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Ser Waymar chiese in tono colloquiale, sistemandosi l’ampia cappa d’ermellino: «Secondo te, Gared, che cosa ha ucciso quegli uomini?».

«Sarà stato il freddo.» La voce di Gared non era priva di una sfumatura ironica. «Un inverno, quando ero ragazzo, ho visto uomini congelati. E ne ho visti anche l’inverno precedente. Tutti parlano di manti di neve spessi quaranta piedi, del vento glaciale che soffia da nord, ma è il freddo il vero nemico. Ti scivola addosso più subdolo di Will. Cominci a tremare, a battere i denti, a pestare i piedi per terra, a sognare buon vino caldo speziato e falò che ardono. E il freddo che brucia. Nulla scotta come il freddo, ma non dura molto. Perché una volta che è dentro di te comincia a riempirti, finché non ti rimane più la forza per combatterlo. Ti siedi, ti addormenti. Molto più facile. Dicono che quando si avvicina la fine, non senti più niente, diventi debole, intontito, tutto comincia a svanire. Hai come l’impressione di sprofondare in un oceano di latte tiepido, pieno di una grande pace.»

«Quale eloquenza, Gared» rilevò ser Waymar. «Mai me la sarei aspettata da te.»

«Io l’ho avuto dentro di me il freddo, signore.» Gared abbassò lo spesso cappuccio del mantello scoprendo due moncherini deformi al posto delle orecchie. Ser Waymar non distolse lo sguardo. «Due orecchie, tre dita dei piedi, il mignolo della mano sinistra. E a me è andata bene. Mio fratello finì congelato durante il turno di guardia. Stava ancora sorridendo.»

Ser Waymar si strinse nelle spalle. «Dovresti andare in giro più coperto.»

Gared lo folgorò con lo sguardo. La rabbia trasformò le cicatrici attorno alle sue orecchie, là dove maestro Aemon era stato costretto a tagliare le parti congelate, in rossi sentieri di fiamma. «Vedremo quanto ti coprirai tu, signore, quando verrà l’inverno.» Gared s’incurvò nuovamente sulla sella, cupo e taciturno.

«Se Gared dice che il freddo…» cominciò Will.

«Hai fatto guardie la settimana passata, Will?»

«Sì, mio signore.» Non passava settimana senza che si ritrovasse in almeno una dozzina di maledetti turni. Cos’altro aveva in mente quello spocchioso damerino?

«E com’era la Barriera?»

«Umida.» Will corrugò la fronte. Ora intuiva dove voleva arrivare ser Waymar. «Quei bruti non potevano congelare. Non se la Barriera era umida. Non faceva abbastanza freddo.»

Royce annuì. «Proprio così. Abbiamo avuto alcune lievi gelate la settimana scorsa, più qualche spruzzata di neve qua e là. Ma certamente non un freddo tale da uccidere otto uomini adulti. Uomini vestiti di cuoio e pelli, i quali, lasciate che ve lo ricordi, avevano a disposizione un rifugio ed erano in grado di accendere fuochi.» Il giovane cavaliere ebbe un sorriso di superiorità. «Guidaci, Will. Voglio vedere io stesso quei corpi.»

Non c’era altro da fare se non obbedire. L’ordine era stato dato, e il giuramento li costringeva all’obbedienza.

Will passò in testa, il suo malridotto morello che avanzava cauto nel sottobosco. La notte prima era caduta altra neve e sotto l’ingannevole strato bianco c’erano pietre, radici, affossamenti, tutte insidie nascoste per chiunque non fosse stato sul chi vive. Ser Waymar veniva dietro di lui, le froge del grande destriero nero che si dilatavano con impazienza. Quel cavallo da guerra era inadatto alle esplorazioni nella foresta, ma chi avrebbe osato farglielo notare? Gared restò di retroguardia, mugugnando tra sé.

Il crepuscolo si fece più cupo. Il cielo privo di nubi assunse una sfumatura viola profondo, simile al colore di una vecchia contusione. Da quella tinta, scivolò nel nero. Le stelle fecero la loro comparsa. Sorse la mezzaluna. Will fu grato per quelle luci lontane.

«Possiamo andare più in fretta di così» disse ser Waymar quando la luna fu alta. «Ne sono certo.»

«Non con quel cavallo» ribatté Will. «A meno che, mio signore» la paura lo stava rendendo insolente «non voglia essere tu ad aprire la strada.»

Ser Waymar non si degnò di rispondere.

