Mentre leggevo il manoscritto, mi venne in mente un altro pensiero fastidioso: avrebbe potuto Jonathan essere stato morso, senza esserne consapevole, da Vlad o da una delle donne? Comunque, ero deciso a scoprirlo durante la mia prossima visita alla casa degli Harker.
Ma insieme alla mia paura sia per Madam Mina che per il novello marito si fece strada in me un crescente senso di ammirazione per lui. Era un giovane e ingenuo avvocato che si era trovato improvvisamente nella più straziante delle circostanze: nel Castello di Dracula, di fronte a Vampire che scomparivano, alle allusioni sadiche di Vlad riguardo al suo destino finale, e alla comprensione che il Principe (cioè, il “conte”, poiché così Dracula amava presentarsi ai suoi avvocati di Exeter) non gettava alcun riflesso negli specchi, comandava ai lupi, catturava bambini piccoli e li dava a quelle donne malvage per il loro sostentamento e, peggio di tutto, il fatto che lui, Harker, era chiuso all’interno del castello senza alcun mezzo di fuga.
Si era arreso? Aveva ceduto a quelle immortali seduttrici? No. Invece, sapendo che sarebbe morto se non avesse agito, Jonathan era uscito strisciando dalla finestra a parecchie centinaia di piedi di altezza dal terreno roccioso sottostante e, per pura forza di volontà, si era appeso con i piedi e le dita alle pietre e alle fessure della parete del castello. Così era sceso ed era scappato a piedi: un’azione quasi impossibile.
Prima di fuggire, aveva incontrato Vlad addormentato nella sua bara… non una, ma due volte. La maggior parte degli uomini sarebbero scappati in preda al terrore, ma Harker, aveva sentito che il “conte” era un mostro che doveva essere distrutto ad ogni costo. Così era tornato di sua volontà nel luogo dove Vlad riposava e aveva tentato di uccidere il Vampiro con nient’altro che una comune pala. Poteva essere un avvocato ma era coraggioso e onesto e, se era fuggito dalla tana dei Vampiri senza essere morso (sebbene sicuramente non incolume), meritava più di chiunque altro di far parte della battaglia che si presentava al nostro piccolo gruppo.
Appena finito questo stupefacente racconto, scrissi a Madam Mina che il diario di suo marito era del tutto veritiero, così come il suo cervello e il suo cuore, e che la sua preoccupazione per la sua sanità mentale era inutile. Mandai un corriere dall’albergo, in modo che potesse ricevere queste notizie (le possiamo veramente chiamare buone, o cattive? Beh, erano entrambe le cose) immediatamente.
Entro un’ora ricevetti una lettera dallo stesso messaggero: Madam Mina aveva scritto un risposta immediata, chiedendomi di andare il giorno seguente non per il pranzo ma per la colazione.
Precisamente a venti minuti alle otto di questa mattina, ho risposto al bussare alla porta della stanza del mio albergo, e mi sono trovato faccia a faccia con il coraggioso Mr. Jonathan Harker, che era venuto a prendermi. Sembrava, come sua moglie, molto più giovane dei suoi anni, con dei capelli ricci castano chiaro e una condotta da uomo d’affari; non lo si sarebbe mai pensato capace delle sbalorditive imprese fisiche e del coràggio professato nel diario. Lo invitai subito ad entrare, con il pretesto che avrei avuto bisogno di un momento per prendere il mio cappotto; ma il vero motivo era di averlo alcuni minuti con me senza essere osservato.
Quando entrò, chiudendo dietro di sé la porta, mi avvicinai immediatamente e sostenni il suo sguardo. Era un soggetto facile, e cadde in trance quasi istantaneamente.
Non ci fu alcun segno immediato di aura color indaco, ma io non persi un attimo; aprii il colletto e glielo tolsi, poi sbottonai la parte superiore della camicia per esaminare completamente il collo e la clavicola.
