Le due annate si erano affrontate nelle vastità dell’Altopiano, in mezzo a campi di grano dorato pronto per il raccolto. Sotto la carica combinata dei due re, l’esercito dei Targaryen si era frantumato ed era fuggito in disordine. La guerra di conquista della Casa Targaryen parve giunta alla fine, scrissero i cronisti. Ma si trattò solo di pochi momenti: poi Aegon e le sue sorelle scesero in campo.
La battaglia dell’Altopiano fu l’unica nella quale Meraxes, Vhaghar e Balerion vennero scatenati tutti assieme. In seguito, i cantastorie chiamarono quella battaglia Campo di fuoco.
Quasi quattromila uomini bruciarono vivi, tra loro anche re Mern dell’Altopiano. Re Loren di Lannister riuscì a scampare e a vivere abbastanza a lungo da arrendersi, giurare fedeltà alla Casa Targaryen e infine generare un figlio. Cosa della quale Tyrion Lannister gli era immensamente grato.
«Perché leggi così tanto?»
Tyrion alzò lo sguardo. Jon Snow era in piedi a qualche passo dalla vecchia quercia contorta e lo osservava pieno di curiosità.
«Guardami, ragazzo.» Tyrion chiuse il volume infilando l’indice tra le pagine per tenere il segno. «Guardami e dimmi quello che vedi.»
«Cosa sarebbe, una specie di trucco?» Lo sguardo di Jon era sospettoso. «Vedo te: Tyrion Lannister.»
«Sei sorprendentemente ben educato per un bastardo, Snow» sospirò il Folletto. «Quello che vedi è un nano. Quanti anni hai, dodici?»
«Quattordici.»
«Quattordici anni, e sei già più alto di quanto io potrò mai sperare di essere. Le mie gambe sono corte e storte. Cammino con difficoltà. Per evitare di cadere da cavallo, sono costretto a usare una sella speciale che io stesso ho ideato, forse t’interesserà sapere. L’alternativa era andare in giro in groppa a un pony. Le mie braccia sono abbastanza forti ma, di nuovo, troppo corte. Perciò non potrò mai essere uno spadaccino. Se fossi nato tra i bifolchi, mi avrebbero lasciato morire oppure venduto a un baraccone di fenomeni viventi. Purtroppo sono un Lannister di Castel Granito, e dove sono nato i fenomeni viventi sono di altro genere. Da me ci si aspettano grandi imprese. Mio padre Tywin è stato per vent’anni Primo Cavaliere del re. Più tardi mio fratello Jaime ha ucciso quel medesimo re. Le grandi imprese delle Case nobili, si sa, sono sempre piene di piccole ironie. Mia sorella Cersei ha sposato il nuovo re e quel mio repellente nipotino Joffrey sarà re dopo di lui. Devo fare anch’io la mia parte a maggior gloria della mia casata, non sei d’accordo, Jon Snow? Giusto, molto giusto. Ma fare la mia parte in che modo? Mettiamola così: ho le gambe troppo corte rispetto al corpo, e la testa è certamente troppo grossa. Io però preferisco pensare che è appena sufficiente per il mio cervello. Ho una visione quanto mai realistica sia delle mie debolezze sia dei miei punti di forza. Come arma, mio fratello ha la spada e re Robert la mazza da combattimento. Io ho la mente, e per continuare a essere un’arma valida, la mente ha bisogno dei libri quanto una spada ha bisogno della pietra per affilarla.» Il corto pollice di Tyrion picchiò ritmicamente sulla rilegatura di cuoio. «Per questo, Jon Snow, io leggo così tanto.»
Il ragazzo assorbì con attenzione le sue parole rimanendo in silenzio. Non ne portava il nome, ma il suo volto era quello degli Stark: lungo, solenne, guardingo. Un volto che non lasciava trasparire nulla. Chiunque fosse stata la madre, assai poco di lei era passato al figlio.
«Che cosa leggi?» chiese Jon.
«Draghi.»
«A che scopo? Non esistono più, i draghi» disse Jon con la sicurezza propria dell’adolescenza.
«Questo è quanto si dice» ribatté Tyrion. «Triste, non trovi? Quando avevo la tua età, sognavo di avere un drago tutto per me.»
«Sul serio?» Il tono di Jon era sospettoso, forse temeva che Tyrion stesse prendendosi gioco di lui.
