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Dopo una decina di chilometri eravamo spossati. Sapevamo di non poter resistere ancora molto senza un po’ di riposo, così tenemmo gli occhi ben aperti per vedere di scovare un posto sicuro dove dormire.

Alla fine riconobbi un’erta collina rocciosa dove avevo portato le pecore, da ragazzo. La piccola grotta da pecoraio, a tre quarti circa di strada sulla salita, era asciutta e vuota. La porta in legno che la chiudeva era ormai marcita, ma funzionava ancora. Prendemmo un po’ d’erba pulita per farci da letto, ci assicurammo che la porta fosse ben chiusa e ci coricammo. Dopo un momento, Hasan stava già russando. La mia mente vagabondò per un secondo prima di partire, e in quel secondo seppi che di tutti i maggiori piaceri (un bicchiere d’acqua fresca quando siete assetati, un po’ di liquore quando non lo siete, il sesso, una sigaretta dopo molti giorni d’astinenza, nessuno è paragonabile al sonno.

Il sonno li batte tutti…

Potrei dire che se il nostro gruppo avesse preso la strada più lunga da Lamia a Volos, quella che corre lungo la costa, tutta quanta la faccenda non sarebbe mai successa, e oggi Phil sarebbe ancora vivo. Ma non posso proprio giudicare quello che accadde in quei giorni; anche adesso, guardando indietro, non capisco come ridisporrei gli eventi se dovessi rifare tutto da capo. Le forze della distruzione finale avanzavano col passo dell’oca tra le rovine, le braccia alzate…

Nel pomeriggio seguente arrivammo a Volos, e poi sul Monte Pelion fino a Portaria. Dall’altra parte d’un burrone stava Makrynitsa.

Lo attraversammo e trovammo gli altri.

Phil li aveva guidati a Makrynitsa, aveva chiesto una bottiglia di vino e la sua copia del Prometeo Liberato, ed era andato a letto verso le due, a notte fonda.

La mattina Diane l’aveva trovato, sorridente e freddo.

Gli costruii una pira tra i cedri, vicino alle rovine del Vescovado, perché non voleva essere sepolto. La cosparsi d’incenso, d’erbe aromatiche, ed era alta il doppio d’un uomo. Quella notte sarebbe bruciata, e io avrei detto addio ad un altro amico. Sembra, guardando indietro, che la mia vita sia stata tutta una serie d’arrivi e partenze. Dico: «Ciao». Dico: «Addio». Solo la Terra resiste… All’inferno.

Così, nel pomeriggio, feci una passeggiata col gruppo fino a Pegase, il porto dell’antica Iolkos, situato sul promontorio opposto a Volos. Ci fermammo all’ombra degli alberi di mandorlo, sulla collina che s’affaccia sul mare e offre anche la vista delle montagne intorno.

— È da qui che sono partiti gli Argonauti in cerca del Vello d’Oro — dissi a nessuno in particolare.

— Chi erano? — chiese Ellen. — Ho letto la storia quando andavo a scuola, ma l’ho dimenticata.

— C’erano Eracle e Teseo e Orfeo il cantore, e Asclepio, e i figli del Vento del Nord, e Giasone, il capitano, che era un pupillo del centauro Chirone, la cui grotta, incidentalmente, si trova qui vicino, sulla cima del monte Pelion.

— Davvero?

— Te la mostrerò, una volta o l’altra.

— D’accordo.

— Da queste parti hanno combattuto anche gli dèi e i Titani — disse Diane, giungendomi a fianco. — Non è vero che i Titani hanno sradicato il Monte Pelion e l’hanno infilato sopra Ossa, per scalare l’Olimpo?

— Così dice la leggenda. Ma gli dèi erano buoni, e hanno rimesso a posto il paesaggio dopo la terribile battaglia.

— Un’imbarcazione — disse Hasan, indicandola con un’arancia mezza sbucciata che stringeva in mano.

Scrutai le acque, e vidi un puntino muoversi contro l’orizzonte.

— Sì. Usano ancora questo posto come porto.

— Forse è una nave d’eroi — disse Ellen, — che torna con dell’altro vello. Ma cosa se ne faranno, poi, di tanto vello?

