— Sono anche riusciti — aggiunse il Duca di Sumar, a ricollegare a te diversi di noi. Non tutti, ma molti. Questa mattina alcuni di noi hanno ricevuto dai loro stessi subordinati l’ingiunzione di dimettersi; l’alternativa era la pubblica esposizione. Abbiamo tenuto testa con fermezza alle minacce, e quelli che le hanno fatte sono ora in prigione, ma non si può dire quanti alleati possano avere in posizioni importanti. È anche possibile che al prossimo levarsi della luna noi si sia tutti caduti in disgrazia, e altri occupino i nostri posti. In ogni modo ne dubito perché, per quel che ne sappiamo, finora l’unica prova tangibile è la confessione di quella donna di malaffare che coinvolge soltanto te, Kinnall. Le accuse di Jidd ovviamente non avranno nessun valore, anche se potrebbero comunque risultare dannose.
— Possiamo infirmare la sua credibilità — dissi. — Dirò che non l’ho mai conosciuta. Io…
— Troppo tardi — ribatté il Procuratore generale. — La sua deposizione è stata trascritta, ne ho avuta una copia dal Giudice Supremo. È inoppugnabile. Sei coinvolto senza speranza.
— Che succederà? — chiesi.
— Infrangeremo le ambizioni dei ricattatori — disse il Duca di Sumar, — e li faremo cadere in miseria. Distruggeremo il potere di Jidd e lo cacceremo dalla Cappella di Pietra. Negheremo tutte le accuse di esibizionismo che potranno essere fatte contro di noi. Ma tu devi lasciare Manneran.
— Perché? — Guardai perplesso il Duca. — Anch’io sono una persona influente. Se voi potete far fronte alle accuse, perché io no?
— La tua colpevolezza è sui registri — disse il duca di Mannerangu Smor. — Se tu fuggi, si può sempre dire che tu e la ragazza che hai corrotto eravate gli unici implicati in questo affare, e che tutte le altre accuse sono soltanto invenzioni di ambiziosi dipendenti, ansiosi di cacciare i loro padroni. Se invece rimani e cerchi di combattere una battaglia senza speranze finirai col farci cadere in trappola uno per uno, man mano che l’inchiesta su di te procede.
Ormai, era tutto chiarissimo.
Per loro ero un pericolo. In un tribunale potevano spezzare la mia resistenza, le loro colpe potevano venir fuori. Fino a quel momento io ero l’unico indiziato, l’unico passibile di processo. Loro erano vulnerabili soltanto per tramite mio: se io me ne andavo, non avrebbero potuto colpirli. La salvezza della maggioranza imponeva che partissi. C’era dell’altro: la mia ingenua fede nel tempio, che mi aveva stupidamente indotto a confessarmi a Jidd, aveva scatenato quella tempesta, che altrimenti sarebbe stata evitata. Ero stato io la causa di tutto, ed ero io quello che doveva andarsene.
Il Duca di Sumar disse: — Rimarrai con noi fino a quando la notte sarà buia, poi il mio carro da terra privato, scortato dalla guardia del corpo come se fossi io a viaggiare, ti porterà alla tenuta del Marchese di Woyn, dove ti attende un battello. All’alba avrai attraversato il Woyn e sarai a Salla, dove sei nato. Possano gli dèi viaggiare al tuo fianco.
59
Di nuovo un senza patria. In un sol giorno tutto il potere che avevo accumulato in quindici anni a Manneran era andato perduto. Né la mia alta nascita né le mie alte amicizie potevano salvarmi: avevo legami di matrimonio, d’amore e politici con metà dei signori di Manneran, ma nessuno poteva aiutarmi. Da come ho messo le cose sembra che mi abbiano costretto all’esilio per salvarsi la pelle, ma non era così. La mia partenza era necessaria e addolorò loro quanto me.
Non avevo con me altro che i vestiti che indossavo. Il mio guardaroba, le mie armi, i miei gioielli, perfino le mie ricchezze dovevano rimanere a Manneran. Giovane principe in fuga verso Glin da Salla, avevo avuto l’accortezza di farmi precedere dal mio denaro. Adesso ero totalmente tagliato fuori. I miei beni sarebbero stati sequestrati, i miei figli si sarebbero trovati in miseria. Non c’era stato tempo per far preparativi.
