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L’amico chiese il programma a uno dei computer e gli fornì i file appena stampati. A schermo apparve una serie di analisi dei colloqui avvenuti fra Spirito e lui. Nel vederle Sarkar si grattò il mento. — Sorprendente. Non ci avevo fatto caso. Guarda qui. — Indicò alcune cifre. Ignorando le semplici interiezioni, le frasi di Spirito erano lunghe in media trentadue parole. Mentre spiegava a Sarkar come percepiva l’input dalle Reti aveva infilato oltre trecento parole in una sola frase. — In una conversazione normale non usiamo più di una dozzina di parole a frase, di solito.

— Questo tuo Correttore di Bozze è in grado di ridimensionare le frasi senza alterare i significati?

— Così abbiamo garantito al nostro cliente.

— Okay. Fagli rieditare il testo.

Sarkar batté alcuni comandi. — Incredibile — commentò, quando ebbe a schermo il risultato. — Qui non c’era niente da accorciare. Spirito aveva le sue frasi macroscopiche completamente sotto controllo, e non ha mai perso il filo del discorso.

— Affascinante — disse Peter. — Possibile che le abbia passate attraverso un programma tipo questo correttore, prima di mandarle all’altoparlante?

Sarkar si passò una mano fra i capelli. — Che tu abbia notato, Control e Ambrotos fanno la stessa cosa?

— No.

— Allora io direi, così sui due piedi, che questo non è il prodotto di un programma bensì il risultato reale dei tagli che abbiamo fatto a Spirito. Lui è la simulazione della vita dopo la morte… o almeno di un intelletto ormai dimentico del corpo. Forse questo effetto è stato causato dall’amputazione di qualche rete neurale preposta al modo di verbalizzare…

— Oh, Cristo! — esclamò Peter. — Ma certo, è così! Negli altri simulacri esiste ancora il sistema che coordina la respirazione. Ma a Spirito è stato tolto il contatto col corpo, perciò non deve fare una pausa per respirare quando parla. Devono essere le pause respiratorie a determinare la concisione delle frasi, nella gente in carne e ossa.

— Interessante — ammise Sarkar. — Sì, suppongo che se non dovessimo respirare saremmo portati a esprimere concetti almeno più lunghi. Ma questo non li renderebbe più intelligenti. Ciò che conta è pensarli, non pronunciarli con una gran quantità di parole.

— Vero. Ma, mmh, ho notato che Spirito tende a essere un po’ ottuso.

— Anche a me ha fatto la stessa impressione — annuì Sarkar. — E con questo?

— Be’, ma se non fosse ottuso proprio per niente? Voglio dire… Cristo, è un’idea che non mi piace affatto, ma… e se dicesse cose troppo difficili per noi? E se il suo modo di parlare fosse così contorto e complesso perché anche i suoi pensieri sono diventati più complessi dei miei?

Sarkar ci pensò. — Be’, non c’è niente di analogo alle pause per la respirazione in un cervello fisico che si limita a pensare… salvo quando…

— Che cosa?

— Be’, i neuroni non possono emettere più di una certa quantità di energia — disse Sarkar. — Una rete neurale può restare in stato di eccitazione per un periodo limitato.

— Senza dubbio questa è una limitazione basilare per la mente umana.

— No, è una limitazione basilare del cervello umano… o meglio, è una limitazione che riguarda solo il processo elettrochimico con cui il cervello funziona. L’hardware del cervello umano non è fatto per mantenere un pensiero intatto oltre un certo periodo di tempo. Tu ci avrai fatto caso, ne sono sicuro: quando ti viene un’idea brillante e hai l’impulso di scriverla, prima che tu riesca a trovare foglio e penna quelle parole non sono più le stesse. La tua mente ne ha dimenticato alcune e ne ha sostituito altre.

Peter inarcò un sopracciglio. — Ma Spirito sta pensando senza un cervello. È soltanto una mente, un’anima. È puro software, che funziona senza le limitazioni dell’hardware. Nessuna pausa per respirare. Nessuna dimenticanza degli aspetti di un’idea prima che abbia finito di elaborarli tutti. Lui può lasciare che i suoi pensieri si complichino e costruire frasi lunghe quanto vuole.