Nessun segno. Emisi un sospiro così profondo che riuscii a malapena a restare in piedi e, con una scusa silenziosa, rimisi a posto i vestiti di Jonathan meglio che potei. Poi stavo per svegliarlo… ma qualcosa di impercettibile nel suo sguardo e nella sua aura (perfettamente arancione, come quella di Arthur) mi turbò. Era chiara, vibrante, splendente ovunque guardassi, ma nel mio campo visivo, percepii un indizio di incipiente indaco.
Non so cosa volesse dire. In tutti i miei anni di caccia, avevo visto tracce dell’aura scura solo in coloro che il Vampiro aveva morso. E, in tali casi, si era sempre mostrata in modo ovvio, diretto: prima nello sguardo della vittima, poi vagante nella sua aura più chiara.
Mai l’avevo sentita così: che aleggiava vicino, appena nascosta. Forse, pensai, erano soltanto gli effetti psicologici residui del suo imprigionamento nella torre, ma non potevo esserne sicuro. Perciò ritenni più saggio non rivelare tutto ciò che sapevo a Mr. e Mrs. Harker, per evitare che l’Impalatore fosse messo a parte dei nostri piani.
Presa la decisione, gentilmente liberai Jonathan dalla trance. Ritornò alla coscienza con facilità, senza notare alcun cambiamento. Svegliandosi, sembrò interamente libero da qualsiasi traccia del potere del Vampiro. Immediatamente lo afferrai per la spalla, voltai il suo viso verso la luce che proveniva dalla finestra e, studiandolo attentamente, dissi:
«Ma Madam Mina ha detto che eravate malato… che avevate avuto uno shock!».
Nell’udire ciò sorrise, e rispose che era stato malato e che aveva avuto uno shock ma che io l’avevo curato con la mia lettera. Era un tipo onesto, piacevole — deve esserlo, per aver conquistato una moglie così brava come Madam Mina — e facemmo una piacevole cavalcata fino a casa sua. Per la strada, mi disse che voleva fornire qualsiasi aiuto avesse potuto contro il “conte”. Nei suoi occhi brillava un ardente desiderio (forse, persino grande come il mio) di vedere il mostro distrutto.
Nascondendo la mia inquietudine, gli dissi che avevo veramente bisogno del suo aiuto e immediatamente: il mio lavoro sarebbe stato grandemente facilitato se lui avesse potuto fornirmi informazioni riguardo a tutti gli affari conclusi con il “conte Dracula” prima del suo viaggio in Transilvania.
Promise di farlo prima che lasciassi Exeter nella tarda mattinata e, difatti, dopo che fummo ritornati a casa sua e dopo aver fatto colazione con Miss Mina, mi diede un fascio di carte che avrei potuto leggere sul treno che mi riportava a Londra.
Lui e sua moglie sono persone buone, gentili e, quando vedo cosa hanno già sofferto per mano di Vlad, posso solo pensare a me e a Gerda quando eravamo giovani, prima che la nostra piccola famiglia fosse distrutta dal Vampiro. Qui a Londra, per la prima volta in molti anni, ho cominciato a sentirmi circondato di nuovo da una famiglia, da anime coraggiose e affettuose unite da un male comune. Non potevo sopportare di pensare che Harker e la dolce Madam Mina fossero separati o trasformati in meschine parodie di se stessi come Morti Viventi.
Ma come potevo proteggerli, senza eventualmente esporre John e gli altri a un ulteriore pericolo, se Jonathan era l’involontaria spia di Vlad?
Non lo sapevo ma, mentre Jonathan mi riportava alla stazione, chiesi piano:
«Se, in futuro, vi dovessi chiamare entrambi, voi e Madam Mina, a Londra, verreste?»
«Chiamateci quando volete», mi rispose, «e noi verremo».
Ho parlato francamente con John riguardo agli Harker. Lui è d’accordo che dobbiamo fare ciò che possiamo per aiutare sia Madam Mina che suo marito ma, come me, è perplesso su ciò che la traccia obliqua color indaco di Jonathan possa significare. Perciò abbiamo deciso che, quando gli Harker verranno a Londra (e io non ho dubbi che verranno), staranno qui nel manicomio.