Da qualche parte, nel buio pesto della foresta, un lupo ululò.

Will fece fermare il cavallo vicino a un antico tronco contorto dal tempo e smontò.

«Perché ti fermi?» gli chiese ser Waymar.

«Meglio proseguire a piedi, mio signore. Il loro campo è appena dietro quella cresta.»

Royce si arrestò, pensieroso in volto, lo sguardo che esplorava lontano. Il vento freddo sussurrava tra gli alberi. La sua cappa d’ermellino si gonfiò come un’entità vivente.

«Qualcosa non va» disse Gared a voce bassissima.

«Davvero?» Il giovane cavaliere gli rivolse un sorriso beffardo.

«Non senti?» ribatté Gared. «Ascolta le tenebre.»

Will sentiva. Quattro anni nei Guardiani della notte, eppure non aveva mai avuto tanta paura. Cosa c’era là intorno?

«Vento. Alberi che si scuotono. Un lupo. Quale di questi suoni ti turba, Gared?»

Il vecchio guerriero non rispose. Royce smontò con eleganza e legò le redini del destriero a un ramo basso, a debita distanza dagli altri cavalli, poi sfoderò la spada lunga. Le pietre preziose incastonate nell’elsa scintillarono. I raggi della luna scivolarono sull’acciaio della lama. Era una splendida arma, forgiata al castello della sua nobile famiglia e, a giudicare dall’aspetto, da poco tempo. Will aveva i suoi dubbi che fosse mai stata usata in combattimento.

«Gli alberi sono molto fitti» avvertì Will. «La spada potrebbe impacciarti i movimenti, mio signore. Meglio il pugnale.»

«Se e quando avrò bisogno di un consiglio, Will, sarò io a chiedertelo» ribatté il giovane. «Gared, tu rimani qui, di guardia ai cavalli.»

«Ci serve un fuoco.» Gared smontò a sua volta. «Penserò io ad accenderlo.»

«Che sciocchezze vai dicendo, vecchio? Se in questa foresta ci sono dei nemici, un fuoco è proprio l’ultima cosa che ci serve.»

«Esistono nemici che le fiamme terranno lontani.» Gared non mollò. «Orsi, meta-lupi e… e altre cose.»

Le labbra di ser Waymar divennero una fessura. «Niente fuoco» ordinò.

Il cappuccio teneva in ombra gli occhi di Gared, ma a Will non sfuggì il lampo di ostilità che scintillò in essi mentre il vecchio guerriero fissava il giovane. Per un attimo, arrivò a temere che Gared mettesse mano alla spada. Quella spada era poco elegante, brutta da guardare, con l’impugnatura sbiadita dal sudore e il taglio scheggiato da tanti duri scontri. Ma se Gared l’avesse effettivamente sfoderata, Will non avrebbe scommesso mezzo soldo bucato sul collo di ser Waymar.

Gared alla fine abbassò gli occhi. «Niente fuòco» si arrese a denti stretti.

Royce interpretò la risposta come sottomissione e gli voltò le spalle. «Va’ avanti tu» ordinò a Will.

Will si fece strada nel fitto sottobosco e cominciò a risalire il pendio della bassa altura, tornando a dirigersi verso il punto d’osservazione che aveva trovato dietro un albero-sentinella. Sotto il fine manto di neve, il terreno era fangoso e molle, cosparso di radici affioranti e di pietre. Un terreno sul quale era fin troppo facile cadere. Will non faceva alcun rumore nel salire, ma dietro di sé continuava a udire i fruscii della foresta provocati dal passaggio del giovane nobile che lo seguiva, il debole tintinnare metallico del fodero della sua spada, imprecazioni soffocate ogni volta che gli aspri rami più bassi andavano a impigliarsi in quella lama troppo lucida, troppo lunga, e in quella splendida cappa d’ermellino.

Il grande albero-sentinella sorgeva quasi sulla sommità dell’altura, esattamente dove Will sapeva che sarebbe stato, con le ramificazioni inferiori a neppure un piede d’altezza dal suolo. Will strisciò sotto di esse, ventre nella neve e nel fango, osservando la radura sottostante, vuota.

Il suo cuore perse qualche battito. Per un lungo momento, non osò neppure respirare. Il chiarore della luna illuminava la radura, le ceneri del fuoco spento da tempo, il rifugio parzialmente coperto dalla neve, le rocce incombenti, lo stretto torrente semi-congelato. Ogni cosa era come Will l’aveva vista qualche ora prima.