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— Petey, sei in forma smagliante — si complimentò lei, sedendo al tavolo.

— E tu sei sempre incantevole — disse Peter.

In realtà Becky Cunningham non era mai stata quella che si dice una gran bellezza. Aveva un aspetto gradevole, ma non era bella. Portava i capelli castani tagliati alla paggio, un po’ più corti dello stile in voga quell’anno. Aveva una decina di chili in più del peso che le riviste femminili avrebbero definito ideale, e forse distribuiti in quelli che un giudice troppo severo avrebbe definito i posti meno adatti. Aveva un volto largo, con un arcipelago di lentiggini sparse anche sul collo. Ma i suoi occhi verdi scintillavano sbarazzini come quelli di un’adolescente quando sorrideva, e l’effetto era aumentato dalle sottili rughe ai loro angoli che lui ricordava di averle visto anche ai tempi dell’università.

Difficile non restare accalappiati da quegli occhi, pensò Peter. Non aveva mentito, era incantevole.

Ordinarono il pranzo. Peter seguì il consiglio della receptionist del ministero e optò per i tortellini alla bolognese. Parlarono di ogni sorta di cose, e il carattere di Becky era tale che fra loro ci furono più risate che parole. Peter si sentiva più leggero di quanto lo fosse stato da mesi.

Il tempo volò, ed erano quasi le due quando si alzarono da tavola. Peter pagò il conto con la carta di credito e lasciò il venticinque per cento di mancia. Poi aiutò Becky a infilarsi il soprabito… una cosa che non faceva per Cathy da anni.

— Cosa pensi di fare da qui alle sette? — domandò lei. — È ancora presto per andare all’aeroporto.

— Non lo so. Farò quattro passi, suppongo. Darò un’occhiata ai negozi, in centro.

Becky lo guardò negli occhi. Quello era il momento più naturale per salutarsi. Due vecchi amici s’erano ritrovati: pranzo al ristorante, reminiscenze dei tempi andati, storie di ciò che era successo a questo e a quello dei loro conoscenti… ma adesso era l’ora di tornare alle cosette quotidiane, ai loro impegni, e riprendere le loro vite separate.

— Io non ho nulla d’importante da fare, oggi pomeriggio — disse Becky, sempre guardandolo dritto negli occhi. — Ti va se vengo a passeggio con te?

Peter abbassò lo sguardo per un momento, ma quando lo rialzò di nuovo sorrise. Non poteva pensare a una prospettiva più gradevole. — Questo sarebbe… — dopo una brevissima pausa decise di non censurarsi. — Sarebbe perfetto.

Gli occhi di Becky sprizzarono scintille. S’incamminò al suo fianco e lo prese a braccetto con un gesto esuberante. — Dove vuoi andare?

— È la tua città — sorrise Peter. — Decidi tu.

— Ubbidisco. Ma non ti lamentare.

Peter non se ne sarebbe mai lamentato, anche se fecero esattamente le cose che andando a passeggio da solo lui avrebbe evitato con cura. Videro il cambio della guardia a Parliament Hill, visitarono alcune boutique del centro, proprio il genere di negozi dove lui a Toronto non entrava mai, e finirono il loro giro nel reparto dinosauri del Canadian Museum of Nature, mandando esclamazioni di meraviglia davanti agli enormi scheletri.

Era proprio come essere di nuovo vivo, pensò Peter. Proprio come una volta.

Il Canadian Museum of Nature sorgeva, com’era giusto aspettarsi, in mezzo a un grande parco alberato. Quando Peter e Becky uscirono erano quasi le cinque e si stava facendo buio. Spirava un venticello gelido. Il cielo era pallido e sgombro. S’incamminarono sul sentiero lastricato in pietra finché non giunsero ad alcune panchine, intorno a cui sorgevano grandi aceri nodosi che già un mese addietro avevano perso tutte le loro foglie.

— Sono sfinito — sospirò Peter. — Questa mattina mi sono alzato alle cinque per prendere l’aereo.

Becky sedette all’estremità di una panchina. — Sdraiati cinque minuti — disse. — È tutto il pomeriggio che camminiamo.

