Hollus però rispose per me. — Tom ha il cancro — disse. Rimasi un po’ stizzito: m’aspettavo che tenesse per sé l’informazione, ma poi mi dissi che l’idea che le faccende mediche siano cosa privata forse era tipica solo degli esseri umani.
— Cordoglio — disse T’kna. Si toccò la fibbia con la girandola rossa.
— Un mucchio di gente devotamente religiosa è morta di morte orribile per il cancro e per altre malattie — replicai. — Come lo spieghi? Diamine, come spieghi l’esistenza stessa del cancro? Quale Dio creerebbe una simile malattia?
— Può darsi che lui/lei/esso non l’abbia creata — disse T’kna. — Il cancro potrebbe essere sorto spontaneamente in uno o in multipli possibili periodi temporali. Il futuro però non si verifica uno per volta. Né esiste un numero infinito di possibilità fra le quali Dio può scegliere. Lo specifico sviluppo di realtà che comprendeva il cancro, presumibilmente indesiderabile, di sicuro conteneva anche qualche altra cosa molto desiderata.
— Così lui doveva accettare l’uno e l’altro?
— Plausibile — rispose T’kna.
— Non mi pare poi un gran dio — dissi.
— Gli esseri umani sono unici nel credere nell’onnipotenza e nell’onniscienza divine — replicò T’kna. — Il vero Dio non è una forma idealizzata; lui/lei/esso è reale e quindi, per definizione, imperfetto; solo un’astrazione può essere senza difetti. E poiché Dio è imperfetto, ci sarà sofferenza.
Un concetto interessante, dovevo ammetterlo. Il Wreed emise altri acciottolii e, dopo un poco, il traduttore riprese: — I Forhilnor erano sorpresi che non avessimo una scienza cosmologica sofisticata. Sapevamo però della creazione e della distruzione di particelle virtuali nel vuoto. Come la fallacia di un Dio perfetto intralciava la nostra teologia, così la fallacia di un vuoto perfetto intralciava la nostra cosmologia, perché sostenere che il vuoto è nulla e che questo nulla è reale equivale a sostenere che esiste qualcosa che non è niente. Non esiste il vuoto perfetto; non esiste il Dio perfetto. La tua sofferenza non richiede maggiori spiegazioni dell’inevitabile imperfezione di Dio.
— Ma l’imperfezione spiega soltanto perché la sofferenza inizia — obiettai. — Non appena il tuo Dio si è accorto che la sofferenza esiste, se avesse avuto il potere di fermarla, allora di sicuro, in quanto entità morale, avrebbe dovuto fermarla.
— Se Dio è davvero consapevole della tua malattia e non ha fatto niente — replicò T’kna — allora altre preoccupazioni esigono che lui/lei/esso ne lasci proseguire il corso.
Era troppo, per me. — Maledizione — sbottai. — Vomito sangue! Ho un bambino di sei anni spaventato a morte… un bambino che dovrà crescere senza padre. Ho una moglie che sarà vedova prima di questa estate. Quali altre preoccupazioni potrebbero superare queste?
D Wreed parve agitato, fletté le gambe come per correre via… forse l’istintiva reazione a una minaccia. Anche se in realtà non era nella sala, è ovvio, era al sicuro a bordo dell’astronave madre. Dopo un momento si calmò. — Una risposta diretta desideri?
Espirai, nel tentativo di calmarmi. Mi ero dimenticato delle telecamere e provai un certo imbarazzo. Non ero tagliato, immagino, per fare l’ambasciatore della Terra. Diedi un’occhiata a Hollus. Aveva smesso di agitare i peduncoli oculari: una reazione, avevo già notato, di sorpresa. Il mio scatto d’ira aveva sconvolto anche lui.
— Chiedo scusa — dissi. Inspirai a fondo, poi emisi lentamente il fiato. — Sì — ripresi, con un lieve cenno — voglio una risposta onesta.
Il Wreed ruotò di 180 gradi, in modo da darmi la schiena (fu in quella circostanza che vidi la mano posteriore). In seguito venni a sapere che se un Wreed ti rivolge la parte posteriore, sta per parlare con estrema franchezza. Sulla schiena la cintura gialla aveva una identica fibbia e il Wreed la toccò. — Questa simbolizza la mia religione — disse. — Una galassia di sangue, una galassia di vita. — Esitò. — Se Dio non ha creato direttamente il cancro, allora è ingiusto incolpare lui/lei/esso della sua esistenza. Se l’ha creato, allora l’ha creato perché è necessario. La tua morte può non avere alcuno scopo per te o per la tua famiglia. Ma ha uno scopo nel progetto del creatore; a prescindere dalla sofferenza che potrai patire, fai parte di tutto ciò che ha significato.
— Non provo nessuna gratitudine — dissi. — Mi sento maledetto.
Il Wreed ebbe una reazione sorprendente: si girò e protese la mano dalle nove dita. Mi sentii formicolare la pelle, quando ì campi di forza del suo avatar mi toccarono la mano. Le nove dita mi diedero una stretta gentile.
— Poiché il tuo cancro è inevitabile — disse la voce sintetizzata — forse troveresti pace se credessi ciò che credo io anziché ciò che credi tu.
Non seppi che cosa rispondere. — E ora — riprese T’kna — devo liberarmi: è tempo di nuovo che tenti di comunicare con Dio. Il Wreed ondeggiò e svanì. Io ondeggiai soltanto.
14
A mezza città di distanza, sulle sponde del lago Ontario, in una stanza di motel d’infima categoria, Cooter Falsey, seduto in una sedia sdraio, si stringeva le ginocchia e piagnucolava. — Non doveva andare così continuava a ripetere, come se fosse un mantra, una preghiera. — Non doveva andare così.
Falsey aveva ventisei anni; era magro, biondo, con capelli a spazzola e denti storti.
J.D. Ewell si sedette sul letto, di fronte a Falsey. Aveva dieci anni più dell’altro, viso tirato e capelli neri, più lunghi. — Ascoltami — disse in tono gentile. Poi, con più forza: — Stammi a sentire!
Falsey, occhi arrossati, alzò lo sguardo.
— Ecco, così va meglio — disse Ewell.
— È morto! — disse Falsey. — L’ha detto la radio: il medico è morto.
Ewell si strinse nelle spalle. — Occhio per occhio.
— Non volevo uccidere nessuno — disse Falsey.
— Lo so. Ma quel medico faceva il lavoro del diavolo. Lo sai, Cooter. Dio ti perdonerà.
Cooter Falsey parve riflettere su quelle parole. — Credi?
— Ma certo — disse Ewell. — Pregheremo per il Suo perdono, tu e io. E Lui lo concederà, sai che lo concederà.
— Che fine faremo, se ci sorprendono qui?
— Nessuno ci sorprenderà, Cooter. Non preoccuparti.
— Quando possiamo andare a casa? — chiese Falsey. — Non mi piace stare in un paese straniero. È stato già brutto venire a Buffalo, ma almeno era negli Stati Uniti, Se ci prendono, chissà cosa ci fanno, i canuck. Forse non ci faranno più tornare a casa.
Ewell pensò di dire che almeno in Canada non c’era la pena di morte, ma cambiò idea. Disse invece: — Ancora non possiamo varcare la frontiera. Hai sentito il notiziario: hanno già immaginato che si tratta degli stessi che hanno fatto saltare la clinica a Buffalo. Meglio stare qui per un poco.
— Voglio andare a casa — disse Falsey.
— Fidati di me — disse Ewell. — Meglio restare ancora un poco. — Esitò, incerto se fosse il momento buono per affrontare l’argomento. — E poi dobbiamo fare ancora un lavoro, quassù.
— Non voglio uccidere nessun altro. Non voglio… non posso farlo, J.D. Non posso.
— Lo so — disse Ewell. Accarezzò il braccio di Falsey. — Lo so. Ma non devi farlo, te lo prometto.
— Non lo sai — protestò Falsey. — Non puoi esserne sicuro.
— Sì, posso — replicò Ewell. — Non devi preoccuparti, stavolta non dovrai uccidere nessuno… quello che cerchiamo è già morto.
— Be’, è stata davvero una conversazione sconcertante — dissi a Hollus, quando il Wreed se ne fu andato.