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Falcón non disse una parola. Aveva preso una decisione istantanea a proposito di Guzmán: era un uomo di cui si poteva fidare e non solo a motivo della sua reputazione. Pensò anche, sbuffando al pensiero della sua ingenuità, con solo quarantotto ore a disposizione per dimostrare che Vega era stato assassinato, che Guzmán, con la sua vasta esperienza, avrebbe potuto offrirgli qualcosa che lo indirizzasse verso sviluppi e direzioni diversi nella sua indagine. In cambio avrebbe dovuto concedergli qualcosa per quanto riguardava Montes, ma, d’altronde, rendere di pubblico dominio un caso di corruzione e tagliare il marcio alla radice sarebbe stata una cosa buona… no?

«E così, Inspector Jefe, pare che lei stia indagando sulla morte del suo collega, l’Inspector Jefe Alberto Montes, vero?»

Falcón tacque per due lunghi minuti durante i quali Guzmán alzò lo sguardo su di lui, battendo le palpebre come un animale abituato a vivere sottoterra.

«Mi dispiace, Inspector Jefe», disse alla fine, «ma è la domanda iniziale più semplice che mi sia venuta in mente.»

Falcón si sporse in avanti e spense il registratore.

«Lei sa che con quella macchina accesa io posso darle soltanto i fatti.»

«Be’, potremmo cominciare così e poi starà a me estrarre il resto. Così funzionano le cose da dove vengo io.»

«I fatti li conosce già», disse Falcón. «Si tratta di un evento degno di essere riportato sulla stampa, la caduta mortale di un funzionario di polizia. È il perché dei fatti a contenere la storia dell’uomo.»

«E che cosa le fa pensare che io sia alla ricerca di un caso umano e non, poniamo, di qualcosa sul genere ‘la corruzione raggiunge il cuore dell’amministrazione regionale’?»

«È possibile che lei finisca per avere una storia di questo tipo, ma per arrivare là bisogna passare per il caso umano, occorre comprendere i pensieri che hanno condotto un funzionario rispettato, che non ha mai rivelato tendenze suicide, a compiere un atto così drastico.»

«Davvero?» si stupì Guzman. «Normalmente noi giornalisti, o meglio, i giornalisti della mia reputazione, trattano fatti. Noi riferiamo fatti, costruiamo sui fatti, creiamo un fatto più grande sui fatti più piccoli che scopriamo.»

«Allora accenda la sua macchina e io le darò i fatti assolutamente certi della morte di un collega che era molto ammirato dagli uomini della sua squadra e dai suoi superiori.»

Guzmán posò il taccuino e la penna sulla scrivania e si raddrizzò sulla sedia, esaminando Falcón con attenzione. Intuiva che per lui esistevano possibilità interessanti, se fosse riuscito a trovare l’approccio giusto, possibilità forse collegate non soltanto al lavoro. Era arrivato a Siviglia da solo. Ammirato e, credeva, rispettato dai suoi colleghi giornalisti, ma solo. Non gli sarebbe dispiaciuto farsi un amico ed era quella la possibilità che vedeva dall’altra parte della scrivania.

«Non ho mai lavorato con nessuno», disse dopo un minuto di riflessione. «Ho dovuto farlo, perché in certe situazioni lavorare con un’altra persona era troppo rischioso. Ho sempre voluto essere responsabile soltanto delle mie idee e delle mie azioni e non la vittima di quelle degli altri. Ho trascorso troppo tempo in compagnia di uomini violenti per comportarmi da incosciente.»

«In una storia umana come questa c’è sempre un lato tragico», disse Falcón. «Qualcuno che si sente ferito e tradito, mentre altri soffrono per il dolore della perdita.»

«Forse ricorderà, Inspector Jefe, che io mi sono occupato del caso delle squadre della morte della Guardia Civil inviate dal governo a eliminare le cellule terroristiche dell’ETA. Comprendo la tragedia del tradimento di certi valori su scala grande e piccola. Gli effetti di quella storia li hanno sentiti tutti.»

«I poliziotti sono costretti a fare congetture su congetture per trovare una direzione per le loro indagini, ma le congetture non sono ammesse in un tribunale.»

