«Alcuni uomini della CIA dovrebbero tremare di paura e poi c’è il mio vecchio amico, il Principe delle Tenebre, il dr. K. in persona: è stato segretario per la sicurezza nazionale di Nixon e segretario di Stato durante tutto quel periodo. In Cile non succedeva niente senza che lui lo sapesse. Ecco chi dovrebbe rispondere delle sue azioni.»
«Be’, chi riuscisse a inchiodarlo davanti all’opinione pubblica, passerebbe alla storia», osservò Falcón. «E se Vega fosse stato sul punto di fare proprio questo, non sarebbero certo mancate le persone disposte a ucciderlo, non è così?»
«Stando alla mia esperienza, nel caso in cui la CIA avesse deciso che quell’uomo era troppo pericoloso per la sua immagine, avrebbe voluto farlo sembrare un suicidio… per poi impasticciare tutto quanto», disse Guzmán. «Quei suoi vicini americani, da dove saltano fuori?»
«Lui è un architetto che lavora per la Vega Construcciones, lei è una fotografa. È stata una sua fotografia a rivelarci lo stato d’animo turbato di Vega. La signora Krugman è specializzata in questo genere di foto.»
«Be’, sarebbe una copertura perfetta per chi volesse informazioni su qualcuno.»
«Tutti e due hanno alle spalle una storia autentica, sono stati perfino sospettati in un’indagine sulla morte dell’amante di lei quando erano ancora negli USA. Non è stato trovato niente a loro carico.»
«Non mi sembra che mandino un gran buon odore, anche se sono abbastanza autentici», osservò Guzmán. «D’altronde suppongo che una copertura perfetta sia così, tutti abbiamo qualcosa di brutto da nascondere.»
Falcón si alzò e si mise a passeggiare avanti e indietro nella stanza. Le complicazioni crescevano di momento in momento e il tempo mancava, mancava assolutamente.
«Se questa fosse davvero un’operazione dei servizi segreti», disse, «e se i Krugman fossero stati in qualche modo costretti ad arruolarsi, allora deve esserci una collusione tra la CIA e l’FBI. E noi stiamo chiedendo informazioni su Rafael Vega all’FBI!»
«Tanto per cominciare non potete fare altro», lo tranquillizzò Guzmán. «E, comunque sia, non si tratta di organizzazioni perfette. Secondo me, pochissimi di loro sono al corrente di questi fatti, occupati come sono con la guerra al terrorismo. Questa è un’operazione marginale, di secondaria importanza. Forse addirittura privata.»
Falcón andò al telefono e compose un numero.
«Voglio parlare di nuovo con Marty Krugman», annunciò poi. «Userò un approccio diverso.»
«Ma non sa ancora niente di concreto!»
«Me ne rendo conto, ma non ho tempo, devo muovermi subito.»
Falcón fu salvato dal fatto che Krugman non era né in ufficio né a casa e il suo cellulare era spento. Sbatté giù la cornetta.
«Krugman ha un punto debole», disse poi. «Sua moglie è una bella donna, molto più giovane di lui.»
«È un tipo geloso?»
«È appunto questo il suo punto debole, dove posso fare leva.»
«Tutto ciò si risolverà in una bolla di sapone, se non otterrete un’identificazione certa da parte dell’FBI», obiettò Guzmán. «Perciò non si muova finché non l’avrete ottenuta. Nel frattempo, se pensa che possa servire, io divulgherò la frase del biglietto trovato in mano a Vega tra i membri della comunità cilena espatriata qui e in Inghilterra, per vedere se salta fuori qualcosa. In caso di un’identificazione certa e se Vega dovesse rivelarsi realmente un militare cileno o un membro della DINA, sono in contatto con gente che potrebbe dare una mano a tracciare un profilo.
«Scriverò anche un articolo su Montes e sul primo caso di suicidio di un funzionario di grado elevato della Jefatura, sarà una specie di elogio funebre, sottolineerò i maggiori eventi della sua carriera, compreso lo scandalo Carvajal. Sottolineerò anche i particolari della carriera di Montes.»
«E che cosa otterremo?»
