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— Posso aver fatto qualche piccola svista — ammise, in tono difensivo. — Non ho affatto una buona memoria, signor Dyson. Dimentico sempre le cose.

— Vorrei poterti dire che questa spiegazione è sufficiente, ma non è così — dissi. — Puoi fare degli errori e avere delle di­strazioni, ma essere comunque un genio. E poi c’è memoria e memoria. A quanto dicono lo stesso Einstein era capace di di­menticare l’ombrello e molto spesso usciva in pieno inverno senza soprabito.

Ebbi la sensazione che Bobby si rendesse conto di difendersi troppo emotivamente, perché, a questo punto, fece un brusco tentativo per rintuzzare la mia sfida svalutando la propria com­posizione in modo più generico.

— Ci ha chiesto d’immaginare quello che avremmo provato trovandoci a bordo di una nave spaziale diretta su Marte e che cosa avremmo visto all’arrivo. Senza voler essere “scientifico”, mi è sembrata una buona idea ricorrere alle foto prese dalla son­da marziana. Penso anche che avrebbero dovuto suscitare più scalpore di quanto non si sia verificato. Sotto un certo aspetto… la trasmissione di vere fotografie di un altro pianeta attraverso una distanza così enorme è una conquista che sta alla pari col prossimo sbarco sulla Luna.

Su questo punto ero d’accordo con lui. Tuttavia mi limitai a un cenno d’assenso, ed ero lì lì per ricordargli che non aveva rispo­sto alla mia domanda quando decisi invece di sfidarlo in modo più aperto.

— Bobby? — chiesi — perché l’hai fatto?

— Fatto cosa, signor Dyson?

— Perché hai cercato di farmi capire fino a che punto sei intel­ligente? So che capisci cosa voglio dire. In caso contrario… sa­rebbe inutile dilungarmi in spiegazioni.

Mi guardò per un momento in silenzio e io mi accorsi che il col­po era andato a segno. Una cosa è sapere che l’atteggiamento de­liberatamente adottato nei riguardi di un amico — o di un nemico — è stato giustamente interpretato, un’altra è constatare che que­sta consapevolezza viene usata come sfida verbale.

Capii che aveva infilato di nuovo i guantoni allorché disse: — Non sono poi così brillante, signor Dyson. No davvero.

— Non sono d’accordo — replicai — e sai cosa penso?

Fece per rispondere, ma io proseguii tanto in fretta che a lui non restò che fissarmi con occhi sempre più sfavillanti di antago­nismo. — Penso tu abbia paura che io scopra fino a che punto sei diverso dagli altri studenti e che questo mi prevenga nei tuoi con­fronti. Perciò non ti piace dare spiegazioni sui compiti di casa e quando ti interrogo in classe rispondi alle mie domande con po­che parole. Parli un po’ di più quando la tua curiosità prende il sopravvento e vuoi sapere se le mie idee collimano con le tue. Non riesci a trattenerti dal farlo, ma poi te ne penti. Riesco sem­pre a capire quando rimproveri te stesso perché ti sembra d’avere detto troppo.

Mi accorsi che era ancora ben deciso a non cedere di un palmo. Decisi, quindi, di compiere una piccola ritirata strategica. — Be’… lasciamo stare, per adesso. Ti ho chiamato per parlare del tema. Mi sembra che siamo d’accordo sul fatto che le tue conclu­sioni denotano vivace intelligenza e fantasia.

Il che era verissimo. Nelle ultime pagine aveva dato libero sfo­go all’immaginazione. Perché non incoraggiarlo a parlare libera­mente dell’ultima parte del componimento?

Stavo combattendo una piccola guerra psicologica con Bobby e se un insegnante vuole scoprire esattamente cosa pungola un allievo eccezionale nulla è più illuminante di un test associativo libero.

