Выбрать главу

«Non ho risposte per gli dei, maestà… ma soltanto per ciò che trovai quel giorno nella sala del Trono di Spade: Aerys morto, annegato nel suo stesso sangue, i teschi di drago che continuavano a osservare dalle pareri, gli uomini dei Lannister dappertutto. Sopra l’armatura dorata, Jaime Lannister portava il mantello bianco della Guardia reale. Ce l’ho ancora davanti agli occhi, Robert. Non si era nemmeno preso il disturbo di rinfoderare la spada. Ed era seduto sul Trono di Spade, ben più in alto di tutti i suoi cavalieri, con in testa un elmo a forma di muso di leone. E come gongolava, Robert! Come godeva per dov’era arrivato.»

«Niente che già non sappia» borbottò Robert.

«Forse c’è qualcosa che ancora non sai. Io ero in sella al mio cavallo, e rimasi in sella nel percorrere l’intera sala, in silenzio, tra due file di teschi di drago. In qualche modo, era come se quei teschi mi stessero fissando. Mi fermai di fronte al trono e lo guardai. Aveva la spada di traverso sulle ginocchia, ancora sporca del sangue del suo re. I miei uomini invasero la sala dietro di me e i Lannister si ritirarono. Non dissi una parola, aspettai e basta. Rimasi a guardarlo mentre lui continuava a stare seduto sul Trono di Spade, e aspettai. Alla fine Jaime rise, si alzò e si tolse l’elmo. “Nessun timore, Stark” mi disse “stavo solo tenendolo in caldo per il tuo caro amico Robert. Ma temo che non lo troverà un sedile particolarmente comodo.”»

Il re gettò all’indietro il capo e scoppiò in una roboante risata. Spaventato dall’improvviso rumore, un nugolo di corvi si alzò in volo dall’alta erba scura, le ali che sbattevano caoticamente contro i resti della nebbia.

«E tu pensi che non dovrei fidarmi di Jaime Lannister perché si è stravaccato sul mio trono per qualche minuto?» Continuò a ridere. «Ma andiamo, Ned! Quel giorno Jaime Lannister aveva solo diciassette anni. Poco più che un ragazzo.»

«Ragazzo o uomo, non aveva alcun diritto di sedersi sul Trono di Spade.»

«Forse era stanco» commentò Robert. «Tagliare la gola a un re è un duro lavoro. E in quella maledetta sala non esiste altro posto per riposarsi se non quell’ancora più maledetto trono. Inoltre, Jaime disse il vero: il Trono di Spade è un sedile mostruosamente scomodo. In tutti i sensi.» Scosse il capo. «E va bene, ora che sono al corrente dell’oscuro peccato commesso da Jaime Lannister, possiamo perdonare e dimenticare. Ho la nausea di segreti, cospirazioni e affari di stato, Ned. È una noia anche peggiore del contar monete. Forza, facciamoci una bella cavalcata. Tu ricordi ancora come si fa a cavalcare, non è vero, Ned? Voglio tornare a sentire il vento nei capelli.»

Diede nuovamente di speroni, spingendo il cavallo al galoppo sul fianco dell’antica sepoltura, gli zoccoli che sollevavano fontane di terriccio frantumato.

Per un lungo momento, Ned non lo seguì. La sua vena di parole si era disseccata e cominciava a dubitare che ci fosse qualche altra cosa, al di là delle parole, che sarebbe servita. E così se lo domandò di nuovo: perché si trovava lì, perché aveva accettato di trovarsi lì? Lui non era Jon Arryn, in grado di arginare con la sua saggezza l’indole selvaggia del re. Robert avrebbe fatto ciò che voleva, come sempre. Nulla di quanto Ned avrebbe potuto dire o fare sarebbe riuscito a cambiare quella realtà.

Lui apparteneva a Grande Inverno, a Catelyn nel suo dolore, al piccolo Bran. Tuttavia non sempre un uomo può trovarsi nel luogo cui appartiene. Con fare rassegnato, Eddard Stark spronò il cavallo e seguì il suo re.

TYRION

Il Nord si dilatava senza fine.

Tyrion Lannister aveva visto le mappe, ma i giorni di marcia lungo le piste selvagge che dalla strada del Re li avevano condotti in quella desolazione raggelante gli avevano insegnato una dura lezione: le mappe sono una cosa, la terra è una cosa brutalmente diversa.

