Выбрать главу

«Macché» insistette Baley cocciuto. Le chiazze davanti agli occhi stavano svanendo, e questi non lacrimavano poi tanto. «Mi spiace solo di aver visto tanto poco. Andavamo troppo veloci. Era un robot, quello che abbiamo sorpassato?»

«Ne abbiamo sorpassati un certo numero. Stiamo viaggiando nella tenuta Kinbald, coltivata a frutteto.»

«Dovrò riprovarci» riprese Baley.

«Non finché ci sono io» ribatté Daneel. «Nel frattempo farò quello che mi hai chiesto.»

«Quello che ho chiesto?»

«Ricorderai, collega Elijah, che prima di ordinare all'autista di abbassare il tetto della macchina hai ordinato a me di chiedergli quanti chilometri mancassero alla nostra destinazione. Ora siamo lontani quindici chilometri e saremo là entro sei minuti.»

Baley sentì l'impulso di chiedere a Daneel se fosse arrabbiato per essere stato ingannato così, solo per vedere se quella faccia perfetta sarebbe diventata imperfetta, ma represse l'impulso. Naturalmente Daneel avrebbe risposto di no, senza rancore né astio. Sarebbe rimasto a sedere più grave e più calmo che mai, imperturbato e imperturbabile.

«Sempre lo stesso» disse Baley quietamente. «Dovrò abituarmici, sai.»

Il robot guardò con attenzione il suo partner umano. «A che cosa ti riferisci?»

«Giosafatte! A… All'esterno. È tutto quello di cui è fatto il pianeta.»

«Non ci sarà nessuna necessità di affrontare l'esterno» disse Daneel. Poi, come se ciò fosse stata la premessa adatta, aggiunse: «Stiamo rallentando, collega Elijah. Credo che siamo arrivati. Ora sarà necessario aspettare che venga connesso un altro tubo ad aria che conduca alla residenza che sarà la nostra base d'operazioni».

«Non serve un tubo ad aria, Daneel. Se devo lavorare all'esterno, non c'è motivo di rimandare l'addestramento.»

«Non ci sarà motivo di lavorare all'esterno, invece, collega Elijah.»

Il robot stava per spiegarsi meglio, ma Baley lo mise a tacere con un perentorio cenno della mano.

Al momento non era dell'umore adatto ad ascoltare le diligenti rassicurazioni di Daneel, le sue parole di conforto, le dichiarazioni che tutto sarebbe andato bene e che ci si sarebbe presi cura di lui.

Quello che davvero voleva era una maggiore consapevolezza di essere in grado di prendersi cura di sé e portare a termine la sua missione. La vista e la sensazione dell'aperto erano state dure a sopportarsi. Avrebbe potuto anche darsi che, quando sarebbe venuto di nuovo il momento, gli sarebbe mancato il coraggio di sfidarlo ancora, a costo del rispetto di sé e, com'era immaginabile, della salvezza della Terra. Tutto quanto per un po' di vuoto.

Il volto gli prese un'aria implacabile, solo al fuggevole passaggio di quel pensiero. Aria, sole, spazio vuoto… Li avrebbe affrontati ancora!

Elijah Baley si sentiva come l'abitante di una delle più piccole Città, diciamo Helsinki, in visita a New York e a bocca aperta a contare i piani. Aveva pensato a una “residenza” come a un'unità abitativa, ma questo non era nulla del genere. Continuavano a passare da una stanza all'altra, senza fine. Le finestre panoramiche erano ricoperte da pesanti tendaggi e non permettevano l'ingresso di nemmeno il sospetto della luce del giorno. L'illuminazione prendeva silenziosamente vita da fonti nascoste quando entravano in una stanza, per poi morire quietamente quando ne uscivano.

«Quante stanze» disse Baley pieno di meraviglia. «Tante. Come una piccola Città, Daneel.»

«Si direbbe proprio così, collega Elijah» rispose Daneel con tranquillità.

Questo sembrò strano al terrestre. Era proprio necessario raggruppare con lui tanti spaziali in ambienti chiusi? «Quanti vivranno qui con me?» chiese.

«Naturalmente» rispose Daneel «ci sarò io con un certo numero di robot.»

Baley pensò: avrebbe dovuto dire, con un certo numero di altri robot.

Trovava ancora ovvio che Daneel avesse l'intenzione di giocare all'uomo, perfino con nessun altro pubblico che Baley, che conosceva tanto bene la verità.

