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Senza dubbio viaggiavano in formazione disposta lungo le tre dimensioni, ma, per non correre rischi, lui partì dal presupposto che ognuna delle ali da duecentocinquanta navi viaggiasse lungo una linea retta. Calcolò l’ampiezza massima di un simile schieramento. Poi aggiunse il venti per cento su entrambi i lati. Se anche solo dodici navi dei Klodni si fossero salvate, Corwin avrebbe subito un assedio mostruoso.

Trascrisse i dati, li inserì nel computer del proiettore, ottenne le coordinate. Fece partire i segnali d’attivamento. Studiò il rilevatore di massa: ormai la flotta Klodni era lontana meno di un’ora.

Annuì, soddisfatto, quando il computer gli diede conferma dei suoi ultimi calcoli. Ci siamo, pensò.

Azionò l’attuatore.

Non ci fu nessun effetto visibile, nessuna sensazione particolare, tranne il balzo improvviso di un ago su un quadrante. Ma Ewing sapeva che l’effetto si era verificato. Nel cielo si era aperto un baratro, un baratro invisibile che partiva dalla sua nave e si espandeva in avanti.

Un baratro che lui poteva controllare con la stessa facilità di un pescatore che si serva di una rete, una rete abbastanza grande da contenere settecentosettantacinque navi da guerra aliene.

Aspettò.

La sua minuscola nave continuava a seguire la stessa orbita, trascinandosi dietro quel nulla mortale. La flotta Klodni avanzò. Ewing eseguì febbrilmente nuovi calcoli. Non sarebbe mai giunto più vicino di quaranta minuti luce a una nave Klodni. A una distanza del genere, non potevano scoprirlo.

Un pesciolino nascosto fra le tenebre, pronto a chiudere in trappola le balene.

La linea verde sul rilevatore di massa diventò molto più grande, quasi accecante. Ewing uscì dall’orbita fissa, inserì la guida manuale. La rete continuava a protendersi verso la prima nave aliena che viaggiava sicura di sé nel vuoto.

Ora!, pensò.

La rete stava per colpire.

La prima nave Klodni avanzò, e scomparve. Dal suo punto d’osservazione, a lui sembrò che il grande vascello fosse semplicemente svanito. Il cuneo verde sul rilevatore di massa era senza punta, ora che la prima nave era scomparsa.

Ma le navi che la seguivano parvero non accorgersi di nulla. Senza spezzare la formazione, proseguirono. Ewing aspettò. La seconda fila scomparve nel vuoto. Poi la terza, la quarta.

Diciotto navi svanite. Trentadue. Sessantaquattro.

Trattenne il fiato, quando la fila di centoventotto navi entrò nel cul-de-sac temporale. Era il momento della verità. Restò a fissare con concentrazione spasmodica il rilevatore di massa. Le due grandi formazioni Klodni gli si avvicinavano. Duecentocinquanta navi per ogni ala, il maglio distruttore dei Klodni…

Svanite.

Lo schermo del rilevatore era vuoto. Entro il suo raggio d’azione non esisteva più una sola nave Klodni. Ewing provò un’ondata di sollievo. Spense il proiettore temporale, abbassando le varie leve con furia frenetica. Ora il baratro si era chiuso. Le navi dei Klodni, intrappolate, non avrebbero mai potuto tornare.

Adesso poteva interrompere il silenzio radio. Inviò un messaggio breve, laconico: «La flotta dei Klodni è distrutta. Rientro alla base».

Un uomo solo aveva sconfitto un’armata. Rise, improvvisamente libero d’ogni tensione.

Si soffermò un attimo a chiedersi come avrebbero reagito i Klodni trovandosi all’improvviso in un vuoto assoluto, senza stelle, senza pianeti. Senz’altro avrebbero continuato a viaggiare nello spazio in cerca di un luogo per atterrare; ma poco per volta sarebbero finiti i rifornimenti, il carburante si sarebbe esaurito, e sarebbe giunta la morte. Col tempo, anche le loro navi sarebbero andate distrutte.

Secondo le teorie scientifiche più accreditate, le stelle della galassia avevano tra i cinque e i sei miliardi di anni. La portata del proiettore temporale era quasi infinita.