— Sicuramente tu sei andato un po’ oltre a quello che avevo in mente quando discutemmo il tema — dissi. — A quanto pare, per te Marte è un mondo totalmente morto e la vita quale noi la conosciamo non può mai essersi evoluta su un pianeta tanto simi­le alla Luna. Ma tu speculi sulla possibilità che possa esser servito da base per centinaia di migliaia d’anni, a dischi volanti originari di altri sistemi. Ma non puoi certo crederci. Prendere sul serio una simile possibilità…

— Non solo Marte — m’interruppe Bobby prima che potessi proseguire. — Anche Venere, e forse tutti gli altri pianeti. Que­sto, perlomeno, elimina uno degli ostacoli che impediscono a tanta gente di prendere sul serio i dischi volanti… in realtà si trat­ta dell’ostacolo maggiore. Potrebbero aver attraversato lo spazio fra stella e stella in un passato remoto e non essere costretti ad andare e tornare continuamente.

— Oppure sono appena arrivati — dissi.

— Sì… anche questo è possibile — concesse Bobby. — Ma co­munque sia, servendosi dei pianeti del sistema solare come base, avrebbero un sicuro punto d’appoggio.

— Ho detto che non ti rimprovero certo per aver dato libero sfogo alla fantasia, Bobby. Lo sviluppo del talento immaginativo è molto importante nei componimenti. Più avanti, ho intenzione di assegnarvi temi più scientifici per saggiare la vostra competen­za tecnologica nell’utilizzazione dei dati che vi fornirò… almeno in parte. Ma questa volta non ho badato se vi siete lasciati tra­sportare dalla fantasia. Però vedo che tu hai preso molto sul serio quelle fandonie sui dischi volanti… a quanto pare ci credi seria­mente, e questo mi turba un po’.

— Secondo lei sono tutte fandonie, signor Dyson? — ribatté. — Quasi tutti i giorni vengono segnalati avvistamenti di Ufo…

— E con questo? — chiesi. — Ci sono molte spiegazioni plau­sibili per quello che i testimoni oculari asseriscono d’avere visto. Sin da quando avevo la tua età, e anche meno, ho visto in cielo luci o forme luminose di tutti i generi. Non ho mai creduto che si trattasse di Ufo. Ci sono aurore boreali, rifrazioni di riflettori, ri­flessi dei fanali d’auto in corsa sulle nuvole basse… luci insomma che possono muoversi, apparire e sparire, ondeggiare e assumere forme ottiche di ogni genere, anche quelle che si attribuiscono ai dischi volanti.

— Ma c’è il caso di chi ha visto un insieme di Ufo che si muo­veva a velocità incredibile, in formazione di volo militare — dis­se Bobby. — E alcune fotografie, non molte, sono inconfutabi­li.

— Fino a che punto, Bobby? Dimentichi come sia facile foto­grafare. Le esposizioni doppie hanno una facoltà quasi miracolo­sa di mostrarci fantasmi che fanno capolino dietro la spalla di qualcuno. È capitato anche a me di scattare l’istantanea di qual­che gruppo di amici e poi dimenticare di avvolgere la pellicola, col risultato che ognuna delle persone ritratte aveva un doppio astrale. Se si tratta poi di fotografie di paesaggi, la cosa è più faci­le e dà risultati ancora più sorprendenti — aggiunsi, nella speran­za di trascinarlo in una discussione che scoprisse le sue difese. — Servendosi di filtri speciali e giocando sulle luci e sulle ombre si può rendere spettrale e misterioso qualsiasi angolo campestre, con strane luci in cielo. Quello che mi sorprende, piuttosto, è il modo grossolano con cui sono state contraffatte fotografie di di­schi volanti. In molte di queste i cosiddetti Ufo non sono che stu­pidi puntini luminosi sparpagliati nel cielo.

— È impossibile truccare una foto che riesca a superare un’approfondita analisi tecnica — disse Bobby, e io sapevo, natural­mente, che aveva ragione. — Una semplice doppia esposizione non ingannerebbe nessuno, tantomeno un esperto.

— Spero che tu non creda negli ometti verdi, Bobby — dissi.

— Non si vede perché debbano essere piccoli e verdi — ri­spose.

Era, in pratica, un’ammissione che lui prendeva sul serio tutta la faccenda. Non avevo previsto che si spingesse tanto oltre, e per un momento non seppi cosa dire.