E poi quel pensiero esplose in nulla sotto l'impatto di un secondo pensiero più urgente. «Robot?» gridò. «Quanti uomini

«Nessuno, collega Elijah.»

Erano appena entrati in un locale pieno zeppo, dal pavimento al soffitto, di librifilm. In tre angoli della stanza c'erano tre visori, con schermo verticale da ventiquattro pollici. Il quarto conteneva uno schermo d'animazione.

Baley si guardò in giro seccato. «Hanno buttato fuori tutti a calci» chiese «per permettermi di andare in giro da solo in questo mausoleo?»

«È destinato soltanto a te. Su Solaria un'abitazione di queste dimensioni per una persona è la norma.»

«Chiunque vive così?»

«Chiunque.»

«E che se ne fanno di tanti locali?»

«È uso adibire ogni locale a una sola funzione. Questa è la biblioteca. C'è anche una sala musica, una sala da pranzo, una cucina, un locale forno, un garage, vari locali per revisionare e riparare i robot, due camere da letto…»

«Basta! E come fai a sapere tutte queste cose?»

«Fa parte del complesso di informazioni» spiegò pianamente Daneel «che mi hanno fornito prima che lasciassi Aurora.»

«Giosafatte! E chi bada a tutto questo?» e indicò all'intorno con un ampio arco del braccio.

«C'è un certo numero di robot casalinghi. Ti sono stati assegnati e baderanno loro che tu stia comodo.»

«Ma a me tutto questo non serve» protestò Baley. Provava la necessità urgente di mettersi a sedere, rifiutando di muoversi ancora. Ne aveva abbastanza di locali.

«Possiamo rimanere in una sola stanza, se preferisci, collega Elijah. Questo era stato ipotizzato come possibile fin dall'inizio. Nondimeno, visto che gli usi solariani sono quelli che sono, è stato considerato più saggio lasciar costruire questa casa…»

«Costruire!» Baley sgranò gli occhi. «Vuoi dire che è stata costruita per me? Tutta quanta? Solo per me?»

«Un'economia estremamente roboticizzata…»

«Sì, capisco quel che stai per dire. Quando tutto questo sarà finito, che cosa ne faranno?»

«Credo che l'abbatteranno.»

Baley fece schioccare le labbra. Naturale! Abbatterla! Costruire una gigantesca struttura per le necessità speciali di un terrestre per poi distruggere tutto quello che avesse toccato. Sterilizzare il suolo su cui si ergeva! Disinfettare l'aria che lui avrebbe respirato! Gli spaziali potevano sembrare forti, ma anch'essi avevano le loro stupide paure.

Sembrava che Daneel gli leggesse i pensieri, o per lo meno che interpretasse le sue espressioni. «Potrebbe sembrarti, collega Elijah,» incominciò «che distruggeranno la casa per sfuggire a un possibile contagio. Se sono questi i tuoi pensieri, ti suggerisco di astenerti dal sentirti a disagio per l'argomento. La paura delle malattie degli spaziali non raggiunge punte così estreme. È solo che, per loro, lo sforzo di costruire questo edificio è stato trascurabile. Né sembra loro maggiore quello di abbatterlo. E per legge non è permesso a questa residenza di restare in piedi. Si trova sulla tenuta di Hannis Gruer, e su ogni tenuta ci può essere solo una residenza legale: quella del proprietario. Questa casa è stata costruita per un uso specifico e su dispensa speciale. Serve solo a ospitarci per uno specifico lasso di tempo, finché la nostra missione non sarà compiuta.»

«E chi è Hannis Gruer?» chiese Baley.

«Il capo della Sicurezza solariana. È dall'arrivo che dobbiamo vederlo.»

«Dobbiamo? Giosafatte, Daneel, quando incomincio a sapere qualcosa su qualcosa? Sto lavorando nel vuoto, e non mi piace. Tanto varrebbe che tornassi sulla Terra. Tanto varrebbe…»

Sentiva il risentimento crescergli e allora s'interruppe. Daneel non aveva fatto una piega. Semplicemente aspettava il suo turno per parlare. «Mi dispiace» disse «che tu sia seccato. Sembra che la mia conoscenza generale di Solaria non sia maggiore della tua. È l'agente Gruer che ci dirà quello che dobbiamo sapere. Tutto questo è stato organizzato dal governo solariano.»