«Le ho detto della mia fiducia nei fatti», ribatté Guzmán, «ma non mi è sembrato soddisfatto.»

«L’informazione è una strada a doppio senso», disse Falcón, sorridendo per la prima volta.

«D’accordo.»

«Se scoprirà qualcosa di esplosivo me ne parlerà prima di pubblicarla sul suo giornale.»

«Gliene parlerò, ma non cambierò nulla.»

«Ecco i fatti: ho conosciuto Montes solo la settimana scorsa. Stavo e sto ancora indagando sulla morte di Rafael Vega.»

«Il sospetto suicidio di Santa Clara», disse Guzmán, riprendendo in mano il taccuino e puntando la penna contro Falcón. «Il vicino di Pablo Ortega. La città giardino in crisi… non è un titolo, detto tra parentesi.»

«In una rubrica telefonica mi sono imbattuto in un paio di nomi, uno dei quali è Eduardo Carvajal», continuò Falcón.

«Il capo di un giro di pedofili morto in un incidente stradale. Io ricordo sempre i fatti che puzzano. La sua indagine farà saltare il coperchio anche di quel pozzo nero?»

Falcón alzò una mano, già inquieto al pensiero di avere stretto un patto col diavolo.

«Conoscevo quel nome da un’inchiesta precedente, così sono andato da Montes e gli ho chiesto informazioni su Carvajal. Era lui a capo delle indagini sul giro di pedofili.»

«Bene. Ho capito. Molto interessante.» Guzmán stava terrorizzando Falcón con la rapacità del suo intelletto.

Falcón cercò di rallentare la sua stessa attività cerebrale mentre riferiva la sua conversazione con Montes su Carvajal e la mafia russa, sul traffico di esseri umani e sugli effetti di questo traffico sull’industria del sesso. Gli disse dei due progetti immobiliari di Ivanov e Zelenov gestiti dalla Vega Construcciones e di come avesse parlato due volte con Montes dei russi — e in una delle due telefonate aveva capito che Montes aveva bevuto molto — per controllare se i nomi gli dicessero qualcosa.

«Avrei dovuto incontrarmi con lui stamani, ma non sono arrivato in tempo», concluse.

«Crede che fosse corrotto?» domandò Guzmán.

«Non ne ho nessuna prova, a parte il suo tempismo e la lettera che ha lasciato, che, a parer mio, nasconde qualcosa», spiegò Falcón porgendogliela. «Assolutamente confidenziale.»

Guzmán lesse la lettera, muovendo la testa di qua e di là come se la sua mente concreta dubitasse dell’interpretazione creativa di Falcón, poi la restituì.

«Qual era l’altro nome sulla rubrica di Vega che aveva attirato la sua attenzione?» domandò.

«Quello del defunto Ramón Salgado», rispose Falcón. «Potrebbe essere una cosa del tutto innocente, perché Salgado gli aveva venduto un quadro per la sede dell’impresa, ma dopo la sua morte, l’anno scorso, gli avevamo trovato sul computer materiale pornografico per pedofili.»

«Qui occorre riempire qualche grosso vuoto», disse Guzmán. «Qual è la sua teoria?»

Di nuovo Falcón lo fermò con un gesto della mano. C’erano alcune complicazioni, disse, rivelandogli la vita segreta di Rafael Vega.

«Noi speriamo che si trovi negli schedari dell’FBI e che possano aiutarci a identificarlo», disse.

«Allora lei pensa che possa aver avuto un passato e che questo passato sia tornato a galla? Un’altra ipotesi su un qualche collegamento con il giro di pedofili di Carvajal?»

«La situazione si è complicata a ogni nuovo sviluppo della vita segreta di Vega», spiegò Falcón. «L’ipotesi originaria mi è venuta in mente quando ho notato quei nomi nella rubrica di Vega. Dopo aver parlato con Montes la prima volta e aver trovato un legame tra Vega e i russi, ho cominciato a pensare che Vega aveva forse sostituito Carvajal come procacciatore nel giro di pedofili. Il problema maggiore di questa teoria è che non ho nessuna prova dell’interesse di Vega per la pedofilia, a parte il suo legame con persone che avevano quell’interesse e i grandissimi vantaggi che stava procurando ai russi con il suo lavoro.»