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Mi spiace di non essere mai riuscito a finire la tua elegia, e maledizione a te per esserti tenuto la mia Lara, quella volta a Kerch!

PHIL

Molto bene, dunque, decisi: vita, non morte, per il vegano. Phil aveva parlato, e io non mettevo in dubbio la sua parola.

Tornai al tavolo dell’albergo di Mikar Korones e restai con Myshtigo finché non fu pronto a partire. Lo riaccompagnai in camera e lo osservai sistemare le ultime cose. Durante tutto questo tempo scambiammo sì e no sei parole.

Trasportammo i suoi bagagli nel posto dove sarebbe atterrata la Lancia, di fronte all’edificio. Prima che gli altri (Hasan compreso) arrivassero a dirgli arrivederci, si girò verso di me e disse: — Mi dica, Conrad, perché sta buttando giù la piramide?

— Per fare un dispetto a Vega — risposi. — Per farvi sapere che se volete questo posto e riuscite a strapparcelo, lo troverete anche peggio di quanto non fosse dopo i Tre Giorni. Non ci sarà più nulla da guardare. Bruceremo quello che resta della nostra storia. Nemmeno un bel rottame, per voialtri.

Dai suoi polmoni uscì un robusto soffio d’aria, una specie di mugolio sibilante: l’equivalente vegano d’un sospiro.

— Lodevole, suppongo — disse, — ma non voglio vederlo. Pensa di poterla mai rimettere assieme? Presto, magari?

— Lei cosa pensa?

— Ho notato che i suoi uomini segnavano parecchi pezzi.

Scrollai le spalle.

— Allora mi resta una sola domanda seria, a proposito del suo amore per la distruzione… — fece.

— E cioè?

— È davvero arte?

— Vada all’inferno.

Poi arrivarono gli altri. Scossi lentamente la testa verso Diane e strinsi il polso di Hasan abbastanza a lungo per levargli un piccolo ago che s’era appiccicato al palmo della mano. Poi permisi anche a lui di stringere le mani al vegano.

La Lancia scese ronzando dal cielo che si andava oscurando e vidi Myshtigo salire a bordo, gli porsi personalmente il bagaglio, e gli chiusi la porta.

La Lancia si alzò senza incidenti e sparì in pochi secondi.

Fine d’una scampagnata inutile.

Tornai dentro a cambiarmi gli abiti.

Era tempo di bruciare un amico.

Eretta alta nella notte, la mia catasta di legno sorreggeva quello che restava del poeta mio amico. Accesi una torcia e spensi la lanterna elettrica. Hasan era al mio fianco. Aveva dato una mano a trasportare il corpo sul carro funebre, e aveva guidato i cavalli. Avevo costruito la pira sulla collina coperta di cipressi che domina Volos, presso le rovine di quella chiesa che ho menzionato prima. Le acque della baia erano calme. Il cielo era chiaro, e le stelle splendenti.

Dos Santos, che non approvava la cremazione, aveva deciso di non partecipare alla cerimonia, dicendo che le ferite gli dolevano.

Diane aveva scelto di restare con lui a Makrynitsa. Non mi aveva più parlato, dopo la nostra ultima conversazione.

Ellen e George stavano seduti sulla sponda del carro, sistemato dietro un grosso cipresso, e si tenevano per mano. Erano le uniche altre persone presenti. A Phil non avrebbe fatto piacere che i miei parenti gli intonassero un salmo funebre. Aveva detto una volta che voleva qualcosa di grande, luminoso, veloce, e senza musica.

Avvicinai la torcia ad un lato della pira. La fiamma attecchì lentamente, e prese a divorare il legno. Hasan accese un’altra torcia, l’infilzò nel suolo, si tirò indietro, e rimase ad osservare.

Mentre le fiamme s’aprivano la strada verso il cielo pronunciai le antiche preghiere e versai del vino sul terreno, gettai erbe aromatiche nel fuoco. Poi anch’io mi tirai indietro.

