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Molte volte fui sul punto di parlarne con lei. Ma mi tirai indietro, non trovai il coraggio di fare un passo verso di lei. Se volete, potete misurare la mia sincerità sul metro della mia riluttanza: quanto poteva essere puro quel mio nuovo credo di rivelazione, potreste chiedervi, se credevo che la mia sorella di legame fosse superiore ad una simile comunione? Ma non pretendo che vi sia stata alcuna coerenza nel mio modo di pensare di allora. La mia liberazione dal tabù del rivelarsi era una cosa voluta, non una evoluzione naturale, e io dovevo combattere continuamente contro gli strascichi delle vecchie abitudini. Anche se dicevo «io» e «me» con Schweiz e con alcuni di quelli con cui avevo diviso la droga, non mi sentivo mai a mio agio facendolo. Quel che rimaneva delle mie catene infrante si rinsaldava per legarmi di nuovo. Guardavo Halum, sapevo di amarla e mi dicevo che l’unico modo per rendere completo quell’amore era unire la sua anima alla mia, e che avevo in mano la polvere che avrebbe potuto farlo. E non osavo, non osavo.

53

La dodicesima persona con cui divisi la droga sumariana fu il mio fratello di legame Noim. Era a Manneran, mio ospite per una settimana. L’inverno era arrivato e aveva portato neve a Glin, forti piogge a Salla e solo nebbia a Manneran: i settentrionali non hanno bisogno di molti incoraggiamenti per venire nella nostra calda provincia. Non vedevo Noim dalla primavera precedente, quando eravamo andati a caccia insieme negli Huishtor. In quell’ultimo anno ci eravamo un po’ allontanati: in un certo senso Schweiz aveva preso il posto di Noim, nella mia vita, e io non avevo più bisogno allo stesso modo di prima del mio fratello di legame.

Noim ormai era un ricco proprietario di Salla, dato che aveva ereditato delle terre dalla famiglia Condorit e dai parenti di sua moglie. Uomo maturo, era diventato pesante, anche se non proprio grasso: ma il suo spirito e la sua intelligenza non erano affogati sotto i nuovi strati di grasso. Aveva un aspetto nitido, ben levigato, la pelle scura senza macchie, le labbra piene, compiacenti, gli occhi rotondi e sardonici. Nulla sfuggiva alla sua attenzione. Quando arrivò a casa mia, mi osservò a lungo e con grande cura, come a contarmi i denti e le rughe intorno agli occhi. Dopo il formale saluto tra fratelli di legame, dopo la presentazione dei regali, i suoi e quello che mi aveva portato da parte di Stirron, dopo la firma del contratto di ospitalità, Noim disse inaspettatamente: — Sei nei guai, Kinnall?

— Perché mi fai questa domanda?

— Il tuo volto si è assottigliato, sei dimagrito, la tua bocca… la contrai in una smorfia stanca che non sembra certo quella di un uomo rilassato. Hai gli occhi arrossati e non guardi mai gli altri in faccia. C’è qualcosa che non va?

— Questi sono stati i mesi più felici di tutta una vita — dissi, con troppa veemenza, forse.

Noim ignorò la mia protesta: — Hai dei problemi con Loimel?

— Ciascuno fa la sua strada, senza interferenze.

— Hai dei problemi al Tribunale, allora?

— Per favore, Noim, non crederai che…

— La tua faccia ha subito una metamorfosi — disse. — Vuoi negare che ci siano stati dei mutamenti nella tua vita?

Scrollai le spalle: — E se così fosse?

— Mutamenti in peggio?

— Non sembra che sia così.

— Sei evasivo, Kinnall. Avanti: a cosa serve un fratello di legame se non per dividere con lui i propri problemi?

— Non ci sono problemi — insistetti.

— Molto bene. — E lasciò cadere la cosa. Ma quella sera vidi che mi osservava e il giorno dopo a colazione mi studiava, mi esaminava. Non avevo mai potuto nascondergli nulla. Ci mettemmo seduti, con del vino blu accanto e parlammo del raccolto di Salla, del nuovo programma di riforma, della struttura delle tasse di Stirron, delle rinnovate tensioni tra Salla e Glin e delle sanguinose schermaglie di frontiera che poco tempo prima erano costate la vita ad una delle mie sorelle. Per tutto il tempo Noim continuò ad osservarmi.

Halum cenò con noi, parlammo della nostra infanzia, e Noim mi osservava. Fece un po’ di corte a Loimel, ma i suoi occhi non mi abbandonarono un minuto. L’intensità e la profondità della sua preoccupazione mi infastidivano. Ben presto cominciò a far domande in giro, sperando di riuscire a capire quello che mi preoccupava dalle parole di Loimel o di Halum. In quel modo avrebbe potuto destare in loro una pericolosa curiosità. Non potevo lasciare che ignorasse l’esperienza più importante della vita del suo fratello di legame. La seconda notte, sul tardi, quando ormai tutti si erano ritirati, condussi Noim nel mio studio, aprii il nascondiglio dove tenevo la polvere bianca e gli chiesi se sapeva qualcosa della droga sumariana. Mi rispose che non ne aveva mai sentito parlare. Brevemente, gliene descrissi gli effetti. Si oscurò, sembrò ritrarsi in se stesso.

