A quel punto ero preso tra due fuochi. Negli ultimi minuti avevo cominciato a far piani per il futuro partendo dal presupposto che sarei rimasto in città; ora scoprivo che dopotutto ero libero di partire, ma non ero sicuro che sarebbe stata una buona cosa, viste le condizioni di Stirron. A questo si aggiungeva il fatto che avrei dovuto garantire all’Eptarca un sollecito ritorno, e non potevo farlo senza mentire. Ma questa era una cosa cui non ero preparato. Quello che gli avevo detto fino ad allora era vero, anche se era soltanto una parte della verità: ero veramente deciso ad accompagnare Noim da suo padre ed a rimanere nel Nord fino alla prossima neve, ma come potevo, senza mentire, stabilire il giorno in cui sarei tornato in città?
Mio fratello doveva sposare, dopo quaranta giorni, la figlia più giovane di Bryggil, l’Eptarca del distretto sudorientale di Salla. Era un matrimonio astuto. Bryggil era al settimo posto, cioè al più basso, della gerarchia tradizionale degli Eptarchi di Salla, ma era anche il più vecchio, il più abile e il più rispettato di tutti e sette, adesso che mio padre era morto. Combinare la sagacia e la statura di Bryggil col prestigio che veniva a Stirron dal suo ruolo di Primo Eptarca voleva dire legare indissolubilmente la nostra dinastia al trono. Senza dubbio in breve tempo molti eredi sarebbero nati dal ventre della figlia di Bryggil e mi avrebbero tolto il ruolo di possibile erede; la sua fertilità aveva superato tutti gli esami e, in quanto a Stirron, non potevano esserci dubbi, dato che aveva già disseminato Salla dei suoi bastardi. Come fratello dell’Eptarca, avrei certamente dovuto sostenere un ruolo nel cerimoniale delle nozze.
Avevo completamente dimenticato il matrimonio. Se fossi scivolato via da Salla prima che venisse celebrato, avrei ferito mio fratello e questo mi dispiaceva; ma se fossi rimasto, con Stirron in quello stato, non avrei avuto nessuna garanzia di arrivare libero al giorno delle nozze, o addirittura vivo. D’altra parte non c’era alcun senso ad andare a Nord con Noim, se mi proponevo di tornare entro quaranta giorni. Era una scelta difficile: posticipare la mia partenza e correre i rischi dei capricci regali di mio fratello, o partire subito e mancare di parola al mio Eptarca.
Il Comandamento dice che dovremmo accogliere di buon animo i dilemmi, perché addestrano l’animo a risolvere quello che sembra senza soluzione. Ma il dubbio che assillava me era decisamente una presa in giro degli alti insegnamenti morali del Comandamento. Mentre io rimanevo lì, esitante, il telefono di Stirron suonò; egli sollevò il ricevitore, parlò rapidamente, rimase cinque minuti ad ascoltare i suoni inarticolati che venivano dall’apparecchio mentre la sua faccia si faceva sempre più buia e gli occhi gli s’infiammavano di collera. Alla fine interruppe il contatto e mi guardò come se non mi conoscesse. — Hanno cominciato a mangiare i morti a Spoksa — mormorò. — Sulle pendici del Kongoroi danzano in onore dei dèmoni, nella speranza di ottenere del cibo. Follia! Follia! — Strinse i pugni, voltò la faccia verso la finestra, serrò gli occhi e io pensai che si fosse completamente dimenticato di me. Il telefono ricominciò a squillare. Si girò di scatto, come se avesse ricevuto una pugnalata. Si accorse di me, fermo vicino alla porta, come di ghiaccio, agitò le mani impaziente e disse: — Vai, vai, vai col tuo fratello di legame, vai dove vuoi! Questo paese, questa carestia! Padre, padre, padre! Sollevò il telefono. Iniziai la genuflessione di congedo, ma Stirron mi cacciò furiosamente dalla stanza; lasciava che oltrepassassi i confini del suo reame senza che mi fossi impegnato in nessun modo.
11
Noim ed io partimmo, con pochi servi, tre giorni dopo. Il tempo era cattivo; dopo la siccità dell’estate, l’autunno non aveva portato solo le sue nuvole grigie, gonfie e lugubri, ma anche piogge incessanti, come d’inverno. — Morirete d’umidità prima d’aver raggiunto Glin — disse allegramente Halum, — se pure non affogherete nel fango della Grande Strada di Salla.
