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Io entrai nella capanna. Il posto dove conservavo il manoscritto era vuoto e io sentii improvvisamente un vuoto anche dentro di me, un vuoto simile, credo, a quello che prova una donna che ha portato in seno un bambino per sette interi cicli lunari e poi si trova col ventre di nuovo piatto. Avevo riversato tutto me stesso in quelle pagine. Adesso ero niente e il libro era tutto. L’avrebbe letto, Noim? Pensavo di sì. E l’avrebbe conservato? Molto probabilmente sì, anche se avrebbe forse potuto nasconderlo nell’angolo più scuro della sua casa. L’avrebbe un giorno mostrato ad altri? Questo non lo so. Ma se voi avete letto quello che ho scritto è per la gentilezza di Noim Condorit. E se egli l’ha fatto leggere ad altri, allora vuol dire che dopotutto io ho avuto il sopravvento sulla sua anima, così come spero di averlo sulla vostra.

72

Avevo detto a Noim che non sarei rimasto nella capanna, ma che mi sarei incamminato verso Ovest cercando di mettermi in salvo. Ma non avevo voglia di andarmene. Quella casupola infuocata era diventata casa mia. Rimasi un giorno e poi un altro giorno e un terzo, senza far nulla, girando a vuoto nella solitudine riarsa delle Terre Basse Bruciate, osservando gli uccelli-spada che mi ruotavano sopra la testa. Al quinto giorno, come forse potete vedere, ripresi l’abitudine di scrivere il diario, sedetti dove negli ultimi tempi ero stato seduto per tante ore e scrissi delle pagine nuove per descrivere la visita di Noim. Poi lasciai passare altri tre giorni, dicendo a me stesso che al quarto giorno avrei scavato dalla sabbia rossa il mio carro da terra e sarei andato verso Ovest. Ma al mattino di quel quarto giorno Stirron e i suoi uomini trovarono il mio nascondiglio. Ora è la sera di quello stesso giorno e ho ancora un’ora o due per scrivere, per grazia di Lord Stirron. E quando avrò finito questo non scriverò più.

73

Arrivarono con sei carri da terra ben armati, circondarono la mia capanna e mi gridarono di arrendermi attraverso gli altoparlanti. Non avevo nessuna speranza di riuscire a resistere, né avevo voglia di provare. Con calma, a cosa sarebbe servita la paura?, mi mostrai, con le mani alzate, sulla soglia della capanna. Uscirono dalle macchine e io mi meravigliai di vedere tra loro Lord Stirron, uscito dal suo palazzo per andare nelle Terre Basse Bruciate per una partita di caccia fuori stagione, con suo fratello come preda. Indossava il costume elegante della sua carica. Avanzò lentamente verso di me. Non lo vedevo da qualche anno e rimasi stupito nello scoprire i segni della vecchiaia su di lui: le spalle cascanti, la testa sporgente, i capelli radi, la faccia coperta di rughe, gli occhi gialli e indeboliti. I guadagni di metà della vita coi sommi poteri. Ci guardammo in silenzio, come due stranieri che cercassero un punto di contatto. Tentai di ritrovare in lui il ragazzino che era stato mio compagno di giochi, il fratello maggiore che avevo amato e perduto tanto tempo prima, ma vidi soltanto un vecchio dalla faccia dura e le labbra tremanti. Un Eptarca è abituato a nascondere i sentimenti, ma Stirron non era capace di nascondermi niente, né riusciva a mantenere un’espressione: sul suo volto si accavallavano cenni di rabbia imperiale, sorpresa, dolore, disprezzo e qualcosa che immaginai potesse essere una specie di amore represso. Finalmente parlai per primo, invitandolo nella mia capanna per discutere. Egli esitò, forse pensando che avessi in mente di assassinarlo, ma dopo un momento accettò in modo regale, facendo cenno alla sua guardia del corpo di rimanere fuori. Quando fummo soli dentro, ci fu un altro momento di silenzio, che questa volta ruppe lui dicendo: — Non si è mai provato tanto dolore, Kinnall. Si crede a stento a quel che si è sentito dire su di te. Che tu abbia macchiato la memoria di nostro padre…

— È davvero una tal macchia, Eptarca, Signore?