In questo, almeno, i miei amici mi aiutarono. Il Procuratore Generale, che aveva più o meno la mia taglia, aveva portato diversi splendidi oggetti di vestiario. Il Commissario del Tesoro mi aveva procurato una considerevole somma in moneta di Salla. Il Duca di Mannerangu Smor si tolse di dosso due anelli ed una collana in modo che io non dovessi tornare senza gioielli nel mio paese natio.
Il Marchese di Woyn mi mise in mano una spada da cerimonia e la sua sbarra-calore col manico tempestato di pietre preziose. Mihan promise di parlare con Segvord Helalam e di raccontargli tutto quel che mi era successo. A Segvord sarebbe dispiaciuto, pensava, e avrebbe protetto i miei figli con tutta l’influenza che aveva, avrebbe fatto in modo che l’infamia del loro padre non li toccasse.
Infine, il Duca di Sumar venne da me a notte fonda, mentre sedevo solo, amareggiato, mangiando la cena per la quale prima non avevo avuto tempo, e mi consegnò un piccolo scrigno d’oro massiccio tempestato di gemme, di quelli che si usano per le medicine. — Aprilo con cautela — disse. L’aprii e lo trovai colmo fino all’orlo di polvere bianca. Sorpreso, gli chiesi come se la fosse procurata. Non molto tempo prima aveva mandato in tutta segretezza degli agenti a Sumara Borthan, rispose, e questi avevano riportato una piccola quantità di droga. Disse di averne ancora, ma credo che mi abbia dato tutta quella che aveva.
— Partirai tra un’ora — disse il Duca, per interrompere le mie proteste di gratitudine.
Gli chiesi se potevo telefonare.
— Segvord spiegherà tutto a tua moglie. — disse il Duca.
— Ma non alla moglie. Si voleva chiamare la propria sorella di legame. — Parlando di Halum, non riuscivo ad usare il rozzo linguaggio di noi esibizionisti. — Non si è avuta la possibilità di dirle addio.
Il Duca comprese la mia pena perché era stato nella mia anima, ma non mi concesse la chiamata. Le linee potevano essere controllate: non poteva rischiare che quella notte si udisse la mia voce dalla sua casa. Capii in che situazione delicata si trovava e non insistetti. Potevo chiamare Halum l’indomani, dopo aver attraversato il Woyn ed essermi messo in salvo a Salla.
Ben presto fu ora di partire. I miei amici se n’erano già andati diverse ore prima. Il Duca solo mi accompagnò fuori dalla casa. Il suo maestoso carro da terra ed una squadra di guardie del corpo ognuna sul suo motociclo erano in attesa. Il Duca mi abbracciò. Montai sulla macchina e mi appoggiai contro i cuscini. L’autista opacizzò i vetri in modo che rimanessi nascosto alla vista altrui pur potendo vedere io. La macchina si mise in moto silenziosamente, acquistò velocità e si immerse nella notte mentre i miei accompagnatori, sei in tutto, le correvano a fianco come insetti. Sembrò che passassero delle ore, prima che raggiungessimo il cancello principale della tenuta del Duca. Poi arrivammo sull’autostrada. Sedevo rigido come se fossi scolpito nel ghiaccio, pensando appena a quel che mi era successo. La nostra strada era verso Nord, e viaggiammo ad una velocità tale che il sole non si era ancora levato quando raggiungemmo i confini della tenuta del Marchese di Woyn, alla frontiera tra Manneran e Salla. Il cancello si aprì; lo attraversammo a tutta velocità. La strada era intagliata in una fitta foresta, al chiarore della luna si potevano vedere delle sinistre efflorescenze, parassiti simili a corde pelose che formavano un intrico tra gli alberi. All’improvviso sbucammo in una radura, e di lì vidi le sponde del fiume Woyn. La macchina si fermò. Un individuo con una veste scura mi aiutò a scendere, come se fossi un vecchio tremebondo, e mi guidò giù per la sponda spugnosa fino ad un lungo e stretto pontile visibile appena nella densa foschia che si levava dal cuore del fiume. Là c’era una barca all’ancora. Non una barca grossa, era appena più grande di un dinghy. Ma attraversava velocemente l’ampio e turbolento Woyn. Non sentivo nulla. Ero come uno che avesse perso in battaglia una gamba, portata via fino alla coscia dal fuoco di un proiettore, e giacesse rannicchiato, scomposto, contemplando calmo il moncone. Il dolore sarebbe arrivato più tardi.