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Un secondo prima di mollare la presa, lei esercitò una piccola pressione (leggera ma troppo forte per essere uno scherzo), e poi fu di nuovo al braccio di Myshtigo e riprendemmo a camminare. Be’, le donne non mi schiaffeggiano mai perché io porgo sempre l’altra guancia e loro hanno paura del fungo, e immagino che quindi una breve stretta alla gola sia l’unica alternativa.

— Paurosamente interessante — disse Parrucca Rossa. — Mi sentivo strana. Come se dentro di me qualcosa stesse danzando con loro. Era una strana sensazione. Ballare non mi piace proprio; no, non mi piace nessun tipo di ballo.

— Che razza d’accento hai? — l’interruppi. — Sono anni che cerco d’identificarlo.

— Non so — disse. — Sono un misto d’irlandese e francese. Sono vissuta nelle Ebridi, e anche in Giappone, e in Australia, fino a diciannove anni…

Hasan rantolò proprio allora e mosse i muscoli e io sentii un notevole dolore nella spalla.

Lo adagiai per terra e gli diedi una frugatina. Trovai due coltelli da lancio, un altro stiletto, un elegantissimo coltello gravitazionale, un pugnale seghettato, lacci da strangolamento, e una cassettina di metallo contenente diversi veleni e fialette di liquido che non desideravo studiare troppo da vicino. Mi piaceva il coltello gravitazionale, così lo tenni per me. Era un Coricama e molto elegante.

Il giorno dopo sul tardi (di sera, se volete) andai a raccogliere il vecchio Phil, ben deciso ad usarlo come permesso d’ingresso all’appartamento di Dos Santos al Royal. La Radpol riverisce ancora Phil come una specie di Tom Paine Ritornista, anche se lui ha cominciato a fare l’innocente circa mezzo secolo fa, quando s’è buttato nel misticismo e nella rispettabilità. D’accordo che Il Richiamo della Terra è probabilmente la miglior cosa che abbia mai scritto; ma è stato lui a buttare giù gli Articoli del Ritorno, che hanno fatto nascere tutti i disordini che volevo. Adesso può anche fare il santerellino, ma a quell’epoca era un gran fomentatore d’agitazioni, e sono sicuro che si mette da parte tutti gli sguardi adoranti e le parole d’ammirazione che quel passato gli procura ancora, li tira fuori ogni tanto, se li spolvera, e li considera con qualcosa di molto simile al piacere.

Oltre a Phil mi portai anche un pretesto: volevo vedere come stava Hasan dopo la gran botta che aveva ricevuto all’hounfor. In realtà quella che cercavo era la possibilità di parlare con Hasan e scoprire quanto voleva dirmi dei suoi ultimi lavori; ammesso che volesse dirmi qualcosa.

Così Phil ed io ci facemmo una passeggiata. Non c’era molto tra l’Ufficio e il Royal: sette minuti, ad andatura moderata.

— Non hai ancora finito di scrivere la mia elegia? — chiesi.

— Ci sto ancora lavorando.

— Sono vent’anni che mi dici la stessa cosa. Vorrei che ti sbrigassi un po’ per poterla leggere.

— Te ne potrei mostrare alcune molto belle… Quella di Lorel, di George, persino una per Dos Santos. E ho diversi stereotipi, roba da riempire all’ultimo momento, per personaggi meno notevoli. Ma la tua è un problema.

— Diavolo! Perché?

— Devo continuare ad aggiornarla. Tu sei un bisonte, vai sempre avanti, vivi, fai delle cose.

— Mi disapprovi?

— La maggior parte della gente ha la decenza di fare qualcosa per una cinquantina d’anni, e poi se ne sta tranquilla. Le loro elegie non presentano problemi. Ne ho a quintali. Ma temo che la tua sarà completa solo all’ultimo minuto, e con un finale confuso. Non mi piace lavorare in queste condizioni. Preferisco avere a disposizione un’ordinata sequenza d’anni, poter valutare accuratamente la vita d’una persona, e senza fretta. Voialtri che vivete le vostre vite come personaggi da ballata mi mettete nei guai. Credo tu stia cercando di costringermi a scriverti un poema epico, ma io sono troppo vecchio per cose del genere. A volte mi addormento sul foglio.

