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Patterson stava prendendo di nuovo la mira.

Lui si gettò in ginocchio. E continuò a trascinarsi sul pavimento.

Contorcendosi grottescamente, riuscì a raggiungere col braccio destro il fianco sinistro e ad attivare il subsonico. Nello stesso istante Patterson sparò. Ma ormai stava perdendo conoscenza e mancò il bersaglio. Il proiettile andò a conficcarsi nella parete.

Harris premette più forte vibrando tutto per il contraccolpo delle onde subsoniche. Vide i cinque crollare.

Patterson, Reynolds, Tompkins, McDermott, Carver. Scivolarono a terra e rimasero lì, uno sopra l’altro. Harris si alzò in piedi, lentamente, dolorosamente. Si guardò il petto e vide il sangue fluire attraverso la camicia forata, scorse i brandelli di carne e le schegge di ossa. Sei centimetri più a destra, e la pallottola gli avrebbe attraversato il torace e spaccato il cuore a metà.

Fissò ancora i cinque senza conoscenza. Cinque Darruuesi travestiti da Terrestri. Cinque Servi dello Spirito.

Estrasse l’annientatore.

Lo tenne un attimo in mano. Già un’altra volta quella sera aveva avuto potere di vita o di morte su un suo compatriota. Allora era Carver soltanto, e lui non aveva avuto il coraggio di azionare il raggio fatale. Adesso aveva una seconda occasione, e non si trattava più solo di Carver, ma anche degli altri quattro agenti.

Aspettò. Aveva bisogno di una parola d’incoraggiamento da parte del mutante invisibile, non ancora nato, che ormai guidava le sue azioni. Ma la parola non venne.

Era completamente solo.

Il dolore lo faceva impazzire. Guardò l’arma che teneva in mano. Così piccola, così terribile. Staccò la sicura, puntò la canna contro Carver, inspirò profondamente e tirò il grilletto. Un lampo di energia bluastra avviluppò Carver. L’uomo fu scosso da un tremito convulso, poi si abbandonò, immobile.

Harris si voltò verso Reynolds, puntò l’arma contro la figura corpulenta e tirò di nuovo il grilletto.

Poi Tompkins.

McDermott.

Patterson.

Cinque. Cinque Darruuesi. Cinque Servi dello Spirito.

Tutti morti, tutti per sua mano.

Il dolore alla spalla divenne all’improvviso insopportabile. Distolse lo sguardo dai cadaveri, si ficcò in tasca la pistola e barcollò disperatamente verso la porta. Cadde a faccia in giù dopo pochi passi, e rimase lì, pensando che era ridicolo non riuscire ad alzarsi, assurdo morire dissanguato davanti alle sue vittime.

Ma almeno aveva fatto quello che doveva fare.

Bravo disse la voce nella sua mente, rompendo un silenzio di ore. Non ci eravamo sbagliati sul vostro conto. Meritavate la nostra fiducia.

Harris ebbe uno strano sorriso e cercò di alzarsi in piedi. Il dolore era troppo acuto. Ma la voce disse: Non sentirete più dolore.

Le fitte sparirono.

Alzatevi.

Harris si alzò, facendo appello a tutte le sue forze.

Venite avanti, ora. Uscite di lì. Venite da noi, e vi guariremo. C’è altro lavoro da fare, ci sono altri nemici da eliminare. Avete appena cominciato.

Percorse il corridoio, sempre barcollando e inciampando. Non soffriva più, ma era ancora intontito e sanguinante. Ora i nervi cominciavano a cedere. Aveva ucciso cinque suoi compatrioti. Era andato sulla Terra per compiere una missione, una missione a cui era obbligato da un vincolo sacro, e si era comportato peggio di un traditore, non solo verso Darruu, ma verso l’intera galassia.

Si era messo dalla parte dei Terrestri, di cui vestiva le sembianze esteriori. Dei nuovi Terrestri. Aveva offerto il suo aiuto alla sorridente ragazza bionda, che nel ventre nascondeva il futuro della galassia, dell’Universo intero.

Un’altra ondata di vertigini lo colse mentre raggiungeva la porta principale dell’ufficio. Si fermò un attimo, aggrappandosi allo stipite, poi uscì lentamente, con passo misurato, senza voltarsi indietro per guardare i cinque cadaveri sparsi sul pavimento.

La polizia sarebbe rimasta perplessa, davanti ai risultati dell’autopsia: corpi Darruuesi sotto similpelle terrestre.

Arrivò all’ascensore, entrò, premette il pulsante per il pianterreno. Rollando e sobbalzando paurosamente, la vecchia cabina scese. Lui aspettò un attimo nell’atrio dell’edificio, lottando contro la nausea che lo assaliva. Uscì nella notte tiepida.

Guardò su, in alto, verso il cielo, verso le stelle.

Erano sparse come diamanti vivi su un drappo nero. E lui sapeva che in un punto imprecisato, perduto in quello splendore, c’era Darruu. Avvolto nella sua nebbia purpurea, incoronato dalle sette lune.

Ricordò l’Accoppiamento delle Lune, come lo aveva visto l’ultima volta: uno spettacolo di estrema bellezza, un avvenimento lungamente atteso che lasciava allibiti. E le risate intorno alla tavola imbandita, i canti, gli inni di gloria allo splendore dei cieli.

Sapeva che non avrebbe mai più rivisto l’Accoppiamento delle Lune.

Non poteva tornare a Darruu, ora. E mai. Forse.

Un vuoto strano gli crebbe dentro. Si sentiva completamente isolato, un darruuese senza Darruu; un uomo senza mondo. Mentre se ne stava lì, solo, nella notte, un elicottero gli volteggiò sopra la testa e si posò sulla strada. La testa di una ragazza si sporse.

«Abner!» gridò Beth. «Abner, venite! Come state? Vi estrarremo il proiettile.»

Lui non rispose. Si diresse con passo incerto verso l’elicottero, poi si fermò. Ancora guardò le stelle.

Il cielo radioso sembrava respingerlo sdegnosamente.

Si disse che non sarebbe tornato a casa mai più. Sarebbe rimasto lì, sulla Terra, a servire una razza di semidei nella loro difficile infanzia. Doveva troncare tutti i legami col passato. Forse sarebbe riuscito a scordare che sotto la pelle del maggiore Harris stavano il corpo e la mente dolorante di Aar Khiilom, già Servo dello Spirito.

Dimenticate Darruu.

Dimentica la fragranza degli alberi di jasaar si disse, dimentica lo splendore delle lune, dimentica il gusto del vino nuovo, dimentica i baci delle fanciulle.

Anche sulla Terra ci sono alberi che odorano con dolcezza, c’è la Luna pallida sospesa nel cielo notturno, ci sono fanciulle con labbra compiacenti. Bando alla nostalgia ordinò a se stesso, severamente.

Dimenticate Darruu.

Non sarebbe stato facile.

Ancora guardò le stelle, cercando di attirarle a sé.

«Abner, venite!» lo chiamò Beth dall’elitassì.

Lui annuì, da lontano.

Ora pensò, il mio pianeta si chiama Terra.

Terra.

Lanciò un’ultima occhiata al cielo stellato. Mentre si rimetteva in cammino, si chiese per l’ultima volta quale di quei puntolini lucenti fosse Darruu. Scosse la testa. Darruu non aveva più importanza, ormai.

Sorridendo, Aar Khiilom-Abner Harris distolse lo sguardo dalle stelle.

FINE