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«Per me ci sto» disse Carver, con un’alzata di spalle.

Risalirono la strada. Carver indicò un locale dall’aria allegra, vivacemente illuminato, ma Harris crollò il capo. «Troppo rumore lì. Andiamo in un posto più tranquillo.»

Voltarono l’angolo e imboccarono una stradina laterale. In fondo, un’insegna ammiccante indicava un bar. Si diressero lì. Un autobar pensò Harris. Quello che ci vuole.

Entrarono.

Il locale era vuoto. Si trovarono di fronte i banchi lucenti dei congegni di controllo. Mentre attraversavano la soglia, una voce tonante gridò, da una griglia sopra la loro testa: «Il cambio è disponibile alla vostra sinistra. Cambiamo ogni valore, di qualsiasi moneta a corso legale. Il cambio è disponibile…»

«E va bene!» sbottò Carver. «Abbiamo sentito!»

La voce del robot si spense. Harris prese una banconota terrestre e la posò sulla piastra della macchina del cambio. Una pioggia di monetine precipitò, tintinnando.

«Che cosa mi consigliate, stavolta?» chiese.

Carver si strinse nelle spalle. «C’è un whisky terrestre che chiamano scotch. Molto antico. Provatelo.»

Harris infilò una moneta nella fessura, aspettò, prese il drink. Ne porse uno a Carver, quindi sedettero a un tavolino. Il vuoto e la solitudine del bar avevano qualcosa di arcano. Unico rumore, lo scatto dei relais dietro la facciata delle macchine e il ronfare in sordina dei complicati meccanismi.

Harris mandò giù il liquore tanto in fretta che ne sentì appena il gusto.

«Ho chiesto che vengano aumentate le nostre forze sulla Terra» disse Carver. «Finora non ho ricevuto risposta, ma credo che tra un mese sapremo qualcosa. Mi servono altri cinquanta agenti addestrati, come inizio.»

«Credete che ce li mandino?»

«Sapete com’è. Si chiede cinquanta per ottenere venticinque. Se avessi chiesto venti, avrei ottenuto cinque. Si direbbe che la Terra non sia importante, per loro.» Gli piazzò il bicchiere vuoto davanti e disse: «Vi spiace andare a prendermi un altro drink?»

«Certo.»

Harris si allontanò e raggiunse il mobiletto di controllo. Così venne a trovarsi a oltre un metro da Carver, la distanza giusta per il subsonico. Inspirò profondamente, si voltò e attivò il generatore che aveva nel fianco.

«Cosa…» cominciò a dire Carver. E cadde riverso sul tavolo, mentre il bicchiere vuoto rotolava sul pavimento.

È il momento buono pensò Harris.

Il cuore gli batteva all’impazzata. La sua mano sparì nella tasca, le dita si contrassero sul piccolo calcio freddo dell’annientatore. In quel locale deserto poteva tirare il grilletto e finire Carver in un attimo…

Udì uno scatto alle sue spalle. Uno sportello si aprì verso l’interno e una strana creatura meccanica uscì dalle viscere dell’autobar.

Dalla griglia che stava sopra la sua testa, la voce disse: «Servire bevande alcoliche a chi è già ubriaco è contro le leggi federali. Servire bevande alcoliche a chi è già ubriaco è contro le leggi federali. Servire…»

Il robot si diresse verso la figura inerte di Carver. Era alto oltre un metro, con una testa tonda e lucente, due braccia telescopiche estensibili che sbucavano dai recessi del torace. Attraversò il locale, sempre muovendosi su due ruote, e, mentre Harris lo guardava a bocca aperta, allibito, circondò con le braccia il darruuese privo di conoscenza, lo sollevò senza sforzo e uscì in un vicolo adiacente. Un attimo dopo tornò solo.

Ma certo! pensò Harris. Un automa buttafuori! Tiene d’occhio i clienti, si assicura che chi beve non perda la testa e leva dai piedi chi ha preso una sbronza!

Il piccolo robot scomparve di nuovo dietro lo sportello, che si richiuse immediatamente. La voce dell’altoparlante si spense. Harris mandò giù d’un fiato il suo liquore e si precipitò nel vicolo.