— Usi spesso questa roba? — chiese.

— Undici volte, finora.

— Undici… perché, Kinnall?

— Per imparare a conoscere la propria intima essenza attraverso il dividerla con gli altri.

Noim rise: quasi un sogghigno.

— Attraverso l’esibirsi, Kinnall?

— Si cominciano ad avere degli strani trastulli, quando si raggiunge la mezz’età.

— E con chi hai giocato questo gioco?

— I loro nomi non contano. Nessuno che tu conosca. Gente di Manneran, gente con un po’ di spirito d’avventura nell’anima, gente disposta a correre dei rischi.

— Loimel? — Era il mio turno di sogghignare: — Mai! Lei non sa niente di tutto questo.

— Halum, allora?

Scossi la testa. — Si vorrebbe avere il coraggio di avvicinare Halum. Finora le si è tenuto nascosto tutto. Si teme che abbia un’indole troppo virginale, che si turbi troppo facilmente. È triste, vero, Noim, dover nascondere una cosa così eccitante, così meravigliosamente gratificante a una sorella di legame?

— Anche a un fratello di legame — osservò, amaramente.

— A te sarebbe stato detto più tardi — risposi. — A te sarebbe stata offerta la possibilità di provare la comunione.

I suoi occhi mandarono lampi: — E tu pensi che io la vorrei?

Quell’oscenità voluta gli guadagnò soltanto un lieve sorriso da parte mia. — Si spererebbe di poter dividere tutte le esperienze col proprio fratello di legame. Adesso, la droga scava un abisso tra di noi: si è andati e si è tornati molte volte in un posto che tu non hai mai visitato. Capisci Noim?

Noim capì. Era tentato, tentennava sull’orlo dell’abisso; si morse le labbra, si tirò i lobi delle orecchie. Vedevo tutto quel che gli passava per la testa come se già ci fossimo divisi la droga sumariana. Era in ansia per me, sapeva che mi ero pericolosamente allontanato dal Comandamento, e che avrei potuto trovarmi in guai seri, morali e legali. Per quel che lo riguardava, invece, era tormentato dalla curiosità: sapeva che rivelare l’anima ad un fratello di legame non è una grave colpa e gli sarebbe piaciuto sapere che tipo di comunione avrebbe potuto avere con me sotto l’influsso della droga. Nei suoi occhi, poi, si leggeva una sorta di gelosia, perché io avevo aperto il mio cuore a questo, a quello e a quell’altro, tanti sconosciuti senza nessuna importanza, e non a lui. Posso dire di aver capito tutto ciò allora, anche se ne ebbi la conferma solo più tardi, quando mi fu svelata l’anima di Noim.

Non ne parlammo più per diversi giorni. Venne con me nel mio ufficio e rimase a guardarmi ammirato mentre risolvevo questioni di enorme importanza nazionale. Vide gli impiegati inchinarsi di fronte a me quando venivano e quando se ne andavano, e vide Ulman, l’impiegato che aveva preso la droga con me. La nostra tranquilla familiarità fece vibrare di sospetto le sensibili antenne di Noim. Andammo a far visita a Schweiz, vuotammo diverse bottiglie di buon vino e discutemmo di religione in modo aperto, serio e un po’ ebbro. (- Tutta la mia vita — disse Schweiz, — è stata una ricerca di ragioni plausibili per credere in ciò che so essere irrazionale -). Noim osservò che non sempre Schweiz seguiva la correttezza grammaticale. Un’altra sera cenammo in una lussuosa villa sulle colline che sovrastavano la città, con un gruppo di nobili manneriani: ometti che sembravano uccelli, vestiti con troppa ricercatezza, irrequieti e afflitti da orribili mogli, grasse, ovvero giovani, belle e traditrici. A Noim dispiacquero questi effemminati duchi e baroni, con tutto il loro parlare di commercio e di gioielli, e diventò ancora più irrequieto quando si cominciò a discutere della notizia che una certa droga del continente meridionale, che aveva il potere di schiudere le anime, si poteva ormai trovare anche nella capitale. Al sentire ciò io feci solo delle educate esclamazioni di protesta: Noim mi guardava con gli occhi fuori dalla testa, folgorato dalla mia ipocrisia. Arrivò addirittura a rifiutare un calice di morbido liquore manneriano, tanto tesi erano i suoi nervi. Il giorno dopo andammo insieme alla Cappella di Pietra, non per confessarci ma per vedere le reliquie dei tempi passati, dato che Noim aveva preso ad interessarsi di antiquariato. Il confessore si trovò ad attraversare il chiostro mentre recitava le sue devozioni e mi sorrise in un modo strano: immediatamente vidi Noim calcolare la possibilità che io avessi coinvolto persino il prete nelle mie attività sovversive. Una irritante tensione continuava a montare in Noim in quelle giornate: era chiaro che desiderava tornare sull’argomento della nostra prima conversazione, e che non aveva il coraggio di farlo. Io non feci nulla per riaprire il discorso. Alla fine fu Noim a muoversi, alla vigilia della sua partenza per Salla. — Questa tua droga… — cominciò con voce rauca.