Avevano lasciato Grande Inverno lo stesso giorno del re, fendendo il caos del convoglio reale in partenza. Avevano varcato i portali della Prima Fortezza in mezzo a esili vortici di neve mentre attorno a loro echeggiavano le grida dei cavalieri e lo sbuffare dei cavalli, lo scricchiolare dei carri e il cigolare lamentoso delle ruote della mastodontica casa su ruote della regina. La strada del Re si dipanava poco fuori i limiti del castello e della città. Gli alfieri, i carri, i cavalieri e gli armigeri si erano diretti a sud, portandosi via il clamore. Tyrion era andato a nord assieme a Benjen Stark e a suo nipote.

Oltre quel punto, il freddo era aumentato e il silenzio si era fatto profondo.

A ovest della strada s’innalzavano colline di silice, grigie e aspre, con alte torri di guardia sulle cime rocciose. A est il territorio si allargava in una pianura estesa fino agli estremi limiti dell’orizzonte. Ponti di pietra scavalcavano fiumi stretti, dalla corrente impetuosa. Anelli di piccole fattorie circondavano fortini protetti da mura di pietra e di legno massiccio. La via rimaneva ben trafficata. Durante la notte, Tyrion, Benjen e gli altri sostavano in austere taverne.

Ma a tre giorni di marcia da Grande Inverno, fitti boschi presero il posto delle coltivazioni e la strada del Re si fece solitaria. Miglio dopo miglio, le colline di silice si facevano più alte e desolate. Il quinto giorno erano diventate montagne, freddi giganti di roccia di un colore grigio metallico con la neve che assediava i frastagliati acrocori di granito delle cime. E quando soffiava il vento del nord, lunghi pennacchi di cristalli di ghiaccio si gonfiavano come vessilli da quelle sommità.

Avendo la muraglia delle montagne a occidente, la strada del Re era costretta a continuare verso nord deviando a nord-est. Il suo tracciato si snodava nel cuore di una foresta di querce, abeti e rovi: il più vecchio e tenebroso labirinto di alberi che Tyrion avesse mai avuto occasione di vedere. “Foresta del lupo” l’aveva chiamata Benjen Stark: e i lupi erano là fuori, la notte vibrava dei loro ululati, alcuni branchi lontani, altri molto vicini. Le orecchie di Spettro, il meta-lupo albino di Jon Snow, si rizzavano alle voci ancestrali della notte, ma neppure una volta il suo ululato si levò in risposta. C’era qualcosa d’inquietante in quell’animale, pensava Tyrion.

Erano in otto, senza contare il lupo. Tyrion, come si confaceva a un Lannister, viaggiava con due uomini di scorta; Benjen Stark aveva con sé solamente il nipote bastardo più alcuni nuovi adepti per i Guardiani della notte. Quando si fermarono ai margini della Foresta del lupo per passare la notte nella protezione delle mura di un fortino tra gli alberi, venne a unirsi a loro Yoren, un altro membro della confraternita in nero. Era un uomo curvo, sinistro, i lineamenti celati dietro una barba nera come i suoi abiti. Dava l’impressione di essere resistente come una vecchia radice e duro come il basalto. Con lui c’erano un paio di giovani straccioni provenienti dalle Dita, i promontori rocciosi che si protendevano nell’oceano Orientale.

«Stupratori» si era limitato a definirli Yoren, gettando loro uno sguardo freddo.

Tyrion si era reso conto dei sottintesi. La vita sulla Barriera era molto dura, ma certamente preferibile alla castrazione.

Cinque uomini, tre ragazzi, un meta-lupo, venti cavalli, una gabbia di corvi data a Benjen Stark da maestro Luwin: decisamente una bizzarra compagnia per un viaggio sulla strada del Re, o su qualsiasi altra strada.

Tyrion si accorse che Jon Snow continuava a osservare Yoren e i suoi cupi compagni con un’espressione che assomigliava in modo preoccupante all’angoscia. Yoren aveva una spalla storta e si portava addosso un tanfo malsano. I suoi capelli e la sua barba erano appiccicosi di sporco rancido, pieni di pidocchi. Indossava abiti vecchi, malridotti, puzzolenti. Le sue due reclute, entrambe dall’aria idiota e crudele, puzzavano in modo anche peggiore.