Carver giaceva bocconi sul marciapiede. L’effetto del subsonico cominciava a dileguarsi. L’uomo gemette, si agitò, socchiuse gli occhi.

Questa è l’occasione buona per ucciderlo disse la voce nel cervello di Harris.

La sua mano si contrasse sull’annientatore, per la seconda volta. Lì, in quel vicolo buio, una rapida scarica di energia fulminante e tutto sarebbe finito.

Non ebbe la forza di farlo.

Tutto il suo corpo tremò e si scosse come un albero al vento. Correnti incrociate di desideri contrastanti lo straziarono.

Chiuse gli occhi e vide Darruu splendere nella nebbia purpurea. Vide la processione annuale dei Servi dello Spirito, ciascuno con la sua candela, udì il canto malinconico, la preghiera portata sulle ali della brezza. «Noi siamo una sacra confraternita. E uccidere…»

Non poteva.

Impossibile.

Esitò, tremò, si tese tutto. Lottò contro se stesso per costringersi a puntare l’arma, a tirare il grilletto, a bruciare la vita nell’uomo in stato d’incoscienza che giaceva ai suoi piedi.

Carver gemette.

Una volta ancora Harris vide i mostri contorcersi nella mente dell’altro. Tentacoli sottili spuntavano dal limo ribollente.

Lacrime roventi sgorgarono dagli occhi di Harris. Cercò un’ultima volta di puntare l’annientatore e fallì. Carver si mosse di nuovo.

Harris si voltò e fuggì.

11

Mormorii di scherno lo inseguirono mentre correva lungo il vicolo. Codardo, traditore, sciocco, debole… era tutto questo e qualcosa di più. Ma no. Si disse che non era stato pronto, che non era ancora arrivato al punto da poter troncare l’esistenza di un Servo dello Spirito. Forse se avesse mandato giù un altro whisky…

Ma che razza di coraggio è mai questo? si chiese, mentre sboccava in una strada affollata e bene illuminata. Terrorizzato, continuò a correre per qualche metro, poi si fermò, accorgendosi di attrarre l’attenzione.

TRE GRANDI SOLDATI TRE! Annunciava un’insegna luminosa. C’era una coda di gente davanti al teatro. Lui si mise in fila. Sbirciò all’indietro, temendo di scorgere Carver furibondo che usciva dal vicolo, ma Carver non comparve. La fila si mosse lentamente verso lo sportello dei biglietti. C’erano solo quattro persone davanti a lui, ora. Tre, due, una…

Dietro lo sportello non c’era nessun impiegato. Una macchina lucente lo fissò di rimando e una voce uscì dalla griglia dell’altoparlante: «Quanti biglietti? Mezza unità l’uno. Quanti biglietti?»

Harris guardò, a bocca aperta. Le parole non avevano significato, per lui.

«Non capisco» mormorò. E si accorse di avere parlato in darruuese. Qualcuno in fondo alla coda protestò, impaziente. Una voce appena dietro a lui disse: «Che cosa c’è, maggiore?»

«Io… Sono stato lontano dalla Terra per tanti anni…» ansimò Harris.

«Basta che diate alla macchina il denaro. Mezza unità per biglietto, è tutto.»

Harris si cercò in tasca la banconota e la diede al robot, che lo ricambiò con un biglietto. Lui l’afferrò e si affrettò a sparire nel buio nel teatro.

«Il vostro resto, maggiore!» gridò qualcuno alle sue spalle.

Ma lui non si fermò.

Cercò una poltroncina. Era morbida, calda, abbracciava tutto il corpo. Si sentiva come se fosse tornato nuovamente nel grembo materno. Alzò gli occhi e vide lo schermo illuminato riempire un arco enorme davanti e sopra la sua testa. Vide figure muoversi, sentì pronunciare molte parole.

Ma non capiva.

Se ne stava lì, irrigidito dal terrore, guardando le immagini tridimensionali senza senso agitarsi sulla scena. Poco a poco quella paura cieca si calmò. Le parole ricominciarono ad avere un senso. Era una trama assurda, piena di violenze e di assassinii, che lo interessava ben poco, ma gradualmente cominciò a immedesimarsi nella storia, fino a che la seguì con tutta l’attenzione.