Egwene non aveva voluto che l’erede provasse, per quanto fugace fosse stata la visita, ma non per gelosia. Però non era stata in grado di argomentare l’opposizione con efficacia, perché aveva avuto paura che Elayne e Nynaeve avrebbero sentito quel che c’era nella sua voce.
Due oggetti recuperati significavano undici ancora fra le mani dell’Ajah Nera. Quello era il problema. Undici Ter’angreal che potevano trasportare una donna nel Tel’aran’rhiod, tutti nelle mani delle Sorelle Nere. Quando Elayne aveva fatto il suo breve viaggio nel Mondo Invisibile, avrebbe potuto trovare l’Ajah Nera ad aspettarla, oppure incontrarle prima ancora di sapere che fossero presenti. Il pensiero le diede il voltastomaco. Adesso forse stavano aspettando lei. Improbabile; non di proposito — come potevano sapere che stava arrivando? — ma potevano essere lì quando arrivava. Una poteva affrontarla, a meno che non venisse colta di sorpresa, e non intendeva consentirlo. Ma se fossero state loro a sorprenderla? Due o tre assieme? Liandrin, Rianna. Chemal Emry, Jeane Caide e tutte le altre assieme?
Guardando cupa la mappa rilasciò la stretta delle mani che le aveva fatto sbiancare le nocche. Gli eventi di questa notte avevano reso tutto urgente. Se la progenie dell’Ombra poteva attaccare la Pietra, se una dei Reietti poteva apparire all’improvviso fra loro, non poteva cedere alla paura. Dovevano scoprire cosa fare. Dovevano avere qualcosa in più della vaga storia di Amico. Qualcosa. Se solo avesse potuto scoprire dove era Mazrim Taim durante il suo viaggio in gabbia verso Tar Valon, o se fosse riuscita in qualche modo a infilarsi nei sogni dell’Amyrlin e parlarle... Forse queste cose erano possibili, per una Sognatrice. Ma non sapeva come. Tanchico era ciò con cui doveva lavorare.
«Devo andare da sola, Aviendha. Devo.» Pensò che la sua voce fosse calma e ferma, ma Elayne le diede qualche colpetto sulla spalla. Egwene non sapeva perché stesse osservando la mappa, l’aveva già memorizzata, tutto in relazione al resto. Tutto ciò che esiste in questo mondo, esiste nel Mondo dei Sogni, e a volte di più. Aveva scelto la sua destinazione. Tamburellava con un dito la sola inscrizione sulla mappa che mostrava l’interno di un edificio, il Palazzo del Panarca. Non le sarebbe servito a nulla trovarsi in una stanza se non sapeva in quale punto della città fosse. Niente di tutto ciò poteva servirle a qualcosa in ogni caso. Escluse il pensiero dalla mente. Doveva credere che esistesse qualche possibilità.
Il disegno mostrava un’ampia stanza con il soffitto alto. Una fune tesa all’altezza della vita avrebbe impedito a chiunque di avvicinarsi troppo agli oggetti esposti sui piedistalli e nelle vetrine lungo il muro. La maggior parte di quegli oggetti era indistinta, ma non quello che si trovava in fondo alla stanza. L’artista si era dato da fare per mostrare lo scheletro massiccio in piedi, come se il resto della creatura fosse scomparso in quel momento. Aveva quattro spesse zampe, per il resto non somigliava a nessun animale che Egwene avesse mai visto. Per incominciare doveva essere alto almeno due spanne, ben oltre il doppio della sua altezza. Il teschio rotondo, basso sulle spalle come la testa di un toro, sembrava abbastanza grande da consentire a un bambino di entrarci, e nel disegno sembrava avere quattro orbite oculari. Lo scheletro differenziava la stanza da ogni altra; non c’era modo di confonderla. Qualunque cosa fosse. Se Eurian Romavni sapeva, non ne aveva fatta menzione in queste pagine. «Cos’è un panarca?» chiese Egwene, appoggiando il libro di lato. Aveva studiato quel disegno una dozzina di volte. «Tutti questi scrittori sembrano pensare che lo sappiamo già.»
«Il Panarca di Tanchico è l’equivalente del re come autorità» recitò Elayne. «È responsabile della raccolta di tasse, pedaggi e imposte; il re li spende in modo adeguato. Il Panarca controlla la Vigilanza Civile e le corti, tranne la Corte Suprema, di cui si occupa il re che controlla anche l’esercito, tranne la Legione del Panarca. Essa...»