— Insozzare il Comandamento? Corrompere gli innocenti… la tua sorella di legame fra le vittime? Cos’hai fatto, Kinnall? Cos’hai fatto?

Una stanchezza terribile mi sopraffece, e chiusi gli occhi: a malapena sapevo da dove iniziare a spiegare. Dopo un minuto ritrovai forza. Mi chinai verso di lui, sorrisi, gli presi la mano e dissi: — Io ti amo, Stirron.

— Quanto sei malato!

— Perché parlo d’amore? Ma siamo usciti dallo stesso grembo! Non devo amarti?

— È così che parli ora, soltanto per sudicerie?

— Parlo come il cuore mi comanda.

— Non solo sei malato tu, ma fai anche venir male agli altri — disse Stirron. Si voltò e sputò sul pavimento sabbioso. Mi sembrò una remota figura medievale, imprigionata dietro la dura faccia regale, intrappolata nei suoi gioielli e nelle sue vesti ufficiali, che parlava in modo burbero, distante. Come potevo raggiungerlo?

Dissi: — Stirron, prendi con me la droga sumariana. Ne ho ancora un pò. La preparerò e la berremo insieme. Tra un’ora o due le nostre anime saranno come una e tu comprenderai. Ti giuro che comprenderai. Vuoi farlo? Dopo uccidimi, se vuoi, ma prima prendi la droga. — Cominciai a darmi da fare per preparare la pozione. Stirron mi prese per il polso e mi fermò. Scosse la testa col gesto lento, pesante, di chi prova un’infinita tristezza. — No — disse. — Impossibile.

— Perché?

— Tu non oscurerai la mente del Primo Eptarca.

— A me interessa raggiungere la mente di mio fratello Stirron!

— Come fratello, si desidera soltanto che tu possa essere guarito, come Primo Eptarca si deve evitare il male perché si appartiene al proprio popolo.

— La droga è innocua, Stirron.

— È stata innocua per Halum Helalam?

— Sei tu una vergine spaventata? — chiesi. — Ho dato la droga a parecchie persone. Halum è l’unica che ha reagito male… anche Noim, suppongo, ma se l’è fatta passare… E…

— Le due persone al mondo più vicine a te — disse Stirron. — E la droga ha fatto del male a tutte e due. E ora la offri a tuo fratello?

Era inutile. Gli chiesi di nuovo, parecchie volte, di provare la droga, ma naturalmente non volle toccarla. Se pure l’avesse fatto, a cosa mi sarebbe servito? Avrei trovato soltanto ferro nella sua anima.

Dissi: — Cosa sarà di me, adesso?

— Un giusto processo, seguito da un’equa sentenza.

— Che sarà cosa? Esecuzione? Ergastolo? Esilio?

Stirron scrollò le spalle. — Sta al Tribunale decidere. Pensi forse che si sia un tiranno?

— Stirron, perché la droga ti spaventa tanto? Sai cosa fa? Posso farti capire che porta soltanto amore e comprensione? Non è necessario che noi si viva come sconosciuti, con le anime avvolte in coperte. Possiamo liberarci parlando, possiamo uscir fuori. Possiamo dire «Io», Stirron, senza doverci scusare d’avere una individualità. Io, io, io. Possiamo dirci l’un l’altro cosa ci dà dolore e possiamo aiutarci l’un l’altro a sfuggire quel dolore. — Il suo volto si oscurò: penso che fosse certo ormai che ero pazzo. Gli passai davanti, andai là dove avevo messo la droga, la mescolai rapidamente e gli offrii il flacone. Scosse la testa. Io bevvi a grandi sorsi e gli offrii di nuovo il flacone. — Suvvia — dissi, — bevi. Bevi! Non farà effetto per un poco. Prendila ora, così ci troveremo con l’anima dischiusa nello stesso momento. Per favore, Stirron!