La sera prima della nostra partenza rimase con noi, a casa di Noim; passò la notte da sola in una piccola stanza appartata sotto il tetto e ci raggiunse per la colazione, quando ormai eravamo pronti per partire. Non l’avevo mai vista così bella: quella mattina la sua bellezza risplendeva dolcemente nel buio dell’alba piovosa, come una torcia in una caverna. Forse la vedevo ancora più bella perché stava per uscire dalla mia vita, e sapevo che per molto tempo non l’avrei avuta vicina. Pensavo a quel distacco che io stesso avevo voluto, e la vedevo bellissima. Aveva una gonna di delicata maglia d’oro, con sotto semplicemente un leggerissimo velo a nascondere il suo corpo nudo. Muovendosi in quegli abiti evanescenti, le sue forme mi ispiravano pensieri che mi riempivano di vergogna. Halum stava per oltrepassare la giovinezza, era donna da molto tempo e io cominciavo a stupirmi del fatto che non si fosse ancora sposata. Benché lei, Noim ed io avessimo la stessa età, Halum, come tutte le ragazze, era uscita dall’infanzia prima di noi. Aveva cominciato ad avere i seni e le regole mensili un anno prima che a noi cominciasse a crescere la peluria sulle guance e sul corpo, e questo ci aveva dato l’idea che fosse più grande. Anche quando raggiungemmo la piena maturità fisica, Halum continuò ad essere più adulta di noi, modulava la voce più armoniosamente, aveva modi più pacati. Era impossibile scacciare l’idea che fosse la nostra sorella maggiore. Presto avrebbe dovuto accettare un pretendente, prima di andare troppo in là col tempo e di inasprirsi nella sua verginità. All’improvviso ebbi la certezza che Halum si sarebbe sposata mentre io ero lontano, nascosto a Glin, e il pensiero di qualche straniero sudato che si affannava a piantar bambini tra le sue cosce mi disgustò al punto che mi allontanai violentemente dal tavolo e da lei e mi diressi barcollando verso la finestra per prendere una boccata d’aria fresca.
— Non stai bene? — mi chiese Halum.
— Si è un po’ tesi, sorella di legame.
— Non c’è pericolo, l’Eptarca ti ha concesso il permesso di andare verso Nord.
— Non ci sono documenti che lo dimostrino — obiettò Noim.
— Ma tu sei il figlio dell’Eptarca! gridò Halum. — Quale guardia delle strade oserebbe farti delle storie?
— Già — risposi. — Non c’è motivo di avere paura. Ma ci si sente un po’ incerti. Si sta per iniziare una nuova vita, Halum. — Sorrisi forzatamente.
— Dev’essere ora di andare.
— Aspettate ancora un poco — implorò Halum.
Non rimanemmo. I servi ci aspettavano giù nella strada. I carri da terra erano pronti. Halum ci abbracciò, prima Noim e poi me, che ero quello che non sarebbe tornato e al quale dedicò un addio più lungo. Quando mi venne tra le braccia, rimasi colpito dall’intensità con cui mi si offriva: le sue labbra alle mie, il suo ventre al mio, i suoi seni schiacciati contro il mio petto. Sulla punta dei piedi, premeva il suo corpo contro il mio e per un momento la sentii tremare, prima di cominciare a tremare anch’io. Non era il bacio di una sorella e certo non quello di una sorella di legame: era il bacio appassionato di una sposa che manda il suo giovane marito in guerra, senza sapere se tornerà. Ero rimasto folgorato dall’ardore improvviso di Halum. Mi sembrava che fosse stato strappato via un velo, e che una Halum che non conoscevo si fosse gettata su di me, una Halum che ardeva di desiderio carnale e che non si curava di nascondere la sua fame proibita del corpo del proprio fratello di legame. Oppure immaginavo soltanto queste cose, in lei? Mi era sembrato che per un lungo istante Halum si fosse abbandonata completamente, e avesse lasciato che le sue braccia e le sue labbra mi dicessero tutto dei suoi sentimenti. Ma io, io non avevo potuto risponderle nello stesso modo. Mi ero troppo ben allenato a comportarmi correttamente verso la mia sorella di legame, e rimasi freddo e distante mentre l’abbracciavo. Forse la respinsi un poco, sorpreso dal suo ardore. Come ho detto, può essere che quell’ardore esistesse soltanto nella mia mente sovreccitata, e che quello di Halum fosse soltanto legittimo dolore di fronte ad una partenza. In ogni modo, Halum si calmò rapidamente; allentò l’abbraccio e mi lasciò. Era triste e abbattuta, come se io l’avessi respinta duramente, rimanendo così rigido mentre lei mi si offriva in quel modo.