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E ora andrò a nord, per diventare una leggenda.

Capitolo primo

Lettera da Vlad Dracula, Bistritsa, a E. Bathory, Vienna

15 aprile 1893

Cara cugina,

Sembrano secoli da quando abbiamo tenuto una corrispondenza, e ancora di più da quando ci siamo incontrati in carne e ossa. Da allora sono accadute molte cose: io ho incontrato difficoltà di grave natura, talmente gravi, in effetti, che non so a chi rivolgermi per chiedere aiuto tranne che a te, mia astuta cugina piena di talento.

Verrai, Elisabeth? Sfortunatamente, al momento mi trovo troppo malmesso per viaggiare, o sarei venuto io stesso a Vienna per farti la mia richiesta personalmente e risparmiarti il viaggio fin qui. Ti prometto una dolce ricompensa e il piacere di conoscere la mia affascinante nipote Zsuzsanna e la sua cameriera Dunya, che sono entrambe diventate mie compagne.

Prometto anche che ti sarò obbligato come lo fui con il tuo antenato Stefan di Bathory, che tanto tempo fa combatté al fianco di un certo Principe Vlad Dracula per aiutarlo a reclamare il suo trono. Ancora una volta, mi affido alla lealtà e alla gentilezza della tua famiglia.

Vieni presto, poiché il tempo è essenziale. Qualunque ospite tu voglia portare, sarà veramente gradito.

Il tuo grato servo,

V.

Capitolo secondo

Il diario di Abraham Van Helsing

(tradotto dall’olandese)

2 maggio 1893. Sera. È così tranquillo qui a casa, e così triste! L’allieva infermiera, Katya, era ancora qui quando sono arrivato dalla mia lezione all’ospedale, e così ho cenato e sono andato a sedermi un po’ con Gerda.

Come al solito, nessun cambiamento, sebbene le raccontassi i semplici dettagli della mia giornata e le notizie del vicinato con il tono più allegro che, sforzandomi, mi riesca di fare. La situazione si sta facendo sempre più difficile, poiché lei sta diventando uno scheletro. Temo che morirà prima che Zsuzsanna sia morta.

Ora sto seduto a guardare mamma che dorme. Sono sempre contento di vegliarla di notte, e sempre inquieto quando devo essere lontano dopo il tramonto (di Gerda non mi preoccupo così tanto: il segno sul suo collo significa che ben poco danno ulteriore le può essere fatto).

Quando devo restare lontano, la notte rimane Katya, e questa sera è potuta venire durante la mia lezione. È giovane ma responsabile, con la testa sulle spalle, e può affrontare ogni emergenza medica, sebbene non sia quello che temo ora che mamma si avvicina all’Abisso. Ho giurato a mia madre che farò in modo che raggiunga senza problemi l’altra vita: non che il suo povero cervello malato comprenda quello che le dico, sebbene sappia che il suo spirito capisce. Non permetterò che nessun Vampiro la privi di un’onesta morte.

Ma è così duro guardarla morire!

Stanotte sembra un po’ peggiorata, con i capelli argentei, un tempo belli, sparsi sul cuscino, arruffati e intricati, e il viso pallido, sofferente e tirato per il costante dolore.

È duro vederla così, lei che è stata il mio solo conforto e la mia sola forza durante tutti questi anni difficili. Da quando il piccolo Jan è morto tanti anni fa (sono veramente trascorsi ventidue anni adesso? Il dolore è così fresco!) lasciando la mia povera Gerda completamente pazza, mamma e io ci siamo appoggiati l’uno all’altro.

Eravamo tutto ciò che restava della nostra famiglia. Lei non si lamentava ed era coraggiosa, anche in tutte quelle numerose notti in cui viaggiavo e me ne andavo, ogni volta, per giorni — o meglio, per notti — a liberare il mondo dalla malvagia progenie di Vlad. A volte mi sento colpevole nel lasciarla per eseguire il mio macabro compito, ma so che lei non si comporterebbe diversamente. In che altro modo posso vendicare la morte del suo piccolo nipotino e del suo primo e più autentico amore, mio padre Arkady? In che altro modo posso dare loro la pace insieme alle altre vittime?