— «… Chiunque tu fossi, la morte ha preso anche te» — gli dissi.

— «Sei andato a vedere gli umidi fiori che si aprono lungo l’Acheronte, tra le ombre dell’Ade che s’addensano scure». Se tu fossi morto giovane, la tua scomparsa avrebbe significato la fine d’un grande talento prima del pieno rigoglio. Ma sei vissuto, e questo non si può più dire. Alcuni scelgono una vita breve ed eroica davanti alle mura della loro Troia, altri una vita più lunga e meno tribolata. E chi può dire quale sia migliore? Gli dèi mantennero la promessa fatta ad Achille d’una fama immortale, ispirando il poeta a cantare un poema immortale. Ma forse che lui è per questo più felice, adesso che è morto come te? Io di certo non posso giudicare, amico mio. Da quel povero bardo che sono, ricorderò alcuni dei versi che anche tu hai scritto sul più grande degli Argivi, e sul tempo delle grandi morti gloriose: «Pallide delusioni infuriano su questo luogo estremo: minacce di sospiri nel pericolo del tempo… Ma le ceneri mai si tramutano in nuove carni. L’invisibile musica della fiamma disegna l’aria di calore, ma il giorno non è più qui». Addio a te, Philip Graber. Che Febo e Dionisio, che amano ed uccidono i poeti, ti raccomandino al loro nero fratello Ade. E che la sua Persefone, Regina della Notte, guardi a te con favore e ti garantisca un degno posto nei Campi Elisi. Addio.

Le fiamme avevano quasi raggiunto la cima della pira.

Allora vidi Giasone, fermo dietro il carro, con Bortan seduto a fianco. Mi tirai ancora più indietro. Bortan mi venne vicino e s’accucciò alla mia destra. Mi leccò una mano, una volta.

— Grande cacciatore, ne abbiamo perso un altro — gli dissi.

Lui annuì con la sua grande testa.

Le fiamme raggiunsero la cima della pira e cominciarono a mordere la notte. L’aria era piena di dolci aromi e del rumore del fuoco.

Giasone s’avvicinò.

— Padre — disse, — mi ha condotto al posto della roccia infiammata, ma tu eri già fuggito.

Annuii.

— Una creatura non umana amica ci ha liberati. E prima, quest’uomo, Hasan, ha distrutto l’Uomo Morto. Sicché i tuoi sogni si sono provati sinora esatti ed errati al contempo.

— È lui il guerriero con gli occhi gialli della mia visione — ribatté.

— Lo so, ma anche questa è passata.

— E la Bestia Nera?

— Non s’è fatta viva.

— Bene.

Restammo a guardare per molto, molto tempo, mentre la notte si ritirava su se stessa. Diverse volte gli orecchi di Bortan si tesero in avanti, e le sue narici si dilatarono. George ed Ellen non s’erano mossi. Hasan era uno strano osservatore: i suoi occhi sembravano non avere espressione.

— E adesso cosa farai, Hasan? — gli chiesi.

— Tornerò al Monte Sindjar — disse, — per un po’.

— E poi?

Scrollò le spalle. — Quello che sta scritto — replicò.

E allora ci giunse un suono pauroso, come il mugugnare d’un gigante idiota, accompagnato dal rumore di alberi divelti.

Bortan si rizzò sulle zampe e mugolò. Gli asini che avevano tirato il carro si agitarono, a disagio. Uno di loro lanciò un raglio breve e penetrante.

Giasone strinse il bastone appuntito che aveva raccolto dal mucchio di legna, e s’irrigidì.

E poi ci comparve davanti, lì nello spiazzo. Grande, e spaventosa, e terribile come dicevano.

La Mangiatrice d’Uomini…

Il Terrore della Terra…

L’Enorme Creatura Maligna…

La Bestia Nera della Tessaglia.

Finalmente qualcuno era in grado di dire cosa fosse. Ammesso che non ci lasciasse la pelle, ovviamente.