— Penso che tu sia un po’ scortese nei miei riguardi — replicai. — Gli altri hanno tutti la loro elegia, e personalmente m’accontenterei anche d’un paio di buoni versi.

— Be’, ho la sensazione che la tua sarà finita tra non molto — mi confidò. — Cercherò d’inviartene una copia in tempo.

— Oh? Da dove fiorisce questa sensazione?

— Chi può isolare la fonte d’un’ispirazione?

— Sei tu che me lo devi dire.

— Mi è venuta mentre meditavo. Stavo componendone una per il vegano (per puro esercizio, s’intende) e mi sono trovato a pensare: «Presto finirò quella del greco». — Dopo un momento, continuò: — Concettualizza questa cosa: tu visto come due persone distinte, una più alta dell’altra.

— Sarebbe possibile se me ne stessi di fronte ad uno specchio e spostassi in continuazione il mio peso da un piede all’altro. Ho questa gamba più corta. Dunque, sto concettualizzando. E adesso?

— Nulla. Non t’avvicini a queste cose nel modo dovuto.

— È una tradizione culturale contro cui non sono stato mai immunizzato a dovere. Nodi, cavalli: Gordia, Troia. Lo sai. Siamo furtivi, insinuanti.

Lui rimase in silenzio per i dieci passi seguenti.

— Ala o piombo? — gli chiesi.

— Prego?

— È l’indovinello del kallikanzaros. Scegli.

— Ala?

— Hai sbagliato.

— Se avessi detto piombo…?

— Uh-uh. Hai un solo colpo a disposizione. La risposta esatta è quella che vuole il kallikanzaros. Hai perso.

— Mi sembra un poco arbitrario.

— I Kallikanzaroi sono fatti così. Sottigliezza greca, diversa da quella orientale. Ma anche meno imperscrutabile. Perché spesso la tua vita dipende dalla risposta, e il kallikanzaros in genere vuole che tu perda.

— Perché mai?

— Chiedilo al prossimo kallikanzaros che incontri, se ne hai la possibilità. Sono spiriti spregevoli.

Infilammo la strada giusta, svoltando al primo angolo.

— Cos’è questo improvviso ritorno d’interesse per la Radpol? — mi chiese. — È un pezzo che l’hai abbandonata.

— Me ne sono andato al momento opportuno, e l’unico interesse che ho attualmente è di sapere se sta ritornando in vita. Come ai vecchi giorni. Hasan viene stimato molto perché esegue sempre i suoi incarichi, e io voglio sapere cosa bolle in pentola questa volta.

— Hai paura che ti abbiano scoperto?

— No. Sarebbe una cosa spiacevole, ma dubito che potrebbe paralizzarmi del tutto.

Il Royal ci si presentò davanti, ed entrammo. Ci dirigemmo direttamente all’appartamento. Mentre percorrevamo il corridoio coperto di tappeti Phil osservò, in un lampo di autocritica: — Sto di nuovo ficcanasando, eh?

— Già.

— Okay. Scommetto uno a dieci che non scoprirai un accidente.

— Non accetto. È probabile che tu abbia ragione.

Bussai alla porta di legno scuro.

— C’è nessuno? — chiesi, mentre la porta si apriva.

— Avanti, avanti.

Ed eravamo dentro.

Mi ci vollero dieci minuti per portare la conversazione sulla deplorevole botta presa dal Beduino, dato che lì c’era anche Parrucca Rossa che continuava a distraimi per il semplice fatto di esserci.

— Buon mattino — salutò lei.

— Buonasera — replicai.

— Niente di nuovo nelle Arti?

— No.

— Monumenti?

— No.

— Archivi?

— No.

— Come dev’essere interessante il tuo lavoro!

— Oh, è stato pubblicizzato e valorizzato in maniera assolutamente falsa da certi romantici dell’Ufficio Informazioni. In realtà non facciamo altro che localizzare, riparare e conservare i dati e le costruzioni che l’umanità ha lasciato sulla faccia della Terra.