«Vedrà. Farà uscire allo scoperto parecchia gente, ci sarà una grande apprensione specialmente da parte di chi aveva fatto finta di non vedere l’’incidente’ di Carvajal», affermò Guzmán. «Sarà interessante constatare quante pressioni le verranno fatte dalle alte sfere. Se il Comisario Lobo non la convocherà nel suo ufficio come prima cosa la mattina dopo l’uscita del Diario de Sevilla, le offro il pranzo.»
«Solo i fatti», raccomandò Falcón, preso da ansia improvvisa.
«È questo il bello. Tutto quanto scriverò su Montes sarà già di dominio pubblico. Nessun bisogno di congetture. Sarà solo il modo in cui metterò insieme le cose a spaventare a morte certa gente.»
23
Lunedì 29 luglio 2002
Erano le tre del pomeriggio passate, Falcón era affamato. Ramírez, uscendo per andare a pranzo, gli disse che Cristina Ferrera era nella stanza degli interrogatori numero quattro con Salvador Ortega, e che Elvira aveva chiamato: aveva parlato con il direttore del carcere e Alicia Aguado avrebbe potuto seguire Sebastián Ortega senza nessuna interferenza.
«Ho telefonato anche al Juez Calderón», continuò Ramírez, «avevo pensato che avremmo potuto ricordargli il mandato di perquisizione per la cassetta di sicurezza. È via, non si sa dove si trovi, non si sa quando sarà di ritorno e il mandato è andato a puttane. Buen provecho.»
Scendendo le scale verso le stanze degli interrogatori Falcón chiamò il direttore del carcere per fissare un appuntamento e sapere con chi avrebbero dovuto mettersi in contatto. La segretaria gli riferì che avrebbero potuto cominciare subito e che il momento migliore sarebbe stato tra le sei e le nove di sera. Mentre osservava il volto devastato di Salvador Ortega attraverso il pannello di vetro telefonò ad Alicia Aguado: si misero d’accordo per le diciotto e trenta. Chiamò il carcere e confermò l’appuntamento per le diciannove. Sarebbe stata una lunga giornata. Cristina Ferrera uscì e gli riferì che aveva fatto qualche domanda nei pressi della casa dove abitava Nadia mentre l’agente della squadra Narcotici cercava Salvador Ortega. Nessuno aveva visto niente. Perfino le persone che l’avevano veduta portare via ora non ricordavano più nulla. Falcón prese tre caffè dalla macchina.
Salvador Ortega fumava, lo sguardo fisso sulle sue dita ingiallite, lanciando ogni tanto un’occhiata a Cristina Ferrera, che gli sedeva accanto e riusciva in parte a stabilire un contatto con lui. La capigliatura esplosiva, la barbettina e i baffi nascondevano un viso che sarebbe stato bello, la maglietta era così sbiadita che si distinguevano a fatica solo tracce di colori e la scritta Megadeath, le gambe sotto i bermuda erano piene di graffi e di escoriazioni. Mentre gli altri due sorseggiavano il caffè, il giovane fumava accanitamente.
«Quando è stata l’ultima volta che hai parlato con tuo padre?» gli domandò Falcón.
«Io non parlo a mio padre e lui non parla con me.»
«Hai letto un giornale di recente?»
«Nella mia situazione le notizie non hanno nessuna importanza.»
«Frequentavi tuo zio Pablo?»
«Quando ero piccolo mi divertivo sempre molto con lui», disse Salvador. «Era un sollievo.»
«Un sollievo da che cosa?»
Salvador aspirò una lunga boccata e soffiò il fumo verso il soffitto.
«Zio Pablo era divertente. Ma ho passato del tempo con lui solo da bambino.»
«Vivevi ancora con i tuoi quando lasciava solo Sebastián mentre era in tournée o girava un film. Quanti anni avevi a quel tempo?»
Le labbra si mossero, ma non uscì nulla. Cristina Ferrera gli diede un colpetto sulla spalla.
«Non è un esame, Salvador», lo rassicurò. «Ti ho detto venendo qui che non ci sarebbe stata nessuna ripercussione su di te, non sei sospettato di nulla. Vogliamo solo parlarti per capire se puoi essere di aiuto a tuo cugino.»