«Molto sul serio. In groppa a un drago, perfino un ragazzino tutto storto e molto brutto può guardare il mondo dall’alto in basso.» Tyrion spinse da parte la pelle d’orso e si alzò. «Accendevo dei fuochi nei sotterranei di Castel Granito e rimanevo a guardare le fiamme per ore, facendo finta che fossero l’alito di un drago. Certe volte immaginavo che potessero incenerire mio padre. Altre volte mia sorella…»
Jon Snow continuava a fissarlo, e negli occhi aveva un misto di repulsione e d’incantamento.
«Non guardarmi a quel modo, bastardo» sogghignò il Folletto. «Io conosco il tuo segreto. Non dirmi che non hai avuto visioni simili.»
«No.» Jon Snow era inorridito. «Io non…»
«No? Mai?» Tyrion inarcò un sopracciglio. «Ma certo che no! Non c’è dubbio alcuno che gli Stark con te siano stati sempre incredibilmente buoni. E non c’è dubbio alcuno che lady Stark ti tratti proprio come uno degli altri suoi pargoletti. E anche tuo fratello Robb, sempre così gentile, giusto? E perché non dovrebbe? A lui Grande Inverno e a te la Barriera. Non dimentichiamo tuo padre. Deve certamente avere le sue ragioni per imballarti ben bene e spedirti ai Guardiani della notte.»
«Basta!» I lineamenti di Jon Snow era alterati dall’ira. «Quello dei Guardiani della notte è un nobile dovere!»
«Sei un tipo troppo sveglio per credere a una frottola del genere» rise Tyrion. «I Guardiani della notte sono il ricettacolo per la peggior feccia del regno. Credi che non abbia visto le occhiate che lanci a Yoren e ai suoi due baldi nuovi acquisti? Eccoli lì, i tuoi confratelli, Jon Snow. Che te ne pare, eh? Cafoni, debitori, bracconieri, stupratori, ladri… E bastardi come te. Tutti finiscono sulla Barriera, a fare la guardia agli elfi maligni e ai mostri-talpa dei quali ti ha riempito il cranio la tua balia. Solo che non esistono né elfi maligni né mostri-talpa. Peccato, vero? La notìzia buona è che i pericoli sulla Barriera sono rari, quella cattiva è che ti si ghiacciano le palle alla grande. Ma visto che nella confraternita non è concesso figliare, non è che avere o non avere palle efficienti faccia poi tanta differenza. Vero?»
«Ho detto basta!…»
Il ragazzo, mani strette a pugno, gola chiusa dalle lacrime, sembrava sul punto di saltargli addosso.
E d’un tratto, assurdamente, Tyrion si sentì in colpa. Fece un passo verso Jon, intenzionato a dargli una pacca rassicurante sulla spalla e a dire qualche parola di scusa.
Nemmeno si rese conto di ciò che gli arrivò addosso. Un momento stava muovendosi verso Snow, il momento dopo si ritrovò con la schiena contro le radici sporgenti della quercia, il libro sui draghi che volava chissà dove, senza fiato a causa del duro, improvviso impatto, la bocca piena di terriccio gelido e foghe marce e del sapore acre del sangue.
Il meta-lupo albino incombeva su di lui, gli occhi rossi fiammeggianti, il fiato rovente di cose ancestrali, selvagge, letali. Non l’aveva visto muoversi, non sapeva da dove fosse spuntato. Cercò di raddrizzarsi, mentre fitte di dolore gli percorrevano la schiena. Doveva averla picchiata malamente nella caduta. Digrignò i denti pieno di frustrazione, afferrò una radice e si mise seduto. Tese una mano verso Jon. «Aiutami…»
E di nuovo, il pallido lupo fu in mezzo a loro. Non ringhiò. Quel maledetto animale non emetteva mai il benché minimo suono. I suoi occhi simili a braci ardenti tornarono a scintillare nell’oscurità e con essi le arcuate zanne messe a nudo. Più che sufficiente per Tyrion della nobile Casa Lannister.
«Come non detto: non aiutarmi.» Abbandonò la schiena dolorante contro le radici. «Vorrà dire che me ne starò qui finché non te ne andrai.»
Adesso Jon Snow stava sorridendo. Accarezzò il pelo candido del meta-lupo. «Chiedimelo con gentilezza.»
Tyrion della nobile Casa Lannister sentì la rabbia aggrovigliarsi dentro di lui, ma la controllò con la forza della volontà. Non era la prima volta che subiva un’umiliazione, e non sarebbe stata l’ultima. Forse in questo caso se l’era meritata.