Ewing aveva scagliato la flotta Klodni indietro nel tempo di cinque miliardi d’anni. Rabbrividì al pensiero. Poi puntò la nave verso casa, verso Corwin.

18

Il viaggio di ritorno parve durare giorni. Ewing, seduto nella poltroncina, restò a fissare sullo schermo visore l’enigmatico spettacolo del cielo, mentre la nave sfrecciava nel nonspazio a una velocità superiore a quella della luce. A quella velocità, le stelle erano solo minuscoli puntini luminosi; le costellazioni non esistevano.

Stranamente, non avvertiva nessun senso di trionfo. Vero, aveva salvato Corwin, e da quel punto di vista aveva raggiunto lo scopo per cui aveva affrontato il viaggio sulla Terra. Ma gli sembrava che la sua opera fosse incompleta.

Stava pensando alla Terra, non a Corwin. Dalla sua partenza, sul pianeta madre erano trascorsi due anni; i siriani avevano avuto tutto il tempo di procedere nei loro piani. Firnik, senza dubbio, non era più un semplice vice console; doveva occupare una posizione di comando agli ordini del governatore generale siriano. Byra Clork, probabilmente, era una nobildonna della neo-aristocrazia.

E Myreck e gli altri… Forse erano sopravvissuti, nascosti nel passato di tre microsecondi. Ma era più probabile che li avessero scoperti e uccisi, dato che costituivano un pericolo potenziale.

Un pericolo? Non certo per i siriani. La Terra era debole, non aveva la capacità di opporsi alla tirannia.

Ewing, ancora una volta preda di sensi di colpa, si disse che non avrebbe potuto fare niente. Il destino della Terra era inevitabile, germogliato dal pianeta stesso. Lui aveva salvato il proprio mondo; per la Terra non c’era speranza.

C’era una possibilità, gli disse una voce mentale. C’è ancora una possibilità.

Lasciare Corwin, traversare di nuovo lo spazio, tornare sulla Terra, guidare gli inermi terrestri nella battaglia per la libertà. Era indispensabile semplicemente un uomo che possedesse tutto il vigore incontaminato del colono. Era un capo quello che mancava ai terrestri. Numericamente, erano superiori ai siriani in proporzione di mille a uno. Con una ribellione ben organizzata, avrebbero riconquistato facilmente la libertà. Ma avevano bisogno di un fulcro motore, di un capo.

Potresti essere tu quel capo, insisté la voce dentro di lui. Torna sulla Terra.

Costrinse brutalmente quell’idea a morire. Il suo posto era su Corwin, dove era un eroe, dove lo attendevano la moglie e il figlio. La Terra doveva risalire da sola la china del suo triste destino.

Cercò di calmarsi. La nave continuava a correre fra le tenebre, verso Corwin.

Sembrava che a dargli il benvenuto fosse giunta l’intera popolazione del pianeta. Li vedeva dall’alto, mentre faceva compiere alla nave l’ultima spirale di discesa e la faceva atterrare dolcemente sulla piastra in ferrocemento dello spazioporto di Broughton.

Aspettò che la squadra di decontaminazione facesse il suo lavoro, e intanto continuò a osservare la folla raccolta dietro le barriere. Alla fine, quando la nave e la zona d’atterraggio furono decontaminate, scese.

Il rombo della folla era assordante.

Erano migliaia. In prima fila vide Laira e Blade, il presidente, il Consiglio. Poi professori dell’università, giornalisti, e gente, gente, gente. Il suo primo impulso fu di correre a rifugiarsi nella calda solitudine della nave. Invece si costrinse a incamminarsi verso la folla. Avrebbe desiderato che smettessero di urlare. Alzò una mano, sperando di ottenere il silenzio, ma il gesto fu interpretato come un saluto e suscitò un fragore ancora maggiore.

Riuscì in qualche modo a raggiungere Laira e abbracciarla. Le sorrise. Lei disse qualcosa, ma la sua voce venne coperta dal rombo della folla. Le lesse sulle labbra. Stava dicendo: «Ho contato ogni secondo che mancava al tuo ritorno, caro».