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— Non si è nuovi all’esilio — le dissi. — E si ha ancora Noim, come legame d’amore e compagnia.

— Sapendo quel che ti costerebbe — disse, — torneresti a giocare con la droga, se potessi rimettere l’orologio indietro di un anno?

— Senza dubbio.

— Valeva la pena di perdere la casa, la famiglia e gli amici?

— Varrebbe la pena di perdere anche la vita — risposi, — se soltanto si potesse esser certi che in tal modo tutta Velada Borthan finirebbe col provare la droga.

Quella risposta sembrò spaventarla: si ritrasse, si portò alle labbra le punte delle dita: forse per la prima volta si rendeva conto della violenza della follia del suo fratello di legame. La mia non era stata solo una frase retorica ed esagerata, e qualcosa della mia convinzione doveva averla raggiunta. Capì che credevo e, vedendo la profondità del mio sentimento, aveva paura per me.

Noim trascorse molti dei giorni che seguirono lontano dalle sue terre; in viaggio verso Città di Salla per affari di famiglia e a Piano del Nand per visitare una proprietà che aveva intenzione di comprare. In sua assenza, ero io il padrone, dato che la servitù, qualsiasi cosa pensasse della mia vita privata, non osava di fronte a me mettere in discussione la mia autorità. Ogni giorno andavo a sorvegliare a cavallo i lavoranti nei campi di Noim. Halum mi accompagnava, anche lei a cavallo.

In realtà, non è che dovessi sorvegliare molto, dato che si era nella stagione intermedia tra la semina e il raccolto, e le messi crescevano da sole. Cavalcavamo più che altro per piacere, fermandoci qui per una nuotata, là per un pranzo al limite del bosco. Le mostrai le gabbie degli scudi-di-tempesta, che non le piacquero, e la portai tra gli animali più mansueti che brucavano nei prati e che si avvicinarono e l’annusarono amichevolmente.

Quelle lunghe cavalcate ci davano ogni giorno molte ore per parlare. Non trascorrevo tante ore con Halum da quando eravamo ragazzi e finimmo col diventare molto intimi. All’inizio eravamo cauti, non volevamo fare delle domande troppo personali, ma presto cominciammo a parlare come due fratelli di legame dovrebbero fare. Le chiesi perché non si fosse mai sposata, ed ella mi rispose semplicemente: — Non si è mai incontrato un uomo che potesse andar bene. — Rimpiangeva di non avere avuto un marito e dei figli? No, disse, non rimpiangeva nulla, perché la sua vita era stata tranquilla e soddisfacente: ma c’era un’ombra di nostalgia nella sua voce. Non potevo insistere. Lei, da parte sua, cominciò a farmi domande sulla droga sumariana, cercando di capire quali meriti potesse avere per indurirli a correre simili rischi. Ero divertito dal modo con cui mi poneva le domande: cercava di essere calma, comprensiva e obiettiva, ma non riusciva a nascondere il suo orrore per quel che avevo fatto. Era come se il suo fratello di legame fosse impazzito e avesse ucciso venti persone in un mercato ed ella volesse capire, con pazienti e serene domande, cosa l’aveva spinto a commettere una simile strage. Mi sforzai di essere anch’io calmo e spassionato, per non bruciarla con la mia violenza come avevo fatto nel nostro primo incontro. Evitavo le prediche e nel modo più calmo e sobrio le spiegai gli effetti della droga, i benefici che io ne ricavavo e le ragioni per cui volevo infrangere il ferreo isolamento della personalità che il Comandamento ci imponeva. Ben presto una curiosa metamorfosi si verificò tanto nel suo atteggiamento quanto nel mio. Ella divenne più una studentessa tutta tesa a comprendere i misteri rivelati da un maestro iniziato a segreti sconosciuti che una dama di alta nascita ben intenzionata che cercava di capire affettuosamente un criminale. E io ero più il profeta di una nuova religione che un cronista che descriveva dei semplici fatti. Descrissi in toni lirici l’estasi del dividere la droga, le dissi la strana meraviglia delle prime sensazioni quando si comincia a schiudersi, e del momento fiammeggiante dell’unione con l’anima di un altro essere umano: le descrissi l’esperienza come un’unione di anime molto più intima di quella che si può avere con un parente di legame o con un confessore. Le nostre conversazioni cominciarono a diventare monologhi. Mi perdevo in estasi verbali, di tanto in tanto scendevo a terra per vedere Halum, coi capelli d’argento e sempre giovane, con gli occhi lucenti e la bocca dischiusa, totalmente affascinata. Il risultato era inevitabile. Un pomeriggio afoso, mentre camminavamo lentamente tra i solchi in un campo dove il grano le arrivava al petto, disse senza alcun preambolo: — Se hai della droga, qui, può la tua sorella di legame dividerla con te? — L’avevo convertita.

