cui lessi la registrazione del 26 luglio, quando Madam Mina aveva appena ricevuto la lungamente attesa lettera da Jonathan, spedita dal suo impiegato. Una frase sembrava risaltare nella pagina:
«È soltanto una riga scritta dal Castello Dracula e dice che sta partendo verso casa».
Fui contento che lei mi avesse lasciato solo, poiché imprecai a voce alta e colpii il divano con un pugno alla vista di quel nome. Jonathan al Castello Dracula! E quindi questa dolce signora, dalla quale io ero stato immediatamente colpito, non era affatto al sicuro: era in grande pericolo! La malvagità del Vampiro non l’aveva toccata soltanto una volta, attraverso la morte della sua più cara amica, ma anche attraverso suo marito.
Lessi ancora e appresi che Jonathan aveva sofferto di “febbre cerebrale”, poiché aveva delirato come un folle davanti al capostazione di Klausenburgh per avere un “biglietto per casa”. Sebbene non avesse un penny, la sua condotta violenta aveva spaventato quelli del luogo che gli avevano dato un biglietto per la destinazione più ad ovest, Budapest. Lì era stato trovato in un tale stato mentale che fu portato subito in un sanatorio, le cui buone suore ne diedero notizia a Madam Mina, che venne e lo portò a casa in Inghilterra (fu nel sanatorio di Budapest che si sposarono).
Dopo che ebbi letto tutto, misi da parte i fogli e cominciai a pensare. Avevo già preso la decisione di mettere a parte Quincey e Arthur delle nostre (cioè, di John e mie) conoscenze riguardo al Vampiro, poiché sembrava giusto che entrambi prendessero parte alla vendetta per la morte della donna che amavano.
E Madam Mina, non aveva lo stesso diritto? Anche se Jonathan non fosse stato morso, aveva già sofferto un grande tormento mentale. Ricordai l’amara frase di John: Lucy non aveva saputo nulla del Vampiro, eppure ciò non l’aveva protetta minimamente. Quindi, suppongo che sia vero: la conoscenza è il potere, anche se, in questo caso, è solo il potere di arrendersi… o di fuggire.
In ogni caso, era troppo tardi; avevo già aperto il mio cuore a questa donna e mi preoccupavo del suo benessere quanto mi ero preoccupato di quello di Lucy. Non potevo semplicemente andarmene e lasciarla lì a fare, da sola, la terribile scoperta riguardo a suo marito, o diventare la vittima dell’attacco di lui o di Dracula.
Perciò, quando Madam Mina ritornò, la ringraziai fervidamente per il suo illuminante manoscritto, anche se sarebbe stata colta dall’orrore nel sapere cosa avevo scoperto alla luce di esso. Il più casualmente possibile, feci un’osservazione circa la febbre cerebrale di suo marito e chiesi se era guarito completamente.
Subito un’ombra velò la sua espressione e una profonda ruga apparve tra le sue scure e delicate sopracciglia; si fermò e disse con cautela:
«Era quasi guarito… ma è rimasto profondamente rattristato dalla morte del suo datore di lavoro. Mr. Hawkins prese Jonathan sotto la sua ala ed è stato come un padre per lui, per molti anni».
Annuii e, con qualche commento partecipe, la spinsi a parlarne un po’ di più.
Questo accrebbe il suo sconforto finché la ruga fu raggiunta da altre sulla fronte, e le sue labbra piene a bocciolo di rosa si strinsero in una linea sottile. «Provò… un certo spavento lo scorso giovedì, quando eravamo in città, passeggiando a Piccadilly».
Di nuovo la sollecitai a rivelare qualcosa di più, finché appresi che lo aveva reso cupo la vista di un uomo (non un uomo mortale, sospetto!), un uomo che chiaramente aveva avuto qualcosa a che fare con la sua malattia al cervello.
All’improvviso si inginocchiò. Non in lacrime o presa dall’isteria ma così stravolta dalla paura e dalla preoccupazione per suo marito, che alzò le braccia verso di me e mi supplicò di aiutarlo, di farlo stare ancora bene. Sebbene non lo dicesse, capii che temeva che Jonathan stesse diventando pazzo.