— Non è il vello che è importante — ribatté Parrucca Rossa — ma il modo di procurarselo. Qualsiasi cantastorie lo sa. Le donne possono sempre ricavare dei maglioni dal vello avanzato. Ormai sono abituate a darsi da fare con gli scarti.

— Non s’intonerebbe ai tuoi capelli, cara.

— Nemmeno ai tuoi, figliola.

— Potrei tingerli. Non tanto facilmente come i tuoi, ovviamente…

— Lungo la strada — dissi, ad alta voce, — ci sono le rovine d’una chiesa bizantina, il Vescovado, che ho programmato di far restaurare entro due anni. La tradizione dice che lì si sono celebrate le nozze tra Peleo, un altro degli Argonauti, e la ninfa marina Teti. Forse conoscete la storia di quella cerimonia? Furono invitati tutti tranne la dea della discordia, ma lei intervenì ugualmente, lasciando come ricordo una mela d’oro con la scritta «Per la Più Bella». Paride ritenne di doverla assegnare ad Afrodite, e il destino di Troia fu segnato. L’ultima volta che Paride fu visto in giro, non era per niente allegro. Ah, che decisione! Come ho spesso detto, questa terra è piena di miti.

— Quanto tempo ci fermeremo qui? — chiese Ellen.

— Mi piacerebbe passare un altro paio di giorni a Makrynitsa — risposi, — poi ci dirigeremo a nord. Diciamo ancora una settimana in Grecia, e poi saremo a Roma.

— No — disse Myshtigo, che era rimasto seduto su una roccia a parlare nel suo registratore e fissare il mare. — No, il viaggio è finito. Questa è l’ultima sosta.

— Perché mai?

— Sono soddisfatto e voglio tornare a casa.

— E il suo libro?

— Ho la storia che volevo.

— Che specie di storia?

— Le manderò una copia autografata, appena l’avrò finito. Il mio tempo è prezioso, e adesso ho tutto il materiale che voglio. Tutto quello che mi sarà necessario, comunque. Stamattina ho chiamato il Porto, e stanotte mi manderanno una Lancia. Voialtri andate pure avanti e fate quello che volete, ma io ho finito.

— C’è qualcosa che non va?

— No, va tutto bene, ma è tempo che io parta. Ho molto da fare.

Si alzò in piedi e si stirò.

— Devo preparare i bagagli, per cui tornerò indietro subito. Comunque il suo paese è molto bello, Conrad. Ci vediamo a cena.

S’allontanò e prese a discendere la collina.

Feci qualche passo nella sua direzione, osservandolo sparire.

— Mi chiedo cosa lo abbia spinto a prendere questa decisione — pensai ad alta voce.

Si udì un rumore di passi che s’avvicinavano.

— Sta morendo — disse George, dolcemente.

Mio figlio Giasone, che ci aveva preceduti di parecchi giorni, se n’era andato. I vicini avevano preso a parlare della sua partenza per l’Ade avvenuta la sera prima. Il patriarca era sparito sulla schiena d’un cagnaccio dagli occhi di brace, che aveva abbattuto la porta della sua abitazione ed era scomparso con lui nella notte. I miei parenti volevano tutti che mi fermassi a mangiare. Dos Santos continuava a riposare: George gli aveva curato le ferite, e non aveva ritenuto necessario ricoverarlo all’ospedale di Atene.

È sempre piacevole tornare a casa.

Scesi giù nella Piazza e passai il pomeriggio a parlare coi miei discendenti. Avevo voglia di raccontar loro di Taler, di Haiti, di Atene? Sì, avevo voglia, e lo feci. Avevano voglia di raccontarmi i fatti successi a Makrynitsa durante la mia assenza? E anche loro mi accontentarono.

Poi portai qualche fiore al cimitero, mi fermai un poco, e andai a casa di Giasone e gli riparai la porta con certi attrezzi che trovai nel ripostiglio. M’imbattei in una bottiglia del suo vino e lo bevvi tutto. E fumai un sigaro. Mi feci anche un bricco di caffè, e lo scolai tutto.

Ma mi sentivo ancora depresso.

Non sapevo cosa stava succedendo.