Ieri abbiamo raggiunto il perimetro del castello di Vlad, ma abbiamo messo il campo a una certa distanza da esso. Non volevo portare Madam Mina all’interno poiché, più lei si avvicina, più cade sotto il suo incantesimo; così, mentre riposavamo, ho disegnato intorno a lei un cerchio magico e l’ho chiuso con l’ostia. Non è riuscita a oltrepassarlo, anche quando le ho chiesto di farlo, e così sono stato soddisfatto della sicurezza al suo interno.
Fu la notte scorsa che ci apparvero tre Vampiri bambini: due ragazzi e una ragazzina. Ricordavo il diario di Jonathan, e compresi che dovevano essere la malvagia progenie di Zsuzsanna ed Elisabeth. In quel momento, non ho percepito alcuna traccia di Zsuzsanna; forse è rimasta turbata alla loro vista, o forse era, in risposta a un bisogno disperato, a caccia per il suo sostentamento. Fuori del cerchio, nel chiarore arancione del fuoco, quando presero forma, erano belli, dolci, seducenti e in possesso di una grottesca innocenza. Madam Mina e io eravamo nascosti al sicuro all’interno del nostro cerchio, e lì restammo. Io non sopportavo di vederli, pensando al mio piccolo Jan; guardai, invece, il volto di Mina, e fui profondamente sollevato nel leggervi orrore e disgusto.
Oggi mi sono alzato all’alba, lasciando Madam Mina racchiusa e protetta all’interno del cerchio, e mi sono diretto al castello dove si trovava Zsuzsanna. Non l’aveva detto sebbene ci fossimo accordati che sarebbe servita come avanscoperta, per avvertirci quando Dracula ed Elisabeth si fossero avvicinati. La fredda aria del mattino era stranamente elettrica; quello era il giorno, lo sapevo. Era il giorno…
Era un compito molto triste quello che avevo davanti, nella tana dell’Impalatore; ero stato all’interno del castello due decenni prima: la prima volta, in un inutile e tragico tentativo di salvare il mio fratello adottivo, e l’altra, per uccidere quella malvagia creatura che era diventato il mio povero, piccolo Jan. Ogni pietra scura, ogni stanza dall’odore di decadenza, era carica di ricordi angosciosi.
Anche grazie a questo avevo imparato, molti anni prima, quando Arminius mi aveva insegnato la dolorosa arte della caccia ai Vampiri, a indurire il mio cuore contro l’emozione e ad avvicinarmi al compito con freddezza e impassibilità. Così feci quando trovai la tana dei tre bambini: due di loro erano rannicchiati insieme, dolcemente addormentati nella stessa, larga bara. Non ebbi alcuna pietà; non finché non ebbi colpito con palo e coltello e vidi quei corpi immortali, scintillanti, trasformarsi in semplici resti umani. Soltanto allora piansi per loro, per le loro madri e i loro padri.
E, quando li ebbi pianti ed ebbi bisbigliato sulle loro tombe una preghiera per i morti, mentre mettevo in ogni bara un pezzo di ostia, mi venne in mente la quinta riga:
Al primo ritorno e il castello nel folto della foresta.
Ero lì, all’interno del castello, ma da dove avrei dovuto cominciare per cercare la seconda chiave? Vagai un po’ per ogni stanza: sia nella vasta sala del trono di Vlad, con il suo Teatro di Morte, sia nella stanza interna dove si trovava la sua grande bara gentilizia.
Sigillai questa con una parte dell’ostia e di nuovo mi misi a girovagare, esaminando ogni cosa in ogni stanza, in cerca di indizi, di posti dove avrebbe potuto essere seppellito qualcosa. Non tralasciai alcun luogo, nemmeno le orribili catacombe di terra nelle profondità del castello… più orribili, per me, anche del Teatro di Morte, poiché molte persone avevano incontrato la loro fine in quelle celle che trasudavano malvagità, e molte vi avevano sofferto una lunga prigionia. E così tante erano le centinaia — o forse le migliaia — che si trovano sepolte lì, che ne potevo sentire le ossa che gridavano per il dolore.
Era tardo pomeriggio quando emersi a mani vuote. Perplesso, mi stavo dirigendo lungo la scalpata verso il nostro piccolo accampamento, quando Zsuzsanna mi apparve davanti, così improvvisamente che mi spaventai.