Con delicatezza presi le mani imploranti di Madam Mina tra le mie e l’aiutai a rialzarsi. Mentre la conducevo al divano e mi sedevo accanto a lei, dissi con la sincerità più estrema:
«Mia cara Madam Mina, da quando sono venuto a Londra in risposta alla chiamata del mio amico John Seward, ho trovato numerose persone — incluso Arthur (cioè, Lord Godalming) e la nostra Miss Lucy — la cui forza di fronte alla disperazione e la cui pietà mi hanno colpito profondamente. Sono onorato di chiamarli amici e di sapere che essi pensino lo stesso di me. Dai vostri scritti e dalla vostra sola presenza, so che voi siete buona e meritevole come loro. Per favore, pensate a me come a un vostro amico, Madam Mina, e sappiate che io aiuterò voi e vostro marito in ogni modo.
Ma prima vi dovete calmare e, quando il pranzo sarà pronto, dovete mangiare. Dopo di ciò, mi potrete esporre in dettaglio i vostri guai».
Mentre parlavo, era già ritornata calma, e l’ombra si era dileguata dal suo viso, lasciandola controllata ma speranzosa. Scendemmo di sotto per il pranzo, e dopo ci ritirammo nel salotto dove io insistetti affinché parlasse di Jonathan.
Abbassò lo sguardo: in effetti, sembrava guardare dentro se stessa per la soluzione di qualche dilemma.
«Dottor Van Helsing», e a questo punto alzò ancora gli occhi per guardarmi con quel suo sguardo franco e onesto, «ciò che vi devo dire è così strano che persino io non sono sicura se crederci. Suona tutto come follia; così mi dovete promettere che non riderete per ciò che vi confiderò».
Il mio polso accelerò; compresi che stavamo per parlare di Dracula e delle sue azioni. Mrs. Harker non era una pazza, di ciò ero certo, e così sorrisi mestamente mentre confessavo:
«Mia cara, se solo sapeste com’è strana la ragione per cui sono qui, sareste voi che ridereste. Ho imparato nel corso del tempo a non negare la convinzione di nessuno senza investigare, per quanto essa possa sembrare bizzarra Q impossibile».
Mi guardò intensamente mentre parlava, e io penso che fu la comprensione nel mio sguardo più che il senso delle mie parole che la convinsero. Si rilassò e assentì, rassicurata.
«Grazie, dottor Van Helsmg», disse, quindi si alzò, andò alla scrivania, e prese nuovamente dal cesto un altro mucchio di fogli, che mi porse.
«Questo è il diario che mio marito teneva mentre era in Transilvania. È lungo, ma io l’ho dattiloscritto; spiegherà meglio di quanto possa fare io in poche parole la gravità del suo problema. A dire la verità, quando lo lessi — solo recentemente, e per la prima volta — i dettagli erano così complicati e coerenti che quasi vi credetti. Persino ora, sono presa dal dubbio. Non posso dire altro: volete prenderlo, per leggerlo e giudicarlo? Attenderò vostre notizie».
«Lo leggerò stanotte», promisi, poiché ero ansioso di leggerlo quanto lei di udire la mia opinione al riguardo. «Resterò a Exeter stanotte, in modo da farvi sapere subito il mio parere. Posso venire di nuovo domani per vedere sia voi che vostro marito?».
Il grande sollievo sul suo viso fu meraviglioso da vedere; così il nostro incontro fu stabilito. Lei naturalmente suppose che io desiderassi fare un esame accurato della mente di Jonathan ma, in verità, volevo vedere da solo se il segno del Vampiro era su di lui.
Così trascorsi quella notte in una tranquilla stanza d’albergo, leggendo il diario privato di un uomo che aveva vissuto all’inferno e ne era emerso in qualche modo intatto. Era stato intrappolato da Dracula nel castello per due mesi, povero diavolo, e se le sue impressioni possono essere credute, non fu mai morso da Dracula ma era considerato cibo da lasciare per tre Vampire che lui aveva definito “le tre spose”.
Avrei potuto pensare che, nella sua paura, si fosse sbagliato a calcolarne il numero — poiché Zsuzsanna chiaramente veniva citata, come Dunya e, quando ero stato al castello l’ultima volta, quelle due erano le sole “donne” presenti. Ma sentire che una veniva chiaramente descritta come “dai capelli d’oro” e “con occhi di zaffiro”, — mi faceva pensare che non poteva essere nessuna delle due. La mia ipotesi era che quella doveva essere l’“Elisabeth” di Zsuzsanna; se era così, anche lei doveva essere a Londra.