65

Quella notte disciolsi qualche pizzico di polvere in due flaconi di vino. Halum sembrò incerta quando gliene porsi uno, e la sua incertezza rimbalzò su di me, tanto che esitai a procedere: poi lei mi rivolse un magico tenero sorriso e vuotò il suo flacone. — Non ha nessun sapore — disse, mentre io bevevo. Ci sedemmo a parlare nella sala dei trofei di Noim, piena di becchi di uccelli-spada e con molte pellicce di scudi-di-tempesta drappeggiate. Quando la droga cominciò a far effetto, Halum rabbrividì e io staccai dalla parete una pesante pelle scura, gliela misi sulle spalle e la tenni stretta a me fin quando il brivido non fu passato.

Sarebbe andato tutto bene? A dispetto di tutto quel che avevo detto, avevo paura. Nella vita di ogni uomo c’è qualcosa che egli sente di dover fare, qualcosa che punge il centro della sua anima fin quando non è fatta; ma quando quest’uomo sarà sul punto di realizzarla, conoscerà la paura, perché forse avere quel che lo ha ossessionato gli porterà più dolore che piacere. Così fu per me, Halum e la droga sumariana. Ma la mia paura passò, mentre la droga faceva effetto. Halum sorrideva, Halum sorrideva.

Il muro tra le nostre anime divenne una membrana attraverso la quale potevamo scivolare come volevamo. Halum fu la prima ad attraversarla. Io mi tenni indietro, paralizzato dal pudore, pensando perfino in quel momento che penetrare nella sua mente sarebbe stata un’intrusione nella verginità della mia sorella di legame ed una violazione della legge che proibisce ogni intimità fisica tra parenti di legame. E così oscillai per qualche minuto dopo il crollo delle ultime barriere, troppo inibito per mettere in pratica il mio stesso credo. Nel frattempo Halum, resasi conto finalmente che nulla glielo impediva, scivolò senza esitazioni nel mio spirito. La mia reazione istantanea fu un tentativo di difesa: non volevo che lei scoprisse questo o quello, in particolar modo non volevo che sapesse del desiderio che avevo di lei. Ma dopo un minuto di questa imbarazzata preoccupazione, smisi di cercar di coprire la mia anima con foglie di fico e andai verso Halum, iniziando la vera comunione, l’inestricabile congiunzione.

Mi trovai, ma sarebbe più esatto dire che mi persi, in corridoi dai pavimenti di vetro e pareti d’argento, dove giocava una fresca luce brillante simile alla lucidità cristallina che si vede riflessa dal bianco fondo sabbioso in una laguna tropicale poco profonda. Era l’intima natura virginale di Halum. Nei corridoi c’erano delle nicchie dove, messi ordinatamente in mostra, si trovavano tutti gli elementi della sua vita, i ricordi, le immagini, gli odori, i sapori, le visioni le fantasie, le delusioni, le delizie. Su tutto imperava la purezza. Non vidi traccia di estasi sessuali, di passioni carnali. Non so se Halum si fosse preoccupata di nascondermi, per pudicizia, tutta l’area della sua sessualità o se invece l’avesse allontanata dalla sua coscienza al punto che io non riuscii a scoprirla.

Ella mi venne incontro senza paura, si unì a me con gioia. Non ho dubbi su questo. Quando le nostre anime si unirono fu un’unione completa, senza riserve. Nuotai in quelle lucenti profondità ed il fango si staccò dalla mia anima: ella guariva, purificava. Forse mentre lei mi mondava io la stavo macchiando? Non posso dirlo. Non posso dirlo. Ci circondammo, ci mescolammo, ci demmo sostegno l’un l’altro, ci penetrammo a vicenda. A mescolarsi con la mia anima c’era l’anima di Halum, che per tutta la vita era stata il mio sostegno ed il mio coraggio, il mio ideale ed il mio scopo, una fresca, incorruttibile, perfetta incarnazione di bellezza. E forse mentre la mia corruttibile anima prendeva un’ombra di incorruttibilità, la prima macchia corrosiva appariva sulla lucente incorruttibilità di Halum. Non posso dirlo. Io andai a lei e lei venne a me. Ad un certo punto del nostro viaggio l’uno nell’altra, incontrai una zona dove c’era qualcosa di strano, di contorto, e mi ricordai di quando, da giovane, stavo partendo da Città di Salla per fuggire a Glin e Halum mi aveva abbracciato nella casa di Noim e a me era parso di sentire nel suo abbraccio un tremore di passione, a stento represso, un barlume di desiderio fisico. Per me. Per me. E pensai di avere trovato di nuovo quella zona di passione, solo che quando la guardavo più da vicino, spariva, e io vedevo soltanto la pura lucente superficie metallica della sua anima. Forse, sia la prima che la seconda volta, non feci altro che proiettare in lei i desideri che bruciavano dentro di me. Non lo so. Le nostre anime erano unite: non avrei saputo dire dove finivo io e dove cominciava Halum.