Piantai un bacio tra i suoi seni e sentii lo sfiorare delle mie stesse labbra. — Io ti amo — dissi.
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C’era al Tribunale del Porto un impiegato che mi era entrato in simpatia, un certo Ulman, che aveva metà dei miei anni ed era molto chiaramente un uomo di grandi promesse. Egli conosceva benissimo il mio potere e le mie ascendenze, ma non erano questi i motivi per cui mi era devoto: il rispetto che mi portava si fondava esclusivamente sulla mia capacità di valutare e di affrontare i problemi del Tribunale. Un giorno lo trattenni fino a tardi e lo chiamai nel mio ufficio quando tutti gli altri se ne furono andati. — C’è una droga di Sumara Borthan — dissi, — che permette alle anime di entrare in comunicazione con le altre. — Egli sorrise e disse che sì, ne aveva sentito parlare, ma che da quel che aveva capito la droga era difficile ad ottenersi e pericolosa ad usarsi. — Non c’è nessun pericolo — risposi. — E per quel che riguarda le difficoltà di ottenerla… — e tirai fuori uno dei miei pacchettini. Il suo sorriso non si spense, anche se gli salirono alle guance delle macchie di colore. Prendemmo insieme la droga, nel mio ufficio. Ore più tardi, uscendo per andare a casa, gliene detti un po’ perché la prendesse con sua moglie.
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Nella Cappella di Pietra mi azzardai ad avvicinare uno sconosciuto, un uomo basso e muscoloso in abiti principeschi, forse un membro della famiglia dell’Eptarca. Aveva i chiari occhi sereni di un uomo di fede, l’atteggiamento di chi si è guardato dentro e non è rimasto dispiaciuto di quel che ha visto. Ma quando gli ebbi detto quel che avevo da dire, mi respinse e mi maledisse con tanta furia che la sua rabbia divenne contagiosa: inferocito dalle sue parole, fui sul punto di picchiarlo selvaggiamente. — Esibizionista! Esibizionista! - Il grido echeggiò nel sacro edificio e la gente uscì dalle stanze di meditazione per venire a vedere. Fu la maggior vergogna che avessi conosciuto da anni. Vidi la mia esaltante missione sotto un’altra prospettiva: la vidi sporca, vidi me stesso come un essere pietoso, un cane che strisciava di sbiego cacciato via, che conosceva la necessità di esporre la propria miserabile anima a degli sconosciuti. La mia rabbia scomparve e subentrò la paura: scivolai nell’ombra ed uscii da una porta laterale, col timore di essere arrestato. Per una settimana camminai in punta di piedi, guardandomi sempre alle spalle. Ma mi inseguivano soltanto i miei rimorsi di coscienza.
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Il momento d’incertezza passò. Tornai a considerare sacra la mia missione, a riconoscere il valore di quel che mi ero ripromesso di fare. Provavo soltanto tristezza per quell’uomo che aveva rifiutato il mio dono nella Cappella di Pietra. In una sola settimana trovai tre sconosciuti disposti a dividere la droga con me. Mi chiesi come avessi potuto dubitare di me stesso. Ma altri momenti di dubbio mi aspettavano.
50
Cercai di trovare una base teoretica per il mio uso della droga, di costruire una nuova teologia d’amore e di rivelazione. Studiai il Comandamento e molti dei suoi commentari, nel tentativo di scoprire perché i primi colonizzatori di Velada Borthan avessero ritenuto necessario esaltare la mancanza di fiducia e l’isolamento. Di che cosa avevano paura? Che cosa cercavano di salvare? Uomini cupi in un tempo cupo, le serpi dell’intelletto che strisciavano nei loro crani. Alla fine non ero riuscito a capirli veramente. Erano convinti della loro virtù, avevano agito per il meglio. Tu non confiderai l’intimo dell’anima tua ad un altro uomo. Tu non esaminerai troppo i tuoi stessi bisogni. Negherai a te stesso i facili piaceri delle conversazioni confidenziali. Dovrai star solo dinanzi ai tuoi dèi. E così eravamo vissuti per centinaia di anni, obbedienti, senza mai far domande, nella piena accettazione del Comandamento. Forse per la maggior parte di noi nient’altro che la semplice correttezza tiene ancora in vita il Comandamento: non vogliamo mettere in imbarazzo gli altri rivelandoci, e allora rimaniamo chiusi in noi stessi, mentre le nostre ferite più profonde diventano purulente, e continuiamo ad usare il corretto linguaggio impersonale. Era forse giunta l’ora di creare un nuovo Comandamento? Un legame d’amore, un testamento di divisione?
Nascosto nelle mie stanze, a casa, mi sforzai di scriverne uno. Che cosa avrei potuto dire, che sarebbe stato creduto? Che avevamo mandato avanti le cose abbastanza bene, seguendo i vecchi sentieri, ma ad un altissimo prezzo personale? Che i pericoli che c’erano nel periodo della prima colonizzazione ormai non esistevano più, e che perciò certe abitudini, divenute ormai più un impedimento che un aiuto, potevano essere tralasciate? Che le società debbono evolversi, per non decadere? Che l’amore è migliore dell’odio e che la fiducia è migliore della diffidenza? Ma quel che scrivevo non convinceva neppure me stesso. Perché mi scagliavo contro l’ordine stabilito delle cose? Per intima convinzione o soltanto per sete di sporchi piaceri? Ero un uomo del mio tempo, saldamente incastrato nella roccia dell’educazione che avevo avuto, anche quando cercavo di trasformare quella roccia in sabbia. Preso in trappola dalla tensione tra il mio vecchio credo e il nuovo, ancora informe, andavo mille volte al giorno da un polo all’altro, dalla vergogna all’esaltazione. Una sera, mentre mi affannavo sulla minuta del preambolo del mio nuovo Comandamento, Halum entrò inaspettatamente nel mio studio. — Cosa stai scrivendo? — mi chiese con gentilezza. Coprii con un foglio le righe che avevo vergato. La mia faccia deve aver riflesso il mio imbarazzo, perché vidi sulla sua i segni di scusa per l’intromissione. — Rapporti ufficiali — risposi. — Sciocchezze. Noiose stupidaggini burocratiche. — Quella notte, in un parossismo di disprezzo verso me stesso, bruciai tutto quel che avevo scritto.
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In quelle settimane feci molti viaggi d’esplorazione entro lande sconosciute. Amici, estranei, conoscenze occasionali, una amante: compagni di strani viaggi. Ma durante quelle prime fasi del mio tempo di metamorfosi, non feci parola ad Halum della droga. Dividere la droga con lei era stato il mio scopo originale, quello che mi aveva spinto a portarmi la droga alle labbra la prima volta. Ma ora avevo paura di avvicinarmi a lei. Era la vigliaccheria a trattenermi: cosa sarebbe successo se, conoscendomi sino in fondo, avesse cessato di amarmi?