Che benedizione sarebbe avere qui, ora, mio padre, avere il suo sapiente aiuto (ma che strano scrivere questo di uno che era un Vampiro). Ricordando i primi giorni dopo che lo avevo conosciuto, la mia scortesia verso di lui nonché la mia repulsione e sfiducia, mi vergogno. Poiché — da quello che mamma mi ha detto e da quello che ho saputo dal suo diario e dal mio rapporto con lui — era evidentemente la più nobile delle anime, e morì nello sforzo eroico di salvarci tutti dal Male. Anche la maledizione del vampirismo non riuscì a macchiare il suo animo buono.

Le guance e gli occhi di mamma, stanotte, sembrano anche più infossati, senza dubbio a causa della disidratazione; Katya ha detto che ha vomitato la cena e che non ha voluto altro, nemmeno l’acqua. Si è lamentata per il dolore — dannati tumori! — così le ho fatto un’iniezione di morfina e ora dorme in pace (prenderei anch’io la droga se non temessi il suo potere di indurre dipendenza o la confusione mentale che causa; devo sempre restare all’erta per quanto possibile. Per quanto riguarda mamma, a lei non la posso negare. Che importanza ha se muore dipendente dalla droga, purché non senta dolore?).

Io stesso desidero ardentemente un sonno pacifico; di recente, il mio è stato agitato e pieno di sogni che mi hanno turbato. Sono convinto che questi sogni contengano qualche messaggio criptico che potrei decifrare, e così ho portato il mio diario nella stanza di mamma per scrivere, mentre siedo nella vecchia sedia a dondolo dove lei mi ha tanto spesso consolato durante la mia infanzia.

Ecco il sogno: sto correndo con piacere infantile attraverso una grande foresta di sempreverdi. L’aria è fresca, e sa di pino e di pioggia recente; i rami e gli aghi degli alti alberi luccicano a causa delle goccioline di umidità. Continuo a correre, affannato e ridendo, tendendo in alto il braccio in modo che i rami più bassi non mi colpiscano sul viso.

Ma ben presto la mia contentezza diventa panico, poiché odo dei passi dietro di me. Qualcuno mi insegue: getto un’occhiata alle mie spalle e vedo, attraverso i rami luccicanti, Gerda, mia moglie. Ma è una Gerda mostruosamente cambiata: i suoi occhi scuri sono obliqui come quelli della Vampira Zsuzsanna, e i suoi denti sono, come quelli di lei, lunghi e aguzzi. Come un lupo, ringhia profondamente di gola, mentre caccia con i lunghi capelli castani sciolti.

Io grido e corro sempre più veloce, poiché so che vuole uccidermi.

All’improvviso inciampo in un tronco d’albero caduto… lentamente, sempre più lentamente, con quella grande ricchezza di particolari di cui si fa esperienza solo nei sogni. Il piede che ho avanti rimane intrappolato tra la terra umida e il pesante ramo; e le mie braccia si protendono descrivendo un arco in aria mentre scendono. L’altra gamba vola anch’essa per aria, descrivendo un arco mentre cado, cado, poi, alla fine, i palmi delle mani atterrano in un fitto tappeto di ramoscelli umidi e aghi di pino.

Il mio viso colpisce la terra fragrante. Quando infine lo sollevo, puntellandomi con le braccia contro il terreno molle, vedo… (perché questa immagine mi disturba tanto? Perché le mie pulsazioni accelerano anche ora che ne scrivo?).

Vedo una creatura scura… scura nel senso di buio pesto, di un’assenza di luce così intensa che sembra come se qualcuno avesse preso le forbici e tagliato via quella piccola porzione di mondo. Un lupo, penso, preso dalla paura: ma no, non è un lupo. Un orso? No.

E, a una certa distanza, il mio mentore angelico, Arminius, guarda impassibile, tanto lucente e bianco quanto l’orrenda creatura è nera. Il suo volto è rosa e senza rughe sotto la barba candida, simile a quello di un bambino, e le sue vesti pure e immacolate splendono accecanti nel sole. Come Mosè ha in mano un alto bastone di legno e, accanto a lui, c’è il suo amico Archangel, il bianco lupo addomesticato.