Il primo impulso di Peter fu di scuotere il capo; non faceva cose simili fin da ragazzo, ma poi si disse: diavolo, perché no? Stava per sdraiarsi sulla parte restante della panchina, quando Becky disse: — Puoi usare le mie gambe come cuscino.

Lui non esitò ad approfittarne. Becky era meravigliosamente morbida, calda e simpatica. Le sorrise da sotto in su. Lei gli appoggiò dolcemente una mano sul petto.

Guardarla era rilassante, un balsamo per i suoi sentimenti. Peter pensò che avrebbe potuto stare così per delle ore. Non si accorgeva neppure del freddo.

Becky lo osservava con un sorriso mite, un sorriso che non gli poneva condizioni, un sorriso che lo accettava. Un meraviglioso sorriso.

Per la prima volta da quel mattino Peter ripensò a Cathy e ad Hans Larsen, ed a quella che era diventata la sua vita a Toronto.

Sapeva di aver finalmente trovato un essere umano — uno vero, non un simulacro che viveva in un computer — con cui avrebbe potuto parlare di quella cosa. Una persona che non lo avrebbe visto inferiore solo perché sua moglie l’aveva tradito, una persona che non lo avrebbe messo in ridicolo, che non lo avrebbe deriso. Una persona capace di ascoltarlo, desiderosa di fare qualcosa per lui, e che lo conosceva abbastanza per capirlo.

E in quel momento Peter si rese conto che non aveva nessun bisogno di parlarne con qualcuno. Adesso poteva affrontare la cosa da solo. Tutte le sue domande avevano risposta.

Peter aveva conosciuto Becky quando entrambi frequentavano il primo anno all’Università di Toronto, prima che sulla scena arrivasse Cathy. C’era stata una certa goffa attrazione fra loro. Nessuno dei due aveva avuto altre esperienze sentimentali, e a quell’epoca lui era ancora vergine. Adesso, tuttavia, a due decenni di distanza, le cose erano diverse. Becky aveva alle spalle un matrimonio e un divorzio; Peter era un professionista affermato, ricco e sposato. Sapevano tutto sul sesso, su come lo si faceva, come regolarsi se capitava l’occasione, e come giudicare se l’occasione fosse quella giusta. Lui era certo che avrebbe potuto chiamare Cathy, inventare senza problemi la scusa che i colloqui di lavoro erano più impegnativi del previsto, e dirle che doveva trascorrere la notte ad Ottawa e sarebbe tornato soltanto il giorno dopo. Lo sapeva, perché questa era un’ipotesi che vedeva anche negli occhi di Becky.

Avrebbe potuto farlo, ma non lo avrebbe fatto. Ora conosceva la risposta alla domanda che non s’era posto. Trovandosi davanti la stessa occasione che aveva avuto Cathy, lui non l’avrebbe afferrata, non se ne sarebbe approfittato, non l’avrebbe tradita.

Peter alzò lo sguardo verso Becky e le sorrise. Poteva sentire che la ferita dentro di lui cominciava a guarire.

— Sei una donna meravigliosa — le disse, sottovoce. — L’uomo che riuscirà ad averti potrà ringraziare Dio della sua fortuna.

Lei sorrise.

Peter lasciò uscire il fiato, lasciò uscire tutto, lasciò che ogni veleno si disperdesse. — È meglio che cominci a pensare di avviarmi verso l’aeroporto — disse.

Becky annuì e sorrise ancora, forse con un’ombra — ma non l’avrebbe mai detto — di rammarico nei suoi verdi occhi sbarazzini.

Peter era pronto per tornare a casa.

Capitolo trentacinquesimo

Sandra seguì la Don Valley Parkway fino a Cabbagetown e parcheggiò la macchina fuori dal negozio principale della Food Food, all’angolo fra Parliament Avenue e Wellesley Street. Come aveva saputo dallo schermo del videotelefono, la centrale che riceveva e distribuiva le ordinazioni si trovava al primo piano dell’edificio, sopra il locale aperto al pubblico. Lei prese le scale e quando si trovò davanti una porta aperta entrò, senza bussare. Seduti davanti a una dozzina di terminali di computer c’erano altrettanti impiegati, con cuffia e microfono. Benché fossero soltanto le due del pomeriggio sembravano molto occupati a prendere le telefonate dei clienti.