«Non volevo saperlo sul serio» sospirò Egwene. Era stata solo qualcosa da dire, altri pochi momenti per rinviare ciò che stava per fare. La candela si consumava; stava sprecando minuti preziosi. Sapeva come uscire dal sogno quando voleva, come svegliarsi da sola, ma il tempo trascorreva differentemente nel Mondo dei Sogni ed era facile perderne il controllo. «Non appena raggiunge il segno» ripeté, ed Elayne e Nynaeve mormorano per rassicurarla.
Appoggiandosi sul cuscino di piume, all’inizio fissò il soffitto, con il cielo azzurro dipinto, nuvole e rondini volteggianti. Non li vedeva.
Recentemente i suoi sogni erano stati brutti, per la maggior parte. C’era Rand, naturalmente. Rand alto come una montagna che camminava attraverso le città, che schiacciava gli edifici sotto i piedi, con la gente che gridava e fuggiva come formiche. Rand in catene, ed era lui a gridare. Rand che costruiva un muro con lui da un lato e lei, Elayne e altri che non riusciva a riconoscere dall’altro. «Deve essere fatto» spiegava Rand mentre accatastava le pietre. «Non lascerò che mi fermiate adesso.» E non erano i soli incubi. Aveva sognato gli Aiel che si combattevano fra di loro, e gettavano via le armi fuggendo come se fossero impazziti. Mat che lottava con una donna Seanchan che lo aveva legato con un guinzaglio invisibile. Un lupo — era certa però che si trattasse di Perrin — che combatteva un uomo che cambiava continuamente sembianze. Galad avvolto in qualcosa di bianco come se stesse mettendosi addosso il proprio sudario, e Gawyn con gli occhi colmi di dolore e odio. Sua madre che piangeva. Quelli erano i sogni chiari, sapeva che avevano un significato, anche se erano orrendi e non li capiva. Come poteva supporre di trovare qualsiasi significato o indicazione in Tel’aran’rhiod? Ma non c’era altra scelta. Nessun’altra scelta se non l’ignoranza, e non poteva permettersela.
Malgrado l’ansia, addormentarsi non fu un problema; era esausta. Si trattava solo di chiudere gli occhi e respirare regolarmente e profondamente. Impresse nella mente la stanza nel Palazzo del Panarca e il grosso scheletro. Respiri profondi, regolari. Poteva ricordarsi la sensazione che provava quando usava l’anello di pietra, i passi dentro Tel’aran’rhiod. Respiri profondi, regolari.
Egwene fece un passo indietro con un’esclamazione, portandosi una mano sulla gola. Da così vicino lo scheletro sembrava anche più largo di quanto aveva pensato, le ossa sbiancate opache e secche. Si trovava in piedi proprio di fronte, all’interno della fune. Una corda bianca, spessa come il suo polso e apparentemente di seta. Non aveva dubbi che questo fosse Tel’aran’rhiod. I dettagli erano precisi come nella realtà, anche per le cose che vedeva parzialmente con la coda dell’occhio. Che potesse rendersi conto delle differenze fra questo e un sogno ordinario, le confermava dove si trovava. D’altro canto le dava una sensazione... giusta.
Si aprì a saidar. Un taglio sul dito ricevuto nel Mondo dei Sogni sarebbe stato presente anche al risveglio; non ci sarebbe stato alcun risveglio da un colpo mortale inferto con il Potere, o anche da una spada, o una mazza. Non voleva essere vulnerabile nemmeno per un istante.
Invece della camicia da notte, indossava qualcosa di molto simile agli indumenti aiel di Aviendha, ma di broccato di seta rossa; anche i soffici stivali, allacciati sotto al ginocchio, erano di morbida pelle rossa, adatta per fare dei guanti, con cuciture e lacci dorati. Rise piano di se stessa. Gli abiti in Tel’aran’rhiod erano ciò che volevi che fossero. Apparentemente una parte della sua mente voleva essere in grado di muoversi rapidamente, mentre un’altra voleva essere pronta per un ballo. Non andava bene. Il rosso mutò in grigi e marroni; giubba, brache e stivali divennero copie esatte di quelli delle Fanciulle. No, non andava meglio, non in una città. Di colpo si ritrovò in una copia del vestito che indossava sempre Faile, scuro, con la stretta gonna divisa, maniche lunghe e un corpetto alto e comodo. Sciocco preoccuparsene. Nessuno mi vedrà se non nei propri sogni, e pochi sognatori ordinari giungono in questo posto. Non farebbe alcuna differenza se andassi in giro nuda, pensò.