Sarkar stava scuotendo la testa come se continuasse a meravigliarsi.

— Dev’essere questo che succede alla mente umana dopo la morte — disse Peter. — Non si limita a fare semplici «collegamenti», come riconsiderare la barzelletta del perché una gallina attraversa la strada. Alla fine uno resta a corto di nuovi significati che escono collegando il pensiero A al pensiero B. Ma Spirito può prendere A e collegarlo a tutti gli altri pensieri, vuoi senza ottenere nulla vuoi ottenendo combinazioni complesse… finché non ne esce qualche nuova, eccitante, divertente associazione di idee.

— Incredibile — disse Sarkar. — Questo significa che…

— Significa — lo precedette Peter, — che forse la dopo-vita è piena di barzellette, ma barzellette così complicate e sottili che tu ed io non le capiremmo mai. — Si strinse nelle spalle. — O almeno, le capiremo solo dopo morti.

Sarkar mandò un fischio fra i denti, poi la sua espressione cambiò. — A proposito di morire, ora bisogna che vada a casa o Raheema mi ucciderà. Stasera tocca a me cucinare.

Peter guardò l’orologio. — Dannazione. Anch’io sono in ritardo con Cathy… dobbiamo andare a cena fuori.

Sarkar rise.

— Che c’è di così divertente?

— Te ne accorgerai — disse Sarkar, — prima o poi.

Capitolo trentaduesimo

Il simulacro aveva monitorato il computer della Food Food in attesa di un’ordinazione da casa Churchill. E quel mercoledì sera essa arrivò puntuale: la stessa cena che il padre di Cathy, abitudinario com’era, aveva richiesto nelle ultime sei settimane.

Appena l’ordinazione fu confermata il simulacro la intercettò nel banco dati, apportò una piccola modifica e poi la lasciò continuare per la sua strada dal centralino della Food Food alla pizzeria sulla Steeles Bayview, a sei isolati dall’abitazione di Rod Churchill.

Peter e Cathy erano usciti con la macchina di lei, e una volta in centro avevano preso Bayview Avenue, circa dieci chilometri a sud del quartiere dei genitori di Cathy, un lungo viale pieno di negozi, boutique e ristoranti. Dopo aver posteggiato l’auto erano entrati per qualche minuto alla Sleuth in Bakery Street, la principale libreria di Toronto per la fantascienza e i romanzi del mistero, e ora stavano aspettando un varco nel traffico per attraversare fino al piccolo ristorante coreano che piaceva ad entrambi, sull’altro lato della strada.

Sul marciapiede un uomo grassoccio, con una zazzera di capelli bianchi e un pesante soprabito blu della marina, stava venendo da quella parte. Peter notò che l’uomo lo guardava, e che nel passare accanto a loro lo scrutava di nuovo e con più attenzione. Era una cosa a cui stava cominciando ad abituarsi; negli ultimi tempi era apparso alla TV e sui giornali abbastanza spesso, e per strada la gente lo riconosceva. Ma invece di tirare dritto come chiunque altro avrebbe fatto, l’uomo venne verso di loro.

— Ehi… tu sei Peter Hobson, eh? Sei Hobson? — lo interpellò. Era sulla sessantina, con una rete di capillari che gli arrossavano il naso e le guance.

— Sì — rispose lui con indifferenza.

— Tu sei quello che ha scoperto il segnale dell’anima, è così?

— Onda dell’anima — disse lui, con un occhio al traffico. — Noi la chiamiamo onda dell’anima. — Lo guardò meglio. — Sono io, sì.

L’uomo annuì, accigliato. — Ti ho visto alla TV — disse. — Ma Gesù il Cristo ti punirà e ti manderà all’inferno, se non ti pentirai di ciò che hai fatto.

Cathy prese Peter per un braccio. — Andiamo — disse. Ma l’uomo scese dal marciapiede per bloccare loro la strada.

— Prostrati dinnanzi a Gesù il Cristo e chiedigli perdono, Peter Hobson… è la tua sola speranza di salvezza!