I suoi occhi scuri erano in fiamme, e la sua pelle pallida riluceva… non di magico fascino, ma di pura ansia.
«Vengono!», disse. «Vengono, ed Elisabeth li segue!».
Senza pensare, allungai le mani e le afferrai le braccia, lasciandole ricadere solo quando lei indietreggiò e gemette per il dolore.
«È Dracula che sta arrivando?», chiesi.
«Gli tzigani trasportano la sua cassa nel loro grande carro: sono in molti, che lo circondano e portano armi».
«E il nostro gruppo?»
«Ci sono tutti! Li seguono a cavallo… ed Elisabeth segue loro».
Altrettanto improvvisamente scomparve come era apparsa.
Corsi rapidamente giù dove Madam Mina si trovava all’interno del cerchio, agitando le braccia verso di me con gioiosa eccitazione.
«Dottore!», gridò. «Dottor Van Helsing! Dobbiamo affrettarci!». E puntò il dito verso est. «Mio marito sta arrivando!».
Le sue parole evocarono dentro di me una eguale eccitazione… e anche un certo disagio, poiché lei era mentalmente legata non a Jonathan ma a Vlad; a chi si riferiva? Ma la sua gioia era così innocente e i suoi occhi così puri — come quelli della nostra vecchia Madam Mina — che le sorrisi e ripresi i pezzi di ostia dalla neve, liberandola.
Così scendemmo faticosamente per la ripida scarpata che dava a est, io portando le pellicce, i tappeti e le provviste, finché il castello apparve alto sopra di noi contro il cielo rannuvolato. Trovai un incavo all’interno di una grande roccia su un fianco della montagna, lo rivestii di pellicce e lo chiusi in un cerchio, lo sigillai nuovamente con l’ostia e vi sistemai confortevolmente Madam Mina.
Sotto di noi si snodava la strada che portava in alto al castello. Dalla tasca tirai fuori un binocolo; sebbene un vento forte avesse improvvisamente cominciato a soffiare e la neve continuasse a cadere leggera, distinsi le scure figure degli tzigani che cavalcavano ai lati del carro, a un’andatura talmente veloce che il carro oscillava pericolosamente da un lato all’altro, arrivando quasi a far uscire dalla strada alcuni degli uomini a cavallo che lo accompagnavano.
All’improvviso, provenienti da nord, vidi alcune scure figure a cavallo che rapidamente si avvicinarono agli zingari… e, con un grido di contentezza, riconobbi il grande Stetson di Quincey Morris… bianco, ma non bianco come la neve che turbinava.
«Grazie a Dio!», gridai, sollevato che fossero loro, e non Jonathan Harker, ad avvicinarsi per primi al carro, quindi abbassai il binocolo per passarlo alla mia eccitata compagna. «Madam Mina, guardate!».
Il diario di Zsuzsanna Tsepesh
5 novembre. Lasciai Bram e Mrs. Harker sulla collina, e scesi fino a dove gli tzigani cavalcavano accanto alla grande cassa di legno. Sapevo di doverli fermare, e anche rapidamente, prima che Elisabeth arrivasse, poiché sentivo che si avvicinava, in attesa del momento migliore per prendere la chiave. Così volai verso la strada, perfettamente invisibile, e rimasi sospesa tra i due cavalli che tiravano il carro. Con delicatezza, misi le mie mani sui loro musi.
L’effetto fu immediato. Le povere creature, spaventate, indietreggiarono immediatamente, facendo sì che il carro oscillasse follemente da un lato e quasi si rivoltasse. Il conducente imprecò e l’esercito di zingari fermò le cavalcature, che fecero uno scarto davanti alla mia invisibile presenza.
Nello stesso istante si udì il rimbombo di zoccoli che si avvicinavano, e una voce calma, forte, che gridava: «Alt!». Sorrisi, poiché la voce apparteneva a Quincey Morris, e lui e John Seward stavano arrivando di corsa come i Cavalieri dell’Apocalisse, interessati solo alla vendetta divina. Una volta che avessero avuto la chiave, i loro talismani li avrebbero protetti da Elisabeth, e noi saremmo fuggiti tutti e avremmo pensato a un piano contro di lei; ero sopraffatta dalla gioia, poiché eravamo così vicini, così vicini alla prima vittoria…