«Non pensavi di essere stato abbandonato da lei?»
«Sì. Avevo solo otto anni. In seguito, però, ho scoperto che lei non poteva più vivere con mio padre, ma non poteva portarmi con sé perché lui non glielo avrebbe permesso. Mia madre non viveva stabilmente nella stessa città, il suo nuovo compagno era un regista cinematografico. Ma questo io non l’ho saputo dalla mia famiglia, i miei familiari mi hanno sempre detto che era una puttana.»
«Come ti eri trovato con la tua nuova famiglia dopo che lei se ne era andata?»
«La mia nuova famiglia?»
«Tuo zio e tua zia. Hai trascorso moltissimo tempo con loro.»
«Ne ho trascorso molto di più con mio padre.»
«Ma com’era vivere con loro?»
Il cellulare vibrò sulla coscia di Falcón, che si alzò per rispondere a Ramírez nel corridoio.
«L’FBI ha trovato un perfetto corrispondente di Vega. Altezza, età, colore degli occhi, gruppo sanguigno, tutto concorda e si tratta di un cittadino cileno. Hanno mandato una sua foto, con più capelli e la barba, la foto è stata scattata nel 1980, quando aveva trentasei anni. È un ex militare cileno, ex DINA ed è stato visto l’ultima volta nel settembre 1982, quando si è sottratto a un programma di protezione dei testimoni.»
«Perché era protetto?»
«Il rapporto dice che aveva testimoniato in un processo per traffico di droga, niente di più.»
«Danno un nome?»
«Il vero nome, cioè quello precedente al programma di protezione, era Miguel Velasco.»
«Bisogna mandare questi dati a Virgilio Guzmán al Diario de Sevilla. Ha detto che aveva qualche contatto in grado di tracciare un profilo su militari cileni o membri della DINA», disse Falcón. «Nessuna notizia di Krugman?»
«Non ancora», rispose Ramírez. «Dovrebbe chiamarla Elvira, la stava cercando.»
Falcón non fece in tempo a ritornare alla seduta prima che arrivasse la telefonata del Comisario.
Elvira gli disse che dopo una discussione con il Comisario Lobo avevano deciso che non sarebbe stato impiegato un uomo della Jefatura per sorvegliare i movimenti della signora Montes, ma sarebbe arrivato da Madrid un agente degli Affari interni che avrebbe riferito direttamente a Elvira. Falcón ne fu sollevato.
Alicia Aguado non era riuscita a riportare il colloquio su Ignacio dopo che Falcón era uscito per rispondere a Ramírez. Ora stavano parlando della madre di Sebastián e dell’effetto della sua morte su di lui, nonché della mancanza di effetto su suo padre. Come risultato il ragazzo se ne era andato di casa, trasferendosi nell’appartamento che Pablo gli aveva comprato nelle vicinanze.
«Vedevi ancora tuo zio a quel tempo?» gli domandò Alicia. «Non era qualcuno con cui…»
«Non avrei mai parlato con lui di mia madre. Non aveva nessuna simpatia per la mamma, sarebbe stato contento di sapere che era morta.»
«Non hai una grande opinione di tuo zio.»
«Non abbiamo lo stesso tipo di sensibilità.»
«Che tipo di padre era tuo zio?»
«Chiedilo a Salvador.»
«È stato un sostituto paterno per te.»
«Avevo paura di lui. Credeva nella disciplina e nell’obbedienza assoluta da parte di qualsiasi bambino entrasse nella sua orbita. Era capace di infuriarsi in un modo che non riusciresti mai a immaginare, gli si gonfiavano le vene del collo, aveva un bozzo sulla fronte che gli si ingrossava. A quel punto sapevamo che era ora di nasconderci.»
«Avevi parlato con tuo padre del comportamento violento di tuo zio?»
«Sì. Mi aveva detto che aveva avuto un’infanzia molto dura che lo aveva segnato per sempre.»
«Con te è mai stato violento?»
«No.»
Alicia Aguado terminò la seduta. Sebastián era riluttante a lasciarla andare via. Falcón chiamò la guardia e prese il nastro con la registrazione. Tornarono alla macchina in silenzio e Alicia disse che avrebbe dormito sulla via del ritorno. Si svegliò soltanto quando furono arrivati in Calle Vidrio. Salirono le scale, Alicia stordita dal sonno.
«Si è stancata», osservò Falcón.
«Qualche volta succede, lo psicologo è sottoposto a una tensione maggiore di quella del paziente.»
«All’inizio mi è parsa incerta sulle pulsazioni.»
«All’inizio Sebastián non ha avuto nessuna reazione nei momenti in cui ero certa che avrei avvertito dei segnali emotivi. Mi è sembrato capace di separare il mentale dal fisico. In un primo momento ho pensato che fosse drogato. Andrà meglio in seguito. Sono sicura che si aprirà, prova abbastanza simpatia per me da volerlo fare.»
Falcón le consegnò la registrazione e tornò alla macchina. Stava per avviare il motore quando Inés lo chiamò. Era agitata.
«So che non dovrei chiamarti per questo, ma oggi hai visto Esteban, vero?»
«Ci siamo incontrati stamani per il caso Rafael Vega.»
«Ti è sembrato che stesse bene? Non dovrei preoccuparmi, lo so, ma…»
«Mi è sembrato stanco e poco concentrato.»
«A parte il caso, avete parlato di altro?»
«Ero con l’Inspector Ramírez. Qualcosa non va?»
«Non lo vedo da sabato mattina presto. Non è tornato al suo appartamento, ha spento il cellulare.»
«So che il Juez Romero gli ha telefonato sabato in mattinata dalla scena del suicidio di Pablo Ortega», disse Falcón.
«Che cosa ha detto? Dov’era?» domandò ansiosa Inés.
«Non lo so.»
«Avremmo dovuto pranzare insieme dai miei domenica a mezzogiorno, ma ha annullato l’impegno. Troppo lavoro.»
«Sai com’è quando il lunedì mattina è molto pieno.»
«La sua segretaria dice che non è più tornato in ufficio dopo mezzogiorno.»
«Non è una cosa tanto strana.»
«È strana per lui.»
«Non so che cosa dirti, Inés. Sono sicuro che sta bene.»
«Sì, probabilmente non è niente. Hai ragione.»
Inés riattaccò. Falcón tornò a Calle Bailén, fece la doccia e si cambiò: Consuelo lo aveva invitato a cena. Uscì col buio e ascoltò il giornale radio durante il tragitto. Il vento era cessato sulla Sierra de Aracena e l’incendio nei pressi di Almonaster la Real era sotto controllo. Tremila ettari di boschi divorati dalle fiamme e quattro case isolate distrutte. Si sospettava il dolo. Un pastore era stato arrestato, le indagini sarebbero cominciate il giorno seguente.
Parcheggiò davanti alla villa di Consuelo: quella dei Krugman era immersa nel buio. Sulla porta suonò il cellulare. Ramírez.
«Non so se è importante, ma ho appena ricevuto una telefonata dalla Jefatura. Sanno che stiamo cercando il signor Krugman. Ha chiamato una donna da un condominio di Tabladilla: entrando nell’edificio ha notato nell’atrio uno straniero alto, sudato, nervoso che guardava continuamente l’orologio. L’ha seguita su per le scale e si è fermato al secondo piano, mentre lei proseguiva fino al terzo e ultimo. L’uomo stava davanti alla porta di un appartamento vuoto: la signora che abita in quell’appartamento è in vacanza. Venti minuti dopo la donna ha sentito uno sparo nell’appartamento sotto il suo, lo stesso davanti al quale si era fermato lo sconosciuto. Hanno mandato una volante.»
«Si conosce il nome del proprietario dell’appartamento da dove è venuto lo sparo?»
«Un momento…»
In strada Falcón sudava.
«Questo sì che è importante, secondo me», disse Ramírez. «L’appartamento appartiene a una certa Rosario Calderón.»
